Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “Splish Splash” (sezione racconti per bambini) di Antonella Mei

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

     Era una mattina piovosa. Guido non aveva fatto alcun capriccio per alzarsi dal letto. Oltretutto a lui la pioggia piaceva. Un lento sbadiglio, una gradevole stiracchiatina, un’ultima carezza al pupazzo colorato con cui dormiva, il suo amato compagno della notte, e già era in piedi, pronto per la colazione. Gli ippopotami azzurri delle sue grandi pantofole gli sorrisero come ogni mattina. Strizzò gli occhi felice. Eh sì, era proprio di buonumore.

     Mentre la mamma gli preparava il latte, Guido ripensava ai sogni che avevano reso ancora più piacevole quel risveglio. Erano stati davvero bellissimi. Si era visto protagonista di avventure rocambolesche, aveva assistito a prodigi incredibili e incontrato strani esseri: orsi giganti con le orecchie a punta, girotondi di gnomi canterini, tartarughe con larghi cappelli ricoperti di fiori. Tutti personaggi ancora più interessanti di quelli descritti nei suoi libri di favole preferiti.

     “Dido!”. La voce squillante di sua madre lo allontanò da quelle fantasie.

     Dido… era proprio un soprannome buffo. Lo aveva trovato lui stesso quando era piccolo, durante un tentativo dei suoi genitori di fargli dire il suo nome. Nell’impossibilità di pronunciarlo bene, Guido aveva urlato con grande soddisfazione un “Dido Dido”. Da allora tutti, compresi i genitori, si divertivano a chiamarlo ogni tanto così.

     “Che c’è?”, chiese Guido stupito per quell’improvviso richiamo.

     “Il latte si raffredda. È da un po’ che la tazza è lì davanti a te”, rispose premurosa la mamma. “Di solito perdi tempo nel lavarti o nel vestirti, ma a fare colazione sei velocissimo. Soprattutto se ci sono i tuoi biscotti preferiti, vero?”

     “I miei biscotti preferiti???”, esclamò Guido. “E dove sono?”

     “Proprio sotto ai tuoi occhi, accanto al cestino del pane”.

     “Ah, eccoli!”

      “Ti vedo distratto. Ho capito… anche oggi faremo tardi a scuola”.

     “No, ho solo tanto sonno”. E un grande sbadiglio accompagnò le sue parole. Trovò allora tutte le energie per finire, in pochissimo tempo, il trenino di biscotti che si divertiva a creare ogni mattina sulla tovaglia a quadri della cucina.

     Fuori continuava a piovere forte.

     Mentre intingeva l’ultimo biscotto nella sua tazza di latte, Guido pensò che quella era davvero una giornata fortunata. Proprio la settimana prima la mamma gli aveva comprato un bellissimo ombrello verde e blu, con i disegni colorati di tanti animali e qua e là dei tondi bianchi che Guido non si stancava mai di contare.

     “Posso prendere l’ombrello nuovo per andare a scuola?”

     “Certo, tesoro. E dovrai mettere anche gli stivali di gomma. Oggi c’è proprio un bel diluvio”.

     “Fantastico!”.

     A Guido non sembrava vero di vestirsi da “marziano”. Impermeabile, cappello, ombrello nuovo… Tutte le volte che c’era tempo cattivo, si sentiva importante a trasformarsi in quel modo e giocava ad essere un alieno incaricato di affrontare le più assurde imprese per raggiungere misteriosi luoghi lontani. In realtà finiva sempre per arrivare a scuola che di misterioso, ahimè, non aveva proprio niente. Si toglieva la sua “armatura”, deluso di non aver potuto affrontare e sconfiggere alcun mostro, e si sedeva tranquillo al suo posto, contento tuttavia di rivedere i compagni e di gustarsi un po’ di calduccio. Dido le lezioni le seguiva volentieri. Erano i preparativi per andare a scuola ad annoiarlo. Soprattutto nel lavarsi era veramente pigro. Anche quella mattina, quindi, nonostante avesse fatto presto a finire la colazione, cominciò a brontolare perché la mamma si era raccomandata che si preparasse in fretta.

     “Sbrigati, Dido, e stai attento a non cadere dallo sgabello!”.

      Un simpatico panchetto giallo a forma di orsetto accovacciato serviva a Guido per raggiungere il lavandino del bagno. Impegnata a terminare qualche faccenda prima di accompagnarlo a scuola, la mamma lo lasciò, quindi, da solo. Non era la prima volta che Guido riusciva a vestirsi e a lavarsi senza il suo prezioso aiuto. Certo, così impiegava molto più tempo, ma era in grado di cavarsela bene senza combinare troppi guai.

     Quella mattina, però, capitò qualcosa di veramente insolito che rallentò i ritmi convulsi dei consueti preparativi. Tra uno sbadiglio e l’altro, Guido salì sul suo panchettino, si guardò allo specchio regalandosi divertito qualche boccaccia e poi si affrettò ad aprire il rubinetto. Aveva appena spostato la leva verso l’acqua calda, quando sentì una simpatica vocina incitarlo ad affrettarsi.

     “È tardi, perché perdi tempo a guardarti allo specchio?”.

     Incredulo, Guido chiuse subito il flusso dell’acqua.

     “Non starò ancora dormendo?”, si chiese preoccupato e istintivamente decise subito di spostare la leva dall’altra parte. La alzò quindi di scatto facendosi coraggio. E un’altra voce, diversa dalla prima, più profonda, tuonò:

     “Stai tranquillo, prenditi tutto il tempo che vuoi. La mia di acqua è bella fresca. Goditi questo momento. Sciacquati il viso e vedrai che, come per magia, recupererai tutte le forze per affrontare la giornata. Lascia perdere quell’impicciona dell’acqua calda!”.

     Ancora più spaventato, Guido oscillò sullo sgabello, rischiando di cadere all’indietro.

     “Reggiti forte al lavandino!”, continuò quella voce.

     Proprio in quel momento si affacciò la mamma per controllare la situazione.

     “Tutto bene, tesoro?”

     “Sì sì, non preoccuparti. Ci riesco da solo, vai, tanto ora ho da fare”.

     “Hai da fare? Ti devi lavare, no?”

     “Sì, intendevo dire che oggi voglio lavarmi proprio come si deve”.

     “Mi raccomando però… non far scorrere tutta quell’acqua. L’acqua è un bene prezioso e inoltre tu non sei un gigante!”.

     Divertito da quelle parole, Guido mise una mano davanti alla bocca per contenere una sonora risata, stringendo tra i denti le sue piccole dita. Non appena la mamma si allontanò, Guido chiuse in fretta il rubinetto e rimase pensieroso a riflettere sul da farsi. Dopo essersi piegato per controllare le tubature sotto al lavandino, ancora incredulo rispostò la leva sul simbolo dell’acqua calda.

     “Non sono un’impicciona!”.

     Guido riconobbe la vocina di prima e si mise a ridere al pensiero che le due differenti voci comunicassero tra loro.

     “Che c’è da ridere?”, continuò quella tenera voce.

     “Mamma mia! Per tutte le formiche del giardino! Ma anche tu mi senti?!”. Guido si fece serio.

     “Certo! Ma chi è che ti spaventa così, mio fratello?”

     “Tuo fratello? E chi sarebbe?”

     “Ma se hai appena parlato con lui!”

     “Con tuo fratello?”

     “Sì, proprio lui. È l’acqua fredda, no?”

     “Ah, già”. Guido ora aveva assunto un tono pacato, rendendosi complice di quel duetto un po’ insolito.

     “Io sarò pure un’impicciona, ma lui si è dimenticato di ricordarti che ti devi lavare anche le orecchie”.

     “Le orecchie… Beh, sì, qualche volta me ne scordo”.

     “Ma sono importantissime! Come anche i denti… e le mani. Quelle, mi raccomando, le devi pulire proprio a fondo. E i gomiti e…”.

     A forza di ascoltarla a Guido era venuto il mal di testa e abbassò bruscamente la leva senza accorgersi che aveva ancora tutte e due le mani insaponate.

     “E ora?”, esclamò preoccupato.

     Non gli restava che riaprire l’acqua fredda e, rassegnato, rispostò la leva, augurandosi di trovare un po’ di silenzio. Ma la solita voce profonda si fece di nuovo sentire.

     “Mia sorella è una pignola, non stare ad ascoltarla! Piuttosto, se hai ancora qualche minuto di tempo, puoi riempire il lavandino e mettere in acqua la tua barchetta di plastica rossa che sta sulla vasca da bagno”.

     “Oraaa??? Devo andare a scuola! E poi i miei gomiti…”. Sollevò allora le braccia per guardarseli meglio allo specchio. “Secondo te sono neri?”

     “Macché! Vanno benissimo. È stata mia sorella a metterti il dubbio, non è vero? Te l’ho già detto che è una perfezionista”.

     “Hai ragione. Inoltre mi devo pure sbrigare perché fuori diluvia e mi piace tantissimo camminare sotto la pioggia”.

     “Davvero? Se vuoi  ti allago il bagno!”

     “Sei impazzito? Penso che mia madre si arrabbierebbe… e pure molto”.

     “Se è per questo anche mia sorella”.

     “Dici sempre ‘mia sorella’ e lei ‘mio fratello’, ma non avete un nome?”

     “Certo”.

     “E allora come vi chiamate?”

     “Splish e Splash”.

     “Ma…”

     “Cioè io Splish e lei Splash”, rispose prontamente l’acqua fredda percependo la sua perplessità.

     “È esattamente il rumore che faccio io con gli stivali di gomma quando cammino sotto la pioggia”.

     “Veramente? Bene! Così penserai a noi quando ora andrai a scuola. E il tuo nome qual è?”

     “Dido”.

     “Ma è bellissimo!”

     “Beh, il mio vero nome in realtà è Guido, però…”

     “Insomma come ti dobbiamo chiamare?”

     “Facciamo così. Tu mi chiami Dido e tua sorella Guido”.

     “Perfetto! Mi sembra una buona idea”.

     “Ora, però, devo andare”, disse Guido malinconico. “Siete molto simpatici, anche se un po’ chiacchieroni”.

     “Ciao, ci faremo sentire quanto prima”.

     “Che bello! Allora a presto!”.

     Guido chiuse a malincuore  il rubinetto e proprio in quel momento udì da lontano la voce della mamma.

     “Insomma! Hai finito?”

     “Sì, altri due minuti e sono pronto”, la rassicurò Dido.

     Ma, in realtà, aveva ancora una cosa da fare. Si era dimenticato di salutare Splash. Si affrettò, quindi, ad aprire l’acqua calda.

     “Ciao, Splash. Ti volevo salutare”, le disse dispiaciuto.

     “Grazie, sei stato molto carino a ricordarti di me. A proposito… devo congratularmi con te”.

     “Le orecchie sono venute bene, non è vero?”

     “Ma non è per le tue orecchie. Sono contenta che tu non abbia seguito le idee balzane di mio fratello”.

     “Beh, veramente l’idea della barchetta…”.

     Splash non gli diede il tempo di concludere la frase.

     “Eh… sì sì. Bravo, bravo così. E ora non ti metti un po’ di profumo?”     

     “No, di solito…”

     “Quello di tuo padre è buonissimo”.

     “Ma…”

     “Su, spruzzatene un pochino, mi piace tanto. Così mi rallegri la mattinata”.

     “Va bene. Poi però scappo via, è tardi”.

     “D’accordo, caro”.

     “Allora ciao”.

     “Ciao, buona giornata”.

     Guido mantenne la promessa e uscì dal bagno tutto profumato. La mamma era già pronta all’ingresso con la sua cartella.

     “Eccomi, arrivo!”, le urlò Guido da lontano.

     Non appena lo vide, invece di sgridarlo per il ritardo, la madre si complimentò con lui.

     “Ce ne hai messo di tempo, ma i risultati si vedono! Profumi di pulito e inoltre ti sei pure ricordato di pettinarti”.

     In realtà, più che pettinarsi, aveva affondato velocemente due dita nel vasetto di gel di suo padre. Bastò questo a far sì che i suoi capelli tornassero perfettamente in ordine.

     “Non dimentichiamoci l’ombrello!”, esclamò Guido appena aperta la porta di casa.

     Ormai fuori, poté godersi la pioggia che cadeva a dirotto. Mancavano pochi metri al cancello della scuola, quando vide un’invitante pozzanghera proprio alla fine del marciapiede. Ancora due passi e… si ritrovò con l’acqua fino alle caviglie. Iniziò così a sollevare e abbassare le gambe. Era divertentissimo.

     “Splish spalsh! Splish splash!”. Il rumore provocato dagli stivali nell’acqua gli ricordò i suoi nuovi amici. Chiuse gli occhi e sorrise.

     “Eri uno splendore di pulizia… Pazienza… Però oggi pomeriggio, quando ritorni a casa, dovrai di nuovo lavarti”, gli gridò la mamma. “E questa volta farai una bella doccia!”.

     Guido stese un braccio verso la madre e le prese felice la mano. Chissà chi avrebbe potuto conoscere facendosi la doccia! Guardò in alto le gocce di pioggia che non cessavano di scivolare sui disegni colorati del suo ombrello e pensò che era davvero un bambino fortunato.

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