Premio Racconti nella Rete 2020 “Toccò a Paola” di Alessio di Lallo.
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Il rischio era grosso e tirarono a sorte. A chi avesse pescato la pagliuzza corta, sarebbe toccato intrufolarsi nel cantiere, sgusciare tra i mezzi a rischio di essere sorpresi da un sorvegliante notturno, penetrare nel tunnel fino alla trivella, cospargerla di benzina e filare via, dopo aver dato fuoco. Il rischio era grosso ma nessuno si tirò indietro. Toccò a Paola. E Paola andò.
Cinque anni dopo, Paola si svegliò all’improvviso, prima dell’alba. Mario era accanto a lei. Dormiva. Guardò la luce dei lampioni che filtrava dalla finestra disegnando riquadri sul soffitto. Era sudata. Aveva sognato di nuovo quella notte. Il cantiere. Le grida. La fuga. La caduta. Una vampata improvvisa, il bagliore, l’odore forte e sconosciuto. Poi nulla fino al risveglio in ospedale, accanto a Mario. Sospirò profondamente.
Mario. Un perfetto sconosciuto, fino a quella notte. All’epoca, uno dei guardiani assunti per prevenire le irruzioni degli attivisti. Era stato lui a sorprendere Paola nel cunicolo. Al momento dell’esplosione tutti e due avevano respirato quello strano gas fuoriuscito dalla roccia. Lui l’aveva portata fuori di lì, priva di sensi.
Paola cercò di riprendere sonno. Aveva voglia di alzarsi ma Mario dormiva sodo e non le andava di svegliarlo. Lui non avrebbe detto nulla, certo. Non diceva mai nulla. La seguiva ovunque, a testa bassa. Gli occhi tristi. Quegli occhi. Paola non li sopportava. Tornò a guardare il soffitto e intanto pensava.
La prima settimana, lei e Mario l’avevano passata in una stanza di ospedale, vicini. Su Paola il gas non aveva avuto effetti dannosi, mentre lui sarebbe morto se i medici non avessero capito in tempo che le sue condizioni peggioravano, inspiegabilmente, quando veniva allontanato da lei. Da allora li avevano tenuti sempre vicini e, poco alla volta, Mario era migliorato, fino a stabilizzarsi.
Alle sette suonò la sveglia. Si alzarono. Paola andò in bagno per prima. Mentre faceva pipì sapeva che lui era esattamente dietro la parete, attaccato al muro, ma non ci faceva più caso. Quando uscì, fu il turno di Mario. Paola si acquattò alla parete e aspettò. Sentiva tutto, naturalmente. A questo, ancora non riusciva ad abituarsi. Provò, come tante altre volte, l’impulso di scappare, uscire da casa, mettersi a correre. Ripensò all’incidente di tre mesi fa, quando era rimasta sola nell’ascensore. Ricordò le grida di lui, rimasto a terra, mentre la cabina saliva. Lontano da lei. Provò un brivido.
Di quel nuovo virus, dopo una infinità di analisi non avevano capito nulla oltre al fatto che era inoffensivo per la donna, mentre attaccava in modo violento l’organismo dell’uomo. A meno che, naturalmente, non ci fosse lei nelle immediate vicinanze. Avevano paragonando il corpo di lei ad una sorta di elettromagnete, che genera attorno a sé un campo di energia. Quando Mario si trovava immerso in questo campo, il virus smetteva di aggredirlo. Non appena ne usciva…
Paola sentì lo sciacquone. Tre minuti e Mario uscì dal bagno. Vestito e pronto. Scesero le scale, affiancati.
Vivevano così da tre anni. A poche settimane dalle dimissioni, le loro vecchie vite, a cui si erano aggrappati disperatamente, si sgretolarono. Dopo un po’ si erano rassegnati alla convivenza. Valeria, la compagna di Paola, l’aveva lasciata, senza troppe spiegazioni. Il padre di Mario, l’unica persona che gli fosse rimasta, era morto negli stessi giorni.
Per strada, Mario non disse una parola, come sempre. Indossò le solite cuffiette. Paola riconobbe il groove malato dei PCC. Sempre lo stesso pezzo. Due, anche tre volte al giorno. Immaginò senza fatica cosa avrebbe ascoltato dopo: Who, Area, Clash. Paola odiava quella roba. Amava il rap. Eppure non lo ascoltava più da un po’. Per qualche motivo le cuffie producevano un fischio fastidioso. Forse una interferenza di qualche tipo con il chip che portava dietro la nuca.
Il chip. Paola aveva lottato contro questo strumento, ma fu costretta ad accettarlo. Inizialmente concepito in modo da impedire alla donna di allontanarsi dall’uomo, attraverso l’emissione di scariche elettriche, era poi diventato una sorta di GPS che segnalava alle autorità ogni eventuale allontanamento. Non esistendo una cura, l’unico modo per salvare la vita dell’uomo era stato adottare una forma di controllo sociale: legare i due attraverso un dispositivo di monitoraggio. Una fuga di Paola sarebbe stata considerata a tutti gli effetti un omicidio.
Paola gettò nel carrello le sue bistecche di seitan. Mario due birre. A pochi passi da loro una donna bionda e un uomo anziano. La spesa era un rito settimanale scandito da turni e regole precise. Coppie di persone tra loro sconosciute, le une accanto alle altre. Si muovevano per negozi e supermercati come quella specie di pappagalli, gli inseparabili. Paola era in cerca di una radice di zenzero, quando la donna bionda fece cadere il carrello e iniziò a correre verso l’uscita. Ci fu un momento di confusione. Paola guardò l’anziano rimasto solo. Se ne stava immobile, fissando l’uscita, senza tentare di inseguire la donna. Gli occhi fissi nel vuoto, mentre intorno si faceva il silenzio. C’erano altre coppie in quel momento. Tutti gli uomini si scambiavano sguardi sconvolti. Mario no. Mario fissava Paola con una espressione strana. L’anziano iniziò a impallidire e si accasciò a terra lentamente. Nessuno si avvicinò. Paola abbandonò la spesa e si allontanò rapida, seguita da Mario. Non voleva vedere. Uscirono in strada, raggiunsero la fermata dell’autobus. In quel momento l’anziano aveva certamente già iniziato a decomporsi.
Tre anni prima, i medici avevano sospettato subito di trovarsi davanti a qualcosa di contagioso, ma non avevano immaginato quanto. Nonostante tutte le misure adottate, il virus si era diffuso rapidamente e, nel giro di pochi mesi, erano stati migliaia i morti. Prima dell’introduzione del chip, migliaia di uomini infetti avevano iniziato a invecchiare a vista d’occhio. Ogni giorno sembravano passare anni. Il decorso della malattia non lasciava scampo, la velocità dell’invecchiamento aumentava esponenzialmente. Un uomo anziano non poteva sopravvivere che poche ore. Dopo la morte, il disfacimento non cessava, il corpo si decomponeva in pochi minuti per poi scomparire del tutto nel giro di mezz’ora.
La fermata era deserta. Mario taceva. Paola si chiese se stesse pensando all’anziano. A quest’ora, probabilmente, di lui non era rimasta che una crosta nera e putrescente. Mario stappò la birra. Un bus comparve alla fine della strada. Non era il loro. Mario rimise le cuffie e si appoggiò a un lampione.
Negli ultimi mesi le fughe erano aumentate. Nonostante la prospettiva certa di una condanna, sempre più donne scappavano. La gente intorno, ormai senza sorpresa, assisteva al rito liberatorio dell’abbandono. Ci si guardava negli occhi con sospetto.
Il bus arrivò in fermata, vuoto. Paola guardò Mario. Il viso rugoso. I capelli bianchi sotto il berretto dei Lakers. Aveva trent’anni, ma ne dimostrava ottanta. Paola si chiese quanti anni sarebbe durato ancora. Dieci, forse. Lei ne avrebbe avuti quaranta. Ripensò alla donna bionda e si chiese se l’avessero già arrestata. Probabilmente sì. Si chiese se aveva fatto resistenza, quanti anni le avrebbero dato. Non l’ergastolo. L’uomo era vecchio. Forse venti o forse anche meno. Si chiese quanto avrebbero dato a lei se fosse andata via ora. Se avrebbe sopportato il carcere. Guardò l’autobus. Le porte ancora aperte. Nessuno dentro. Un idea improvvisa. E se fosse stato un incidente? Ripensò all’ascensore, alla distrazione di Mario. Pensò che non c’era nessuno. A parte l’autista. Il rischio era grosso, forse non le avrebbero creduto. Le porte si mossero. In un attimo si decise. Salì. Appena in tempo. Il cuore in gola. Il mezzo partì. Si voltò. Mario era ancora in piedi alla fermata, immerso dei suoi pensieri. Lo vide diventare sempre più piccolo. Non si era accorto di nulla.
Cinque minuti dopo Paola avrebbe detto all’autista che era successa una disgrazia. Senza fretta.