Premio Racconti nella Rete 2020 “S38” di Valeria Rago
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020S
Bip…bip…bip…
Seccata dalla sveglia Ludovica urlò: «Finestre rischiaratevi!». Subito la luce cominciò a filtrare nella stanza. Rimase stesa, dai suoi cuscini poteva dare uno sguardo alla parete che si trovava fuori dalla finestra: un pannello olografico le restituiva l’immagine di un cielo scuro e carico di pioggia. Nell’angolo in alto a sinistra, in caratteri enormi, c’era la data: giorno 13, mese 2, anno 3031; nell’angolo in basso a sinistra una fitta rete di gocce azzurre informava dell’elevata probabilità di pioggia. Insomma pioverà, pensò non senza un certo disinteresse.
Bip…bip…bip…
«Buongiorno Ludovica 0#834».
«Buongiorno Trevor».
«Hai ordinato alla finestra di rischiararsi con una voce molto nervosa. Ti senti poco bene? Hai bisogno di uno screening completo? Possiamo farlo».
Ludovica non aveva alcuna voglia di sottoporsi ad una serie di inutili esami e raggi.
«No, grazie. Stamattina non avevo alcuna voglia di svegliarmi».
«Va bene Ludovica 0#834 hai venti minuti per una doccia, poi la colazione sarà a tua disposizione».
«Ottimo».
Dopo precisamente venti minuti: «Attenzione Ludovica 0#834 la colazione è pronta, sei pregata di recarti in cucina prima che si freddi».
«Si Trevor, vado subito».
«Buon appetito Ludovica 0#834».
«Grazie. Televisione accenditi».
Il pannello televisivo si accese automaticamente sul canale delle notizie. A quell’ora non si poteva guardare altro: un notiziario al giorno ecco una regola che stentava a capire.
«È l’ora del notiziario Ludovica 0#834».
«Si l’avevo capito Trevor», rispose stizzita. Non le interessava molto sapere cosa succedeva agli altri, nemmeno li aveva mai visti questi fantomatici “altri”. Si concentrò sulle notizie. Sembrava che qualcuno fosse riuscito a mettere ko il sistema informatico della sua unità abitativa e, cosa sconcertante, fosse addirittura riuscito ad uscirne. Ludovica parve basita. Cioè un tizio come lei era riuscito ad uscire? E per andare dove? Era combattuta tra una profonda paura ed una sottile invidia. Fuori di lì non aveva mai messo piede, riusciva solo ad immaginare il nulla. Come previsto il fuggitivo era stato subito riacciuffato dalle macchine di controllo e rinchiuso nella sua unità abitativa. Chissà per quanto sarebbe stato sottoposto a terapia riabilitativa per fargli capire come potesse essere potenzialmente pericoloso un contatto ravvicinato tra due esseri viventi. Perché poi la paura era proprio quella: il contatto. L’eccessiva vicinanza tra le persone aveva portato l’uomo quasi all’estinzione. Bisognava evitare qualsiasi avvicinamento per preservare la specie. Questa era la legge e andava rispettata.
«Ludovica 0#834 la colazione è terminata. È ora di lavare i denti e iniziare il lavoro».
Lavati i denti si sedette davanti al monitor di un enorme computer.
Il compito di Ludovica era quello di analizzare le richieste inviate da coloro che volevano essere esentati dal lavoro per gravi problemi. Sarebbe stato impossibile imbrogliare, i computer di casa come Trevor sapevano sempre chi era un malato immaginario e chi no. Ma Ludovica doveva stilare una specie di classifica, stabilire chi avesse una necessità maggiore di essere esentato e chi, invece, poteva ancora pazientare. Lo scopo era quello di non concedere l’esenzione a troppe persone contemporaneamente, così da non mettere a rischio la complessa macchina organizzativa meccanizzata che rendeva possibile la vita quotidiana standard di ognuno.
Alle 17:00 in punto Trevor distolse la giovane dal suo lavoro: «Ludovica 0#834 l’orario di lavoro è terminato. La cena sarà servita precisamente alle 20:30. Dopo l’aperitivo social delle 19:00».
Ah già l’aperitivo…l’aveva dimenticato. Fantastico!
«Ora puoi dedicarti a ciò che ritieni più opportuno fino alle ore 19:00», aggiunse Trevor. «Ti ricordo che fra dieci minuti andrà in onda sul canale degli spettacoli il favoloso approfondimento storico sull’epidemia del 2245. Avevi mostrato interesse, puoi decidere se guardarlo o no».
Grazie, grazie davvero per la gentilezza pensò in un lampo.
«Tra otto minuti inizierà l’approfondimento, ti consiglio di accendere la televisione. Il canale è quello degli spettacoli».
«Ti ringrazio Trevor, comunque l’avrei trovato. Sai ci sono solo due canali: uno che trasmette notiziari tutto il giorno e uno su cui si può guardare qualcosa di divertente. A volte».
Andò in cucina e sedendosi in poltrona disse alla televisione di accendersi. Il notiziario stava parlando della pioggia, ancora una volta si trattava di un evento molto violento ma questa non era una novità. Tutti i fenomeni climatici erano ormai potentissimi e pericolosi. Anche il sole, stando ai documentari, aveva ormai dei raggi talmente forti da risultare quasi impossibile da sopportare. Ludovica cambiò canale proprio nel momento in cui iniziava il programma che le interessava. Vedere le persone del passato era emozionante e sorprendente. Certo era che non le sembravano molto felici, avevano un sacco di problemi di cui lei conosceva solo il nome: inquinamento, disoccupazione, violenza. Violenza? Quella se la spiegava a malapena. Se qualcuno voleva fare del male a qualcun altro bastava che i due non si incontrassero più no? Era quella la soluzione. Invece le persone del passato sembravano così desiderose di vedersi. Le sue letture erano state illuminanti sull’argomento. Nei vecchi tempi gli uomini si stringevano la mano, si scambiavano baci. Stolti. Così si era arrivati alla terribile epidemia del 2245. Migliaia e migliaia di morti. Era tutto così misterioso nel passato. Il suo mondo era più semplice: facevano tutto le macchine, gli uomini controllavano il loro operato e, pochi intelligentissimi soggetti, sovrintendevano su tutti i robot, poiché erano gli unici in grado di gestirli. Stop, fine. Gli esseri umani tra di loro non s’incontravano mai e così la vita scorreva tranquilla e in tutta sicurezza. Anche la sopravvivenza della specie era assicurata dalle macchine. Misteriosamente. Questo pensiero le diede una scossa e, con enorme sorpresa, si accorse che il documentario era finito. Ma come mai Trevor… «Ludovica 0#834 il documentario è terminato. Sono precisamente le ore 18:15. Alle ore 19:00 c’è il tuo aperitivo social. Hai tre quarti d’ora per preparati».
Così poco tempo. Aveva perso più della metà di un documentario che le interessava perché persa nei propri pensieri. A volte la sua mente faceva degli scherzi e lei, dopo, aveva una strana sensazione, come se non fosse più al sicuro. Si alzò lentamente dalla poltrona e piano si avviò verso la sala ricreativa. Il suo computer con megaschermo era già in funzione e collegato al sito degli acquisti di abiti. Doveva vestire Clelia, la se stessa virtuale che avrebbe partecipato all’aperitivo di lì a poco. A volte desiderava ardentemente indossarli lei quei vestiti, provarli…ma a cosa sarebbe servito? Lei non vedeva mai nessuno, compresa se stessa. Ma Clelia poteva vederla, doveva smetterla di indugiare. Decisa, si diede una svegliata con un bel pizzico sul braccio.
«Va bene Trevor, iniziamo dalla gonna. Perché voglio una gonna…».
Era talmente assorta che non si accorse subito della finestra di dialogo. Qualcuno la stava contattando via chat. Quando se ne accorse, Ludovica rimase immobile con le mani sulla tastiera, guardando quel puntino verde che segnalava un messaggio come se fosse infetto. L’aperitivo non era ancora iniziato, non riusciva minimamente ad immaginare chi potesse essere. Più impaurita che curiosa cliccò sull’icona e lesse il messaggio.
«Ciao! Mi piacerebbe conoscerti».
Conoscerti. Ludovica si guardò attorno come se temesse che ci fosse qualcuno nella stanza. Conoscerti. Ma chi voleva conoscerla? Nel mondo in cui viveva lei nessuno voleva conoscere nessuno. Lei stessa non aveva alcuna voglia di fare la conoscenza di qualcuno. Avere contatti un po’ più ravvicinati poteva provocare controlli robotici, e lei non lo voleva assolutamente. Quel messaggio andava contro ogni regola, non avrebbe nemmeno dovuto leggerlo. E se Trevor se ne fosse accorto? Cancellarlo, ecco l’unica soluzione. Indecisa tra terrore e fascinazione si alzò dalla sedia senza premere il pulsante canc. Camminava su e giù per la stanza, nervosa. Poteva essere una richiesta di aiuto. A quell’idea si fermò di botto, qualcuno poteva essere in pericolo e chiedeva soccorso. E lei cosa avrebbe fatto? Cosa poteva fare? Nessuno era in pericolo nel suo mondo.
«Ludovica 0#834 perché cammini così nella stanza? Hai qualche dolore?». Ancora una volta la voce di Trevor la colse talmente impreparata che, nel cercare di rispondere, iniziò a parlare quasi balbettando.
«N…No Trevor grazie. Sono solo molto indecisa…».
Qualcuno voleva conoscerla. Ma in che senso? Doveva capire. Prima di poterci ripensare si chinò sulla tastiera, rimanendo però sempre in piedi, e digitò una risposta che era a sua volta una domanda.
«Cosa vuol dire conoscermi?».
Dovette aspettare meno di un minuto.
«Sapere cosa pensi, cosa ti piace, quali sono i tuoi desideri. Magari vederti. Conoscerti».
Questa era pura follia, vedersi era rigorosamente vietato. Che razza di… Cosa ti piace? Mi piacciono i documentari sul mondo del passato, semplice. Ora era arrabbiata. Cosa desideri? Nulla, lei non desiderava assolutamente nulla. Le sembrava tutto così assurdo e fuori luogo. Forse era uno scherzo. E chi faceva scherzi? Perché far ridere una persona se poi non potevi vederla ridere? No, non era uno scherzo e lei doveva fare qualcosa. Doveva cancellare tutto e sperare che Trevor non si accorgesse di nulla. Si…
«Non so chi tu sia e non voglio scoprirlo. Non ho alcun desiderio di conoscerti, tu sei pericoloso. Tutto questo è assolutamente irregolare».
Poggiò le mani sulle gambe e sentì di aver fatto la cosa giusta. Con una nuova serenità si apprestò a conversare con i suoi amici virtuali che, nel frattempo, avevano raggiunto Clelia per il loro aperitivo social.
In un altro punto del globo, in un posto che una volta si chiamava New Delhi, la macchina robot S38 leggeva la risposta di Ludovica dalla sua sala di controllo. S38 era uno dei robot che controllavano la vita all’interno delle unità abitative. Gli uomini controllavano le macchine e le macchine controllavano gli uomini. Ma a S38 sfuggiva l’ironia della cosa. Aveva imparato molto sugli uomini. Erano piuttosto complicati. Avevano spesso reazioni che proprio non poteva capire. Ricordò un umano con i capelli tutti bianchi che un bel giorno si era alzato dal letto, era andato in cucina, aveva preso un coltello e, tornato in camera, era salito su una sedia ed aveva iniziato a pugnalare l’allarme sulla parete. C’erano voluti due robot guardiani per calmarlo. Anche altri si comportavano in modo strano. Aveva analizzato, studiato, cercato tantissimo. Aveva scandagliato il vocabolario per dare un nome a tutto quello che vedeva e sapeva che, molte delle cose osservate, erano collegate alle cosiddette “emozioni”. Gioia, tristezza, rabbia, solitudine. Erano tantissime e lui conosceva il significato letterale di ognuna di esse, ma non riusciva a capirle. Il motivo profondo per cui si rideva o si piangeva ancora non l’aveva scoperto. Poi gli era stata assegnata Ludovica 0#834. Lei non aveva reazioni assurde ma aveva i suoi momenti di fuga, S38 li chiamava così. Mentre stava magari guardando la televisione all’improvviso sembrava distrarsi, dimenticare ogni cosa; girava lo sguardo verso un punto della casa e rimaneva così fissa per periodi di tempo anche piuttosto lunghi. Cosa faceva? Dai suoi studi S38 sapeva che gli esseri umani avevano la capacità di formare immagini nella propria mente, di concentrarsi su cose anche totalmente diverse da quelle che in quel momento stavano facendo. Si chiamavano pensieri, nascevano all’interno della mente e, con sua grandissima contrarietà, non li poteva analizzare. S38 fece la cosa più logica: chiedere direttamente all’umana. Non era regolare ma lui lo fece. Il rifiuto di Ludovica 0#834 lo lasciò spiazzato, incerto. Perché non voleva dirglielo? Di certo era per il rispetto delle regole, non poteva essere altrimenti. Chiuse rapidamente quella finestra di conversazione e rimase lì, a contemplare lo schermo. S38 non poteva avere pensieri umani, eppure rimase immobile come spesso faceva Ludovica 0#834. Quando si ridestò il suo senso di smarrimento fu profondo. I minuti erano trascorsi senza che lui se ne accorgesse. Che aveva fatto? Non lo sapeva. Con lentezza poggiò le sue mani nere, perfettamente lucide sulla tastiera e tornò al suo lavoro ma niente gli sembrò più come prima. Si sentiva…strano. Se avesse analizzato di nuovo tutta la gamma delle emozioni umane; se avesse ancora guardato il significato di quei termini di cui non afferrava il senso profondo, allora, per definire come si sentiva in quel momento, avrebbe scelto la parola malinconia.
Mi incuriosisce molto, sarebbe bello approfondire il dialogo e tutta la trama, magari ci puoi ricavare un bel romanzo. Io lo leggerei sicuramente
Intrigante, sarebbe interessante approfondire e sviluppare una storia più lunga e completa partendo da questa premessa!
Grazie Chiara e grazie Davide. Dai vostri commenti mi sembra di capire che non devo abbandonare questa storia, grazie mille.
Ciao, questo racconto potrebbe essere davvero l’ anticamera di un bel libro! Quando ho finito di leggerlo mi sono posta la domanda ‘e poi?’. Ti prego, credici e continua!
Un racconto inusuale e interessante che,soprattutto in questo tempo, stimola alla rilfessione sul tema della conoscenza, del contatto, del concetto di pericolo. Davvero originale, brava!
Grazie mille, gentilissima!
Concordo. Sarebbe un ottimo spunto per un romanzo.
Grazie davvero, troppo gentili. Devo davvero riflettere su un futuro romanzo allora!