Premio Racconti nella Rete 2020 “Smart Working” di Daniela Schettini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Non pensavo che mi avrebbe distratto il tubare di un piccione o il rumore della centrifuga della lavatrice dall’altra parte del muro, ma ormai è un fatto accertato : le pareti sono di carta velina e in questa casa si sente di tutto, dai rumori corporali agli interruttori che si accendono.
Non me ne ero mai resa conto. Forse perchè io a casa non ci sto mai, esco all’alba e torno a notte fonda. Anzi, uscivo all’alba e tornavo a notte fonda. Prima di questo assurdo lock down. Il problema è che a casa non riesco a concentrarmi, il lavoro è persino aumentato e io sto perdendo un sacco di tempo a fissare lo schermo della televisione invece che quello del computer.
Ma non dipende solo da me, sono bloccata per colpa del maledetto Mauro. Ieri sera l’ho supplicato di farmi avere i suoi dati entro l’ora di pranzo ma ovviamente non c’è nemmeno una mail dal mittente Mauro Poretti.
Era strano, incazzato per l’ingiusto trattamento subito, due settimane di ferie forzate mentre tutti noi stavamo già in smart working e nessun supporto tecnico per aiutarlo con le impostazioni del computer e bla bla bla. Io non dico che non ha ragione, ma con la situazione irreale e terribile che stiamo vivendo ci vuole anche un po’ di elasticità … e che cavolo. E poi se lui non mi consegna i dati per la statistica su base regionale con le percentuali di scostamento ci vado di mezzo io, mica lui.
F9. La posta si aggiorna, sei nuove mail ma niente da Mauro. Sono le quattro, mi tocca chiamarlo sperando di riuscire a neutralizzare l’immancabile inutile polemica.
Uno squillo, due, tre, quattro, cinque, parte la segreteria.
Che pazienza, passiamo a whatsapp. “Ciao Mauro mi fai sapere per quei dati ? Aspetto anche fino a tardi. Grazie”. A questo punto non posso fare nulla, mi alzo dalla sedia e trasloco sul divano ma ovviamente il nostro silenzio non è passato inosservato, lo smart working non rende invisibili.
“Pronto ? Si direttore, lo so perfettamente, ma sa ci sono alcune difficoltà di colloquio… si lo so, per domattina, al massimo, certo”.
Ecco, è partita la prima figuraccia, per colpa del maledetto Mauro.
F9. Ormai non siamo più in orario di lavoro, solo due messaggi e sono tutti spam.
Richiamo Mauro al cellulare, cinque squilli e riparte la segreteria. Ricontrollo whatsapp, il messaggio che gli ho inviato prima non è stato letto.
Azzurro. Sono le sei perché fuori si sente ”Azzurro” e il solito ridicolo casino dai balconi.
Devo pensare a un piano B, se Mauro non mi consegna i dati devo trovare un’alternativa. Elaborarli da sola è impossibile, non ho il software e per riscrivere i programmi ci vuole un mese.
Forse potrei utilizzare l’ultima statistica, farmi mandare solo gli aggiornamenti e modificare il prospetto manualmente.
“Carlo mi serve un favore urgente. Potresti mandarmi gli aggiornamenti per regione per il prospetto B1 ? Perché non puoi ? Ah, non voglio discutere su cosa è più urgente. Ma per caso oggi hai sentito Mauro ? Ah, non ha inviato nemmeno la rassegna stampa stamattina, si, gli gira proprio male”.
Ok, Mauro Poretti è in cerca di guai e io forse li ho già trovati, per colpa sua. E’ compito suo anche la rassegna stampa che tutte le mattine arriva a direttori, vicedirettori, coordinatori e altri inutili occupanti di piramidali poltrone aziendali.
F9. Niente. Cinque squilli e segreteria. Niente. Ho lo stomaco contratto e una rabbia che rivolgo subito contro me stessa per essermi messa nella condizione di dipendere da quel mentecatto, cretina cretina cretina. Ci penserò domani, per stasera sono impotente.
***
Desolazione. Ecco cosa mi ispira la lettura delle mie mail. Solo desolazione, niente da Mauro Poretti e in compenso già due solleciti scritti in Arial 24 grassetto evidenziato in giallo. ”URGENTE”. Respiro profondamente, mi armo di pazienza e comincio.
Cellulare. Cinque squilli e segreteria. Whatsapp. Ma il messaggio di ieri non è stato letto. Mail ufficiale di sollecito con il capo per conoscenza. Sono costretta, caro Mauro non mi dai scelta.
Ora devo pensare a come uscirne viva. “Carlo scusa se ti disturbo di nuovo ma oggi puoi aiutarmi con quella statistica ? Ma figurati, certo che aspetto, tranquillo, dimmi tu quando sei pronto. Notizie di Mauro ? Ah, anche oggi niente rassegna stampa, immagino i nervi del direttore… ci sentiamo dopo”.
“Pronto ? Si direttore, scusi ma ho un problema con il mio collega, sono mortificata ma sto provvedendo, non si preoccupi, si al più presto”.
F9. Compare la mail di Carlo Lovelli, c’è in allegato il foglio excel con i dati aggiuntivi, sarà dura aggiornare a mano la statistica ma mi metto subito al lavoro, devo farcela entro le sei.
Ecco, ho finito, gli occhi mi bruciano e mi rendo conto di essere affamata e assetata, mi sono praticamente dimenticata di pranzare, e di andare in bagno. Modugno sta terminando di cantare “Volare”. Chiamo Mauro per comunicargli che non mi serve più, ma questa volta la segreteria parte subito. Telefono staccato e messaggi whatsapp non letti. Chi se ne frega, problemi suoi.
***
E’ il mio capo, di sabato mattina. Che cavolo sarà successo ? “Pronto ? Certo che sono a casa, perché ? Non capisco… dove dovrei andare ? Ma non si può uscire, devo mettere mascherina e guanti e se mi fermano che gli racconto ? Ah, mi mandi una mail da allegare all’autocertificazione, ok. Ma perché proprio io ? Non lo sapevo, va bene vado e ti faccio sapere”.
Mauro Poretti abita a cinquecento metri da casa mia, non ha famiglia e i colleghi pensano che sia strano il silenzio e il mutismo degli ultimi quattro giorni. Questa telefonata mi ha rovinato la giornata, non dovevano chiedermi di uscire, io cerco di farlo il meno possibile, mi faccio persino consegnare la spesa a casa ! E poi non siamo così in confidenza.
Suono al citofono. Nessuna risposta. Risuono. Niente. Scelgo il campanello di un interno che mi sembra contiguo al suo.
“Chi è ?”
“Mi scusi, sono una collega di Mauro Poretti, non mi risponde da giorni, lei per caso l’ha visto ?”
“No, non lo vedo da una settimana, ma sono giorni che la sua macchina non è parcheggiata nel garage condominiale, forse è partito, qualche volta va in campagna”.
”Bè sarebbe strano, siamo tutti in smart working… Mi può aprire ? Vorrei provare a bussare alla sua porta”.
La signora mi apre e quando arrivo sul pianerottolo del secondo piano è li che mi aspetta. Si tiene a distanza e ha la mascherina. Io suono tre volte, nessuno risponde, nessun movimento, silenzio, e non sono sorpresa.
No, non sono sorpresa, perchè l’ho già sentito. L’ho già sentito, non in questo modo, passare lento e insidioso attraverso la mascherina, ma tutto insieme, violento e terribile.
La superficie dura e rugosa sotto i miei piedi non è il marmo del pianerottolo, è la piattaforma di cemento del piccolo serbatoio d’acqua nella tenuta agricola dei nonni. Mi sono avvicinata al serbatoio di ferro perché qualcosa mi ha avvolto testa e gambe e mi ha portato lì, mi ha proprio spinto fino a lì. Un odore denso e appiccicoso, marcio e dolciastro che diventa più pesante sul viso man mano che mi avvicino . Ora è cos’ì pesante che non riesco a respirare, mi copre la faccia e non so come scacciarlo, d’impulso mi tappo il naso e vado avanti. Ecco, sono arrivata sulla piattaforma di cemento, mi sollevo in punta di piedi per guardare dentro e eccolo li. Non era scappato per inseguire una cagnolina in calore, non mi aveva abbandonato. Era solo affogato in un metro d’acqua. E non sono sorpresa, non sono sorpresa perché solo i miei nonni potevano pensare che mi avrebbe lasciato, era chiaro che doveva essergli successo qualcosa, e finalmente dopo dieci giorni piango, riconoscente. Si, gli voglio ancora più bene perché mi ha dato ragione, anche se essere sicuri che sia lui non è facile, la cosa là dentro è gonfia e strana, e poi quell’odore…
Quell’odore, meno forte, più viscido e mutevole ma inconfondibile.
Sirene e rumore di seghe elettriche. La signora continua a ripetere la sua litania mortificata e addolorata “Non c’era la macchina… non c’era la macchina”. Io resto lì semplicemente incapace di allontanarmi, credo che la signora non abbia nulla da rimproverarsi, c’è chi ha fatto di peggio, chi lo ha maledetto per la sua inaffidabilità, chi ha scaricato su di lui responsabilità, chi non si è fermato nemmeno per un attimo a cercare tracce di una tragedia. Maledetto smart working, maledetto distanziamento sociale.
Quando i vigili del fuoco aprono finalmente la porta riesco solo per un attimo a fissare la scena. E’ una scena di una pace paradossale e assurda visto il caos che irrompe. Mauro sul divano davanti al televisore acceso, indossa una tuta da ginnastica e è leggermente inclinato su un lato, non riesco a vedere il viso ma registro solo la posizione leggermente anomala che ha assunto. Prima di essere bruscamente allontanata mi colpisce un fulmineo e incongruo moto di sollievo, dormiva, non ha sentito nulla.
Smart working. Smart for dying.