Premio Racconti nella Rete 2020 “Terrore notturno” di Elena Comelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Da ore oramai imperversava la tempesta. Il vento colpiva bruscamente le finestre della vecchia casa, facendole tremare freneticamente. Il rumore acuto dei vetri sottili aveva spaventato Elvira, di poco più di sei anni, che si era rifugiata fra le braccia del padre. L’acqua piovana cadeva abbondante e sembrava aumentare d’intensità insieme al vento. Era sera e la famiglia si era radunata attorno al camino, unica fonte di calore. Avevano acceso delle lanterne ad olio, essendo saltata la corrente elettrica; qualche candelabro sparso qua e là per la casa illuminava con una luce fioca e ballerina le stanze altrimenti buie.
La famiglia Giordano viveva a venti minuti a piedi dal villaggio. In circostanze come quelle, quei venti minuti facevano pentire i signori Giordano d’aver comprato quella dimora così solitaria; non avrebbero di certo disprezzato la presenza rassicurante di alcuni vicini di casa nei momenti di pericolo e di incertezza. Tuttavia quella dimora era stata la soluzione ideale alle loro esigenze, non troppo costosa e allo stesso tempo abbastanza grande da permettere alla famiglia di allargarsi.
Elvira era nata e cresciuta in quella casa, e così era successo anche a suo fratello Francesco, di appena pochi mesi. La bambina ricordava il giorno in cui la madre diede alla luce il fratellino perché fu particolarmente spaventata dalle urla e dal continuo via vai di persone. Due donne del villaggio erano entrate nella stanza della madre, da cui si alzavano grida strazianti, mentre una terza donna era stata con lei al pian terreno. Perfino un medico sopraggiunse, figura che non si vedeva molto spesso da quelle parti.
Da sotto le braccia del padre, Elvira guardò in direzione della madre, presa a cullare il piccolo Francesco. Avevano desistito dal parlare a causa del troppo rumore proveniente dall’esterno. Il crepitio del legno nel camino era quasi impercettibile, soffocato dai suoni del vento. Elvira osservò il fratellino con un pizzico di gelosia, invidiando i panni caldi in cui era ben avvolto. A vederlo così calmo, addormentato in un sonno profondo, sembrava quasi che non sentisse il ruggito irruente della natura lì fuori. Lei invece aveva freddo ai piedi e alle mani, non riusciva a scaldarsi, e si sentiva assalire da un terrore incontrollabile ad ogni lampo. Quando poi udiva il tuono, nascondeva puntualmente il volto sotto l’ascella del padre.
“Elvira, hai i piedini così freddi” le aveva detto lui con una voce profonda. Si alzò e si diresse verso un mobiletto al lato del camino, per cercarvi una coperta. La bambina lo contemplò senza lasciare la poltrona, percependo l’insicurezza del distacco fisico. Proprio mentre lui rovistava fra le cose accatastate disordinatamente nel mobiletto, l’attenzione di Elvira si spostò sul tavolo lì vicino. Le piaceva nascondersi lì sotto. La madre lo lasciava spesso decorato con una lunga tovaglia colorata, permettendole di usare quello spazio per i suoi giochi. Da dietro la tovaglia si poteva sentire tutto senza essere visti, creando dunque il nascondiglio perfetto. Anche quella sera una lunga tovaglia di colore rosso acceso cadeva gentile fino a terra.
Un fulmine tagliò l’oscurità ed Elvira lanciò un urlo. “Papà, papà!”.
Il padre si affrettò e tornò verso di lei con una coperta di lana, mentre il rombo del tuono si consumava lento fra il ticchettio della pioggia. La coprì con molta attenzione e la strinse forte a sé. “Non avere paura, Elvira, è solo brutto tempo. Cerca di pensare a quando fuori c’è il sole e ti diverti a giocare all’aperto”.
Senza rispondere nulla, Elvira si accovacciò nuovamente fra le sue braccia e cercò di tranquillizzarsi. Chiuse gli occhi e iniziò a ripensare ai bei ricordi, al sole, ai profumi e al calore dell’estate. Ecco che già si immaginava fuori dalla casa, seduta all’ombra della vecchissima quercia sul retro. Lì osservava un formicaio, mentre sua madre preparava il pranzo. Dalla finestrella della cucina si disperdeva nell’aria un odore delizioso. L’erba era verde, leggermente ingiallita in alcuni punti, e numerose margheritine interrompevano qua e là l’uniformità di quel colore così rassicurante. Pur essendo all’ombra, Elvira percepiva il calore della giornata, un calore reso piacevole dalla leggera brezza che accarezzava la pelle. Le formiche continuavano a muoversi ai suoi piedi, attirando la sua attenzione di bambina. Il cinguettare degli uccelli era intenso ed estremamente vario ed aggiungeva un tocco magico alla scena pastorale. Rientrata in casa, Elvira si era seduta sulla poltrona vicino a suo padre e aspettava il pranzo cantando una canzone ad alta voce, inventando le parole sul momento.
“Tock, tock, tock”.
Avevano bussato alla porta di casa. Chi mai poteva essere? La bambina si alzò in piedi, roteando tutto il corpo in direzione dell’ingresso. Il buio era calato di nuovo ed il vento si schiantava sulle finestre prepotentemente. “Papà, chi è?”
Il padre non fece caso alla sua domanda. Era intento ad osservare la moglie e il neonato fra le sue braccia. Entrambi i genitori avevano l’aria molto preoccupata, ed Elvira non potè evitare di notarlo.“Sali, Ginevra, aspettami al piano di sopra mentre controllo chi è” disse lui alla moglie. “Presto, sali veloce!” aveva aggiunto con un fremito nella voce. Mentre la donna saliva le scale verso il primo piano, il padre prese per le spalle la piccola Elvira e guardandola dritta negli occhi disse: “Nasconditi sotto il tavolo. Mi devi promettere che qualunque cosa succeda, tu non uscirai dal tuo nascondiglio. È chiaro, Elvira? Guardami negli occhi. È chiaro?”. La bambina aveva annuito con la testa, dirigendosi velocemente sotto il tavolo e nascondendosi dietro la tovaglia. Da lì sotto riusciva a intravedere le gambe del padre dirigersi verso l’uscio di casa.
Bussarono di nuovo, e finalmente il padre aprì la vecchia porta di legno. Fuori era buio, pioveva molto e tirava un vento forte, rumoroso. I lampi continuavano a tagliare l’oscurità della notte facendo palpitare a più non posso il cuore della bambina. Dopo aver notato una fenditura nella stoffa, Elvira vi si avvicinò gattonando e, facendo attenzione a non far rumore, sbirciò in direzione dell’ingresso.
Il padre aveva subito richiuso la porta dietro di sé con un gesto molto violento, senza aver fatto accomodare nessuno in casa. Chi mai poteva essere sull’uscio, lungi dall’essere benvenuto? Non aveva mai visto il padre reagire a quel modo. Aveva appoggiato la schiena alla porta e aveva preso a spingere con tutta la sua forza per impedire che questa si aprisse, facendo leva sui suoi piedi larghi. Dopo qualche secondo di tensione, la porta si aprì bruscamente, scaraventando il padre di Elvira a terra. La bambina trasalì, ma si ricordò di ciò che le aveva detto lui poco prima. “Qualunque cosa succeda”. Rimase fermissima e guardò con orrore una figura avvolta in un mantello nero entrare in casa, procedendo a passi molto lenti. Il mantello era curiosamente asciutto, la stoffa ridotta a brandelli ed il cappuccio alzato sopra il capo. La mano destra impugnava una lunghissima falce, che utilizzava anche come bastone. Elvira, terrorizzata, alzò lo sguardo cercando di intercettare il volto dello straniero. Trovò tuttavia solo il vuoto, riempito da ciò che le sembrò una sostanza nera e gassosa.
Un tuono molto forte fece tremare i bicchieri nelle mensole.
Elvira ebbe un’illuminazione e si ricordò di una cosa che le aveva detto sua nonna non molto tempo prima. Rimembrava infatti le sue esatte parole: “La Morte bussa alla casa di tutti, Elvira, e niente può fermarla. Niente e nessuno può intralciare la sua venuta. Arriva lenta, con una falce, e prende chi deve prendere, nessun altro”.
Ne era certa, doveva essere proprio la Morte. Ma chi era venuta a prendere?
La Morte superò il corpo del padre a terra, così come superò il tavolo sotto il quale si nascondeva lei, e si diresse verso le scale, fermandosi proprio sul principio dei gradini. Il padre si divincolò, rimettendosi sui due piedi con molta fatica. Aveva preso un grosso coltello da cucina e si stava scaraventando con violenza verso la Morte. Elvira vide il padre infilzarla nella schiena più e più volte, gridando con fare animalesco. La Morte sembrava però impassibile e continuava la sua lenta ascesa verso il primo piano.
In lontananza il pianto stridulo del fratellino si confondeva con i singhiozzi soffocati della madre. Disturbata dall’uomo e dal suo gesto accanito, la Morte lo spinse giù dalle scale, scaraventandolo nuovamente a terra. Elvira notò dal buco nella stoffa come il padre adesso non si muovesse più: aveva perso conoscenza e già un rigolo di sangue si allungava muto sul pavimento.
Guardò i piedi della Morte salire imperterriti gli ultimi gradini, fino a perderli di vista. Poi, d’un tratto, il fratellino smise di piangere. La madre lanciò un urlo tremendo che arrivò dritto al suo cuore, facendole spalancare gli occhi.
Un incubo. Forse sul finale si chiude troppo in fretta..