Premio Racconti nella Rete 2020 “Alice è sveglia” di Maria Luisa La Rosa
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Si dice che la notte porti consiglio. E allora eccomi qui, seduta sul gradino davanti al portone di casa, con i piedi sull’erba fresca appena tagliata e la testa rivolta al cielo, ad osservare le stelle. Davanti a me si estende infinita la mappa dell’universo, ricolma di puntini luminosi che dovrebbero indicarmi una via ben precisa che però non vedo. E continuo a sgranare gli occhi, come uno straniero che non riesce a capire cosa c’è scritto sui cartelli stradali di un paese diverso dal suo. Dodici rintocchi di campane, provenienti dalla chiesa in fondo alla via, fanno eco nella strada deserta. Alice adesso è sveglia. Cosa potrei mai dirle che non sia già stato detto?
Accendo una Marlboro anche se non ne ho voglia e mi perdo a guardare il fumo che si alza sempre più su, fino a nascondere il manto di stelle in cui cercavo risposte. Sono immersa nel nulla come un esploratore in un mare di nebbia, altero su una rupe ma pronto a precipitare pur di vedere oltre l’orizzonte. Poi tutto tace di nuovo, anche la luna. Sembra puntarmi addosso uno sguardo accusatore, come a voler dire: è solo colpa tua se le cose sono andate così. E allora che senso ha che io vada da lei? Varrebbe a restituirle i dieci anni che le ho rubato? No, le scuse valgono poco per chi le riceve. Non restituiscono, non consolano, servono soltanto ad assolvere colui che le porge. Alice adesso è sveglia. Ed io non pretendo alcuna assoluzione.
Una luce si accende da una finestra della villa davanti a casa mia. Una finestra sempre sbarrata, almeno di giorno. Ma adesso è notte ed il cielo è pieno di stelle. Il contrasto con il buio esterno è così netto da permettermi di vedere bene ogni dettaglio. Un uomo siede alla scrivania, restando di profilo, mentre una tenda bianca svolazza intorno al suo viso. Rabbrividisco per quanto sembri somigliare a Fabio, ma non può essere lui. L’uomo ha una grossa cicatrice che pare coprirgli mezzo volto, o forse è solo un riflesso del vetro. È assorto, non si volta neanche per un attimo. E se fosse lui? Se anche io come Alice mi fossi svegliata solo adesso? D’improvviso si alza in piedi e rovista nell’armadio. Sono tentata di rientrare in casa prima che si accorga di me, ma non riesco a smettere di guardare dentro quella finestra, che mi appare come un quadro così affascinante da restarne ipnotizzata. Lui torna alla scrivania e muove lentamente la penna davanti a sé, intento a scrivere chissà cosa. Ancora una volta i suoi gesti mi ricordano Fabio, il compito di matematica la mattina, la campanella. Ma non è lui. Non può essere. L’uomo sul volto ha una ferita profonda, non ho dubbi. Mi perdo tra le sue piaghe, che crepitano come un fuoco attizzato in una giornata d’inverno. E ricordo.
Era una sera di dicembre e faceva un freddo terribile. La neve cadeva sui nostri capelli raccolti e sui piumini che non riuscivano a coprirci abbastanza, tanto che il gelo ci penetrava nelle ossa. Io e Alice avevamo appena finito l’allenamento di pallavolo e ci stavamo affrettando a tornare a casa. Eravamo talmente in simbiosi che facevamo le stesse attività, ci vestivamo allo stesso modo e ci piacevano le stesse cose, compresi i ragazzi. Anche Fabio ci piaceva, moltissimo. Mancavano pochi metri allo svincolo, dove lei avrebbe svoltato a destra, verso le villette a schiera del quartiere Giardino, ed io a sinistra.
Il mio sguardo si posa di nuovo sulla finestra, sul letto disfatto e sulla solitudine che percepisco dentro quella stanza. I mobili si vedono appena, le pareti sono spoglie, e la luce crea strani giochi di ombre intorno all’uomo, che continua a scrivere ignaro del mio sguardo. Non è poi una stanza così diversa dalla mia, mi dico. Eppure dieci anni fa era tutto diverso.
Quella sera l’allenatore mi aveva promesso persino che alla prossima partita sarei stata io il capitano. Ero così felice, anche se sapevo che Alice non l’avrebbe presa bene. Ed infatti, al termine dell’allenamento, non mi aveva rivolto parola ed era scappata nello spogliatoio. Anche nel tragitto verso casa eravamo rimaste in silenzio. Mi ci sono voluti tanti anni per comprendere che, seppur apparentemente inseparabili, in realtà nel profondo saremmo state sempre in competizione. Anche perché ognuna di noi credeva di essere migliore dell’altra.
All’incrocio Fabio frenò di colpo davanti a noi, sgommando a bordo della sulla sua Golf rossa nuova di zecca, regalo per il suo diciottesimo compleanno. Il cuore mi salì in gola, prima per lo spavento e poi alla vista dei suoi occhi azzurri e del suo viso pallido. Mi sembrò Apollo che trasportava il sole sul suo carretto scarlatto, immagine che avevo visto la mattina stessa nel libro di mitologia. Non l’ho mai più dimenticata. Dall’autoradio Into the Groove di Madonna rimbombava nell’aria a volume altissimo.
“Cagasotto, su salite” ci disse, “vi porto io a casa”. Alice, approfittando della mia esitazione, mi diede una gomitata e si sedette sul sedile accanto a lui. Furiosa, fui tentata di correre verso casa ma il pensiero di lasciarli soli mi fece aprire lo sportello dietro con stizza e sedere in silenzio, sconfitta nella prima battaglia. Non avevo però alcuna intenzione di farle vincere la guerra. Fabio non ci portò a casa come aveva detto e ci ritrovammo sulla superstrada, in direzione del mare. Mi sembra di sentire ancora adesso il vento di quella sera sul viso, che entrava prepotente dai finestrini aperti e ci scompigliava i capelli. Alice gli sfiorava la mano ogni volta che l’appoggiava al cambio, si sporgeva su di lui, gli sorrideva. Io non potevo che guardare. Il fuoco che avevo dentro era ancora una piccola fiammella, flebile, così leggera che sarebbe bastato un soffio per spegnerla. I loro gesti però continuavano a nutrirla. Più Alice rideva, più Fabio premeva l’acceleratore. Eravamo quasi arrivati sul lungomare.
Adesso sento una improvvisa voglia di scappare. Scomparire. Non voglio neanche più sapere da queste maledette stelle qual è la cosa giusta da fare. Il fuoco quella sera si è spento per sempre e non si è mai più riacceso. Ma adesso Alice è sveglia.
L’uomo appoggia i gomiti alla finestra, guardando nella mia direzione. Il cuore mi sale in gola e istintivamente mi alzo. Dentro di me cresce l’ansia di chi viene scoperto a fare qualcosa di sbagliato. Ma io stavo solo guardando, mi dico, niente di male. Eppure uno strano senso di colpa cresce, diventa un macigno, mi schiaccia immobile davanti alla porta di casa. Prima di girare la chiave nella toppa volgo un ultimo sguardo furtivo verso la villa.
Buio.
La finestra è di nuovo sbarrata come al solito. Sembra che il quadro dai colori nitidi e luminosi ed il fuoco che promanava dalla cicatrice dell’uomo siano improvvisamente svaniti nella notte, insieme a tutti i miei ricordi. Tiro un sospiro di sollievo e mi risiedo sul gradino, per riprendere fiato. Poi Fabio mi appare davanti.
“Ciao” mi dice.
Non riesco a rispondere, impallidisco e lo guardo con gli occhi sbarrati. Lui resta immobile, nella sua solita camicia a quadri blu e i jeans logori, in attesa di una mia risposta. Sembra vestito proprio come quel giorno, ma ha qualcosa di diverso. Quando si rende conto che sto indietreggiando, mi sorride.
“Non ci vediamo da tempo, eh?”
Sono così sconvolta che spalanco la porta di casa.
“Aspetta, non te ne andare!”
Per un attimo il tempo si ferma. Nella mia mente passato, presente e futuro si fondono in un calderone infinito, facendomi perdere il contatto con la realtà. Non è lui, mi dico. Non può essere qui… ma Alice è sveglia. E se lo fossimo di nuovo tutti e tre? Le lacrime iniziano a scorrere veloci sul mio viso, senza che io riesca a trattenerle. Eppure cerco di farlo. Se Fabio è veramente qui non è mai successo nulla.
“Suvvia Elisa, non è il caso di prenderla così male.”
“Tu… tu… non mi odi?”
“Non ti ho mai odiato baby, e neanche Alice ti odia.”
“Ma è tutta colpa mia!”
“È un punto di vista, come quelli della professoressa Lanzi sulle boiate che ci faceva leggere” ridacchiò.
Mi stupisce che non sia cambiato per niente, e che sia rimasto sempre quel ragazzino polemico e divertente. Si siede sul gradino accanto a me, indicando il pacchetto di sigarette riverso a terra. Glielo porgo ma non lo afferra. Il fumo della mia sigaretta nasconde i nostri volti.
“Alice…”
“È viva! Puoi andare a parlarle ora.”
“Non posso!” dico, spingendo la testa tra le ginocchia.
“Stai bene?”
Stai bene? È la prima cosa che mi hanno chiesto quando mi hanno tirata fuori dalle lamiere della sua macchina.
“Ricorda…”
“Non voglio!”
“Ricorda…”
E allora ci provo. Siamo quasi sul lungomare, anche se non si vede granché, a parte i fari dei lampioni che illuminano l’asfalto lucido. L’auto sfreccia sulla strada ma nessuno di noi ne percepisce la reale velocità.
70. Risate e schiamazzi.
75. Canzoni urlate al cielo.
80. Alice si sporge verso di lui.
85. Lo bacia sulla guancia.
90. Lui la guarda stupito.
95. Lei affonda le labbra sulle sue e lui perde la presa al volante
100. Mentre lui riacquista sicurezza, una lacrima scende sul mio volto e l’asciugo con la mano sinistra prima che possa raggiungere la fiammella.
105. Il fuoco cresce. Più la sua bocca resta attaccata a quella di Fabio, più le fiamme crepitano. Il puzzo di fumo è asfissiante. Non respiro. Non respiro. Smettetela.
110. Alice torna al suo posto e il fuoco scema un attimo. Poi sorridendo gli chiede se dopo quel bacio stanno insieme.
115. Lui risponde di sì. La fiamma divampa, cresce, fino a farmi perdere la ragione. Brucia tutto dentro di me.
120. Alice si sporge di nuovo verso di lui.
125. Non sono più padrona del mio corpo. Mi spingo in avanti e le do una spinta per farla tornare al suo posto. Alice non se l’aspetta e quando si ritrae urta il volante. Siamo nella corsia opposta.
130. I fari di un’auto di fronte ci accecano. Lo schianto è assordante.
Stai bene?
“Si, è proprio la prima cosa che mi hanno chiesto quando mi hanno tirata fuori dalle lamiere della tua macchina” dico piangendo, con la bocca impastata di fumo e il mozzicone di sigaretta spento tra le dita.
“Non poteva andare diversamente. Volevi solo che tornasse al suo posto. Non potevi certo immaginare…”
“Mi dispiace… mi dispiace tanto…” gli sussurro.
“Devi andare oltre.”
“Io… io non posso… io ti ho ucciso Fabio!”
“Non è stata colpa tua.”
“Mi dispiace…”
La cicatrice di Fabio si riassorbe completamente davanti ai miei occhi increduli e sparisce come se non avesse mai deturpato il suo viso angelico. Restiamo in silenzio per qualche minuto, poi lui guarda il pacco di sigarette ancora accartocciato a terra e sorride.
“Devi andare da lei. Ti sta aspettando.”
Abbasso d’istinto lo sguardo ma quando lo rialzo lui non c’è più.
In alto c’è solo il cielo stellato, ancora più luminoso di prima. Adesso mi pare di scorgere un grande carro trainato da un orso. E sopra, il volto sorridente di Apollo che mi indica la strada da seguire. Improvvisamente tutto mi è chiaro. Un foglio rosso dai bordi bruciati svolazza ai miei piedi, tra l’erba fresca, nel buio della notte. In alto lo stemma della chiesa. Si leggono solo tre parole:
Ego te absolvo
I tuoi racconti hanno questo qualcosa di onirico, che li distingue. Hai mai provato a trovare il perchè di questa tua voce?
Hai ragione, a volte inserisco elementi per certi versi onirici, ma non sempre. Dipende dalla storia, da quello che sento di raccontare. Per esempio in “se solo riuscissi a ricordare” cambio completamente registro.
Grazie per aver letto i racconti. :))
In effetti i tuoi racconti mi sembrano sospesi tra il reale e il non reale. Probabilmente è anche per questo che mi sono piaciuti moltissimo!
Complimenti per i racconti! Ho scelto questo per il titolo. Ho pensato ad Alice nel paese delle meraviglie, che adoro. In effetti, anche la tua storia (di amicizia e di amore) mi sembra un po’ una fiaba: il protagonista è l’universo, il cielo stellato col grande carro trainato dall’orso e sopra il volto sorridente di Apollo che indica la strada da seguire. Magari fosse così facile! Comunque, è un peccato che una bella amicizia debba finire a causa di una rivalità in amore, e purtroppo, capita spesso anche nella realtà. Brava!
Vi ringrazio tantissimo Valeria e Lucia.
E’ vero, non è semplice. A volte, però, come nel caso di Elisa, basta solo riuscire a guardarsi dentro con coraggio ed ecco che la strada da seguire compare da sé. 😉
Dietro una scorrevolezza raffinata si nasconde un racconto tecnicamente complesso gestito con grande talento narrativo. Il ritmo della scrittura, alternando i momenti contemplativi di un cielo stellato al ritmo frenetico di un ricordo drammatico scandito dalla lancetta di un tachimetro, ci trascina in una storia dove la potenza delle immagini è pari soltanto all’intensità delle emozioni.
Grazie davvero Angela. E’ un commento meraviglioso. Grazie. Grazie.