Premio Racconti nella Rete 2020 “Malocchio” di Nilla Licciardo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Don Giuseppe Bonaiuto mise la freccia e imboccò la terza traversa a destra che scendeva da via Finocchiaro, inoltrandosi per le campagne etnee. Dopo qualche metro la strada sbucava in uno stretto e tortuoso sterrato che, tra curve e saliscendi, costeggiava vigne e frutteti delimitati da muretti in pietra lavica, decrepite case rurali e villette pretenziose circondate da giardini fitti di piante tropicali. La piccola utilitaria sobbalzava, sollevando una nuvola di polvere che si andava a depositare sulla muraglia di rovi ai bordi della strada.
– Ma vedi un po’ se alle quattro di pomeriggio, con questa canicola d’agosto, non me ne stavo meglio a riposare a casa mia invece di venirmi a scassare la macchina in questa stradazza! – bofonchiava don Giuseppe, da quattro anni parroco della chiesa di Santa Venera. La sera prima aveva ricevuto una telefonata implorante dalla signorina Bellassai, un’anziana azzimata che frequentava la parrocchia con assiduità maniacale.
– Venga subito per favore, – l’aveva scongiurato la donna – ci risiamo, non mi dà tregua!
Doveva trattarsi dell’ennesimo litigio con una parente di cui si lamentava spesso durante le sue interminabili sedute di confessionale. Un giorno gliel’aveva indicata, dalla soglia della chiesa.
– Eccola, è lei! La vede quant’è schifosa?
A lui era sembrata una come tante, forse un tantino ridicola, una di quelle donne attempate che si atteggiano ancora a maliarde. Che noia doversi immischiare nei battibecchi di due vecchie squinternate! Eppure gli toccava farlo, anche solo per amore dei suoi poveri: la Bellassai, che gli aveva dato a intendere di essere piuttosto abbiente, al telefono gli aveva promesso una bella offerta.
Lasciò la macchina in una curva della strada e si avviò a piedi risalendo un ripido sentiero verso la casa. La donna l’aspettava fuori, con una mano sugli occhi a ripararsi dal sole.
Lo accolse un concerto di furiosi latrati: tre enormi cani, due dobermann e un rottweiler, si slanciavano abbaiando contro le sbarre di un cancello laterale. Don Giuseppe si fermò timoroso.
– Sono chiusi? – s’informò.
– Certo, non si preoccupi! S’accomodi!
La casa, che di fuori appariva rustica, all’interno era arredata con gusto e ricercatezza: mobili antichi di ottima fattura, quadri d’autore, arazzi e tappezzerie damascate, argenterie e porcellane raffinate. Don Giuseppe si sedette su una poltrona di velluto cremisi, appoggiò la borsa per terra e tirò fuori dalla tasca un ampio fazzoletto per asciugarsi il sudore.
– Fa un caldo che si muore! – borbottò.
– Sediamoci in terrazza che fa più fresco, – disse la Bellassai – da questo lato c’è ombra e dal mare arriva un’arietta che è una meraviglia!
Poi, dando un’occhiata di traverso alla borsa, gli chiese a voce bassa: – Li ha portati, vero?
– Sì, sì – rispose lui sbrigativo, e si alzò per seguirla nella veranda.
Una lunga terrazza protetta da una vecchia ringhiera di ferro si affacciava a ovest su una spianata di limoni, oltre la quale in lontananza scintillava il mare. Dietro l’angolo dell’edificio l’occhio si perdeva tra terrazzamenti di vigne basse e tortuose e più su, dove la vegetazione si faceva più folta, la pineta ricopriva come un vello scuro le pendici della montagna.
Prima di raggiungere l’ospite, che si era accomodato sotto il pergolato, la donna si affacciò verso il frutteto e lo indicò con un largo gesto della mano.
– Questo era l’orgoglio di mio padre! Fu uno dei primi a piantare i verdelli e a installare l’irrigazione a tempo…
– E adesso lei vuole vendere tutto? Suo padre non sarebbe molto contento!
– Sicuro… infatti l’altra sera me lo sono visto davanti, arrabbiatissimo! Madonna Santa quant’era brutto… mi ha detto “Se ti azzardi a vendere te ne pentirai amaramente!”
– Le è comparso in sogno?
– Ma quale sogno, mi è comparso per davvero, di là in soggiorno. Era seduto sulla sua poltrona preferita, quella dove stava prima lei, e mi minacciava, col suo dito ossuto!
Don Giuseppe assunse un’espressione spazientita.
– Certo… mi vuol dire ora perché mi ha mandato a chiamare con tanta urgenza?
La donna sembrò contrarsi in una smorfia lamentosa, le rughe sulla fronte si accentuarono e la bocca le sparì in una fessura tremula.
– È sempre lei, quella strega di mia cugina… non mi dà pace! – pigolò.
Don Giuseppe si mise le mani tra i capelli.
– Ancora con questa storia! Le ho detto mille volte che sono tutte fantasie!
– Ma quali fantasie, padre! Nel mondo c’è tanta cattiveria, tanta invidia! E c’è pure il demonio, non vorrà negarlo!
– No, non lo voglio negare, ma creda, il diavolo oggigiorno ha ben altro da fare che venire a dar fastidio a lei!
La Bellassai allora gli si piantò davanti e, tutta imporporata, cominciò a strabuzzare gli occhi e a urlare:
– Allora non l’ha capito che mia cugina è una strega, che è al servizio del demonio? Come glielo devo dire? È U-NA STRE-GA!
Il prete chiuse gli occhi e respirò a fondo, sforzandosi di mantenere un tono pacato.
– Si calmi ora. Da cosa deduce questa sua convinzione?
La donna afferrò svelta il cellulare poggiato sul tavolo.
– Conosce Feisbùc?
– Sì, e che c’entra?
– Lei pensa che sono pazza, ma solo io conosco la cattiveria che ha in corpo quella. Guardi, lo dichiara lei stessa nel suo profilo!
Don Giuseppe si riaccomodò gli occhiali sul naso. Sullo schermo, sotto la scritta “La strega innamorata”, occhieggiava una megera truccatissima con in mano un cappello nero e una bacchetta.
– Adesso mi crede? – chiese la donna con aria petulante. Don Giuseppe alzò gli occhi al cielo.
– In questi Social forum la gente si diverte a inventarsi di tutto! Uno può dire o scrivere di sé quello che vuole: se io scrivo che sono un elefante secondo lei lo divento sul serio?
La Bellassai riprese a frignare. I cani dietro il cancello, sentendola piangere, ripresero ad abbaiare, mostrando i denti e fissandolo con ferocia.
– Altro che sua cugina, sono i suoi cani a sembrare appena usciti dall’inferno!
La donna si ricompose e fece un cenno per chetare gli animali. Poi lo guardò torva e si alzò in piedi.
– Venga di là! – gli fece. Il prete la seguì lungo il corridoio fino a una cameretta arredata in modo semplice, con un letto in ferro battuto, una scrivania e un antico inginocchiatoio in noce.
– Questa era la stanza di mio padre, buonanima; è morto in quel letto, dieci anni fa. Ci vengo ogni sera a dire il rosario. – Padre Bonaiuto, rassegnato, fece un cenno di assenso.
– Ecco, da qualche giorno, appena inizio a pregare, sento un rumore… come un mormorio, che proviene da quel quadro – e indicò una vecchia stampa di Sant’Antonio Abate appesa sopra il confessionale.
– Saranno i tarli, – commentò il parroco – la cornice è vecchia!
– Lo pensavo anch’io all’inizio, così l’ho aperto per controllare…
La donna si arrestò e lo guardò con occhi spiritati.
– E allora? – chiese lui, trattenendo l’irritazione.
– Ma quali tarli, caro mio, neanche l’ombra! – urlò infervorata – Ho iniziato a pregare più forte, e il rumore cresceva. Se mi fermavo si fermava, se ricominciavo riattaccava: è il diavolo, capisce, non vuole che io preghi, e l’ha chiamato quella strega!
Padre Bonaiuto scosse la testa, esasperato:
– Che devo dirle, io non sento nessun rumore, provi a recitare un’Ave Maria, vediamo se torna…
La donna si accomodò sull’inginocchiatoio e iniziò a pregare. Il prete avvicinò l’orecchio alla parete e rimase in ascolto.
– Continuo a non sentire niente – disse, esitante. La Bellassai smise di biascicare preghiere.
– Ma vuole che si faccia sentire proprio da lei? – ridacchiò – Il demonio è furbo, dovrebbe saperlo!
Don Giuseppe si spazientì. – Sa cosa le dico? Sono stufo, me ne vado! Ho i miei impegni, cose ben più importanti a cui pensare!
Fece per uscire ma la donna lo agguantò per la tonaca e iniziò a tirarlo, urlando come una forsennata.
– Deve farmi l’esorcismo, è suo dovere! Non può lasciarmi in balia del diavolo!
– Lei è pazza, mi lasci stare! – replicava il prete, tentando di divincolarsi. A un tratto la donna si fermò, gli occhi fiammeggianti e rossa in viso, e alzò un dito con aria allucinata.
– Badi bene, se esce mi avrà sulla coscienza! Non sa di cosa sono capace!
Il prete si fermò, chiuse gli occhi e giunse le mani davanti al viso, sconsolato.
– Vado a prendere l’occorrente.
Tornò dopo pochi minuti con in mano l’aspersorio e un messale.
– Si inginocchi! – le intimò, brusco. Lei si inginocchiò per terra e aprì le braccia volgendo di traverso gli occhi al cielo, come una Santa Teresa in estasi.
Il sacerdote mormorò tra i denti alcune formule, agitò l’aspersorio e le fece un segno sbrigativo sulla fronte, poi si rimise in tasca gli arnesi e si voltò per andarsene. Quando quella gli afferrò la mano tentando di baciargliela si scostò infastidito.
– Devo andare… a proposito, mi aveva accennato a un’offerta per i poveri.
La Bellassai assunse un’aria contrita e lamentosa.
– I poveri? Chi è più povero di me! – frignò – Riesco a stento a mangiare… e non ho neanche i soldi per far curare Furio!
– Chi è Furio? – chiese padre Giuseppe.
– È il mio rottweiler… gioia mia, ha un tumore ai testicoli, dovrei farlo operare! – Si coprì il viso con le mani e iniziò a singhiozzare. – Mi aiuti, padre, la prego!
I cani ripresero ad abbaiare.
– E secondo lei dovrei togliere il pane di bocca ai poveri per una bestia? Chi glie lo dice a lei di mantenere tutti questi cani?
La vecchia piangeva sempre più forte e i mostri a quattro zampe continuavano ad abbaiare inferociti, facendo grandi salti contro il cancello. Don Giuseppe, scuotendo la testa, s’infilò una mano in tasca, ne tolse una carta da dieci euro e gliela porse. Poi si girò e si avviò svelto per il sentiero di sassi, con la tonaca che svolazzava tra i limoni.
Fantastico non ho parole! Leggendolo si sente persino il caldo e le cicale che non nomini e l’odore della casa. I personaggi sono vivi e veri.Complimenti
Grazie Alessandra, sono contenta che ti sia piaciuto!
Bei dialoghi, belle descrizioni, narrazione ben costruita, ottima scrittura, senza neanche una virgola fuori posto.
C’è tutto ciò che rende un racconto vivo e trascinante. Grazie per aver offerto piacere alla mia mente.