Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “La mia infanzia” di Rosanna Catalano

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

L’infanzia è l’età della magia. Quando la viviamo non ne abbiamo coscienza, è l’istinto a guidarci. Nel ricordo questa stagione si tinge d’oro e tutto ci appare sfumato come in un sogno. Unica epoca felice della vita umana per Leopardi,per me è stata uguale a quella di tante bambine con tanti momenti belli ma anche tanti umidi di pianto. Il denaro, la mancanza di denaro ingenerata da uno dei più brutti vizi,il gioco a carte,è stata per la mia famiglia fonte di tante afflizioni che si riverberarono fortemente sul mio stato d’animo con paure e fremiti indicibili. Mio padre nato in America in una famiglia di emigranti che si erano ben inseriti nel mondo artistico raggiungendo fama e benessere,aveva subito la perdita del padre a soli 38 anni. La famiglia, minacciata dalla Mafia americana, negli anni ’20, fu costretta a fare ritorno in Sicilia. Quella fu la fine del sogno americano e l’inizio di un triste percorso per mio padre unico figlio maschio fra sei sorelle. Forse per colmare il vuoto o per cercare di supportare economicamente la famiglia si avviò pian piano verso l’incubo di questo maledetto vizio. L’altro lato della medaglia è però lucido,splendido. La sensazione di unità e di amore che si respirava nella mia  famiglia andava oltre quella spina che pungeva il nostro cuore ad intermittenza. Ci convincevamo  sempre di più che ogni cosa nella vita è passeggera, che ce lo saremmo lasciati alle spalle quel tormento e che  la vera ricchezza era la salute.

Il suo carattere amabile, estroverso,spontaneo,gioviale lo rendevano simpatico a tutti e la sua cultura era così vasta che noi e gli amici e i parenti ci scordavamo spesso di questo neo presente nella sua vita.

 La musica è una costante nella mia età infantile. Mia madre da giovane aveva frequentato il Conservatorio  e suonava il pianoforte in maniera straordinaria; papà, innamorato della musica classica, inondava la nostra casa con le melodie di Strauss, Tchaikovsky, Suppè, Wagner.

 I 33 giri, immancabilmente collocati già ad ora di pranzo sul giradischi, diffondevano quasi per l’intera giornata  a volume altissimo quelle sinfonie al punto tale che molte le imparai a memoria, talmente a memoria che ero in grado di perdermi dietro quella musica con gli occhi chiusi proprio come mio padre. Contento della mia indole musicale lui sognava orgogliosamente per sua figlia una carriera di Direttrice d’orchestra e spesso, durante il pranzo, mi pregava di dirigere con una matita in mano seguendo il ritmo della musica come se mi trovassi davanti ad un’orchestra. Io insuperbita assumevo la postura di un Direttore d’orchestra e seguivo la gestualità di mio padre e il fluire di quelle note dolcissime. Uno dei ricordi più belli della mia infanzia è l’arrivo dei pacchi americani da parte delle zie e della nonna. Io, Saro, papà, mamma ci mettevamo tutti intorno al tavolo. Il pacco veniva posato solennemente al centro e cominciavamo a guardarlo e ad annusarlo con grandissima emozione poi, zitti ci chiedevamo con gli occhi chi dovesse aprirlo, era però sempre papà a prendere l’iniziativa aiutandosi con un coltello. Correvamo a vedere gridando in coro Ohh!! E subito ci precipitavamo a togliere la carta velina bianca con un affanno ansimante. Io e Saro facevamo a gara per estrarre il primo regalo e, come dalla borsa di Mary Poppins, uscivamo  barattoli di marmellata, mostarda, caffè, magliette, foulard, calze, scarpe. C’era di tutto! Non mancavano mai le foto della zia Venzy, legate da un elastico e avvolte in un fazzoletto di seta rosa. Ciò che mi eccitava era il profumo; dolce, intenso, strano. Avvolgeva ogni cosa che fosse in quel pacco. Questo è l’odore dell’America mi dicevo. Pensavo che in America tutto sapesse di quella fragranza bellissima che doveva appartenere senz’altro alla zia Venzy. Con questa convinzione mi abbracciavo il vasetto di marmellata illudendomi di stringere la cara zia americana che non avevo mai conosciuto. Immaginavo di vederla avvolta nella sua pelliccia bianca con gli orecchini verdi, dello stesso colore della borsetta e delle scarpe, così come nelle foto. Mia mamma correva felice davanti allo specchio col foulard azzurro attorno al collo e, sorridendo, prendeva il rossetto, lo spalmava sulle labbra e, in posa da star, si compiaceva della sua splendente bellezza. Era così aggraziata da togliere il fiato!!!All’apertura del pacco negli anni seguiva la telefonata in America. Quel telefono nero sulla scrivania di mio padre era un oggetto sacro da guardare a distanza. La magia di sentire le voci della zia  e della nonna che sembrava provenissero da un altro mondo mi creava dentro un subbuglio e un’agitazione così intense da non saper distinguere se era sogno o realtà. “Nonna sono Rosanna!”. “Hello! Hello!!”  sentivo. La mia commozione si trasformava in lacrime quando osservavo papà parlare con sua madre con gli occhi lucidi. Non mi capitava mai di sentirgli dire la parola “Mamma” e proprio nel momento in cui la pronunciava la sua voce si incrinava e a stento continuava la conversazione. Una dolcezza infinita! Un altro ricordo bellissimo è la villeggiatura ai Serroni. Era una grande tenuta di proprietà della famiglia della nonna materna,Grazia Bonanno. Il baglio immenso era circondato dalle cucine e dai magazzini pieni di botti di vino. Si accedeva da una grande arcata. Al centro nerissima campeggiava la macchina per il mosto. Era ormai vecchia, di ferro arrugginito col tubo di ferro retinato circondato da un basso muretto. Quel rudere diventò il cavallo mio e di mia cugina Vera. Cavalcavamo felici urlando “all’arrembaggio!!” e viaggiavamo felici in mezzo a scene di guerra incantata. A volte con la cintura del nonno provavamo a fermare quel cavallo: ”Fermati,fermati!Basta!”.Scendevamo contente delle nostre battaglie e subito andavamo a riposarci nella nostra casa sotto il carrubo. Era un albero gigantesco con i rami a forma di cupola così fitti che non permettevano di entrare. Avevamo fatto tagliare qualche ramo dallo zio Vito e quella era la nostra porticina di accesso. Sotto la cupola eravamo al sicuro. Il sole filtrava attraverso le verdi foglie creando un’atmosfera da sogno. Era la nostra dimora magica. Al centro un tavolino di pietra ruvida,ci siedevamo su grossi sassi e, imbandita la tavola cominciavamo a schiacciare le pigne. Nessuno poteva entrare. Quello era il castello e noi le principesse in attesa del Principe azzurro. Vera si affacciava allargando il fogliame con le mani e diceva:”Sta arrivando il Principe col cavallo bianco!!!! Sceglierà me o te?”. “Non lo so, dipende dalla scarpetta!” rispondevo ridendo. ”Ma quale castello!!!” scoppiava Vera e poi aggiungeva:”Chissà se un giorno incontrerò il mio principe!!”. ”Tutte lo incontreremo!!!!” rispondevo. ”Io voglio incontrare  un principe ricco, pieno, pieno di soldi!!” sussurravo a Vera che mi accarezzava e mi abbracciava. Ad un tratto: ”Venite a mangiare”. “E’ la zia Rosa, andiamo!!”. La sera, dopo cena,tutti,adulti e bambini,nonni, zii e nipoti eravamo soliti sederci a cerchio nel baglio. Immancabilmente mio nonno sfoderava il suo repertorio di  battute e  barzellette licenziose. I suoi racconti creavano suspense poi all’improvviso arrivava la battuta volgare, inaspettata ma succulenta. Mia nonna borbottava seccata. “Sei sempre il solito! Ci sunnu li picciriddri! Finiscila!!”. “E chi è l’unica che non ride e non accetta lo scherzo? Mia moglie! Ti dico che tu sei troppo seria. Ridiamo!! Che dobbiamo fare?” diceva mio nonno fra il serio e il faceto. Incurante della nonna continuava con i suoi aneddoti invogliato insistentemente da tutti. Era il nostro spettacolo serale. Le risa riecheggiavano nel buio silenzio della campagna rotto dal solo canto delle cicale. Una sera ci invitò tutti a guardare la luna. Era piena! Fulgente! Iniziò col dire che quella sera la luna aveva occhi ammalianti come una sirena,il naso sottile e la bocca carnosa da baciare. Non si fermò lì. Continuò dicendo che più si scendeva e più bella era. Peccato però che lei nascondesse il suo corpo sensuale con una nera nube come fosse un elegante abito da sera. Attoniti contemplavamo con gli occhi in su quasi fingendo di vedere il corpo della luna. Allegramente nonno Peppino diceva:” Io vedo le sue gambe diritte e belle come le candele! Voi no?”. E tutti a ridere. ”Ridete,ridete! Non vedete un corno e ridete!” diceva serioso, poi di colpo scoppiava a ridere. Alla fine della serata quando la stanchezza e il sonno ci prendevano la nonna accendeva lo stoppino intriso di olio e lo infilava nella fessura del lume. La stessa cosa facevano le zie e così, in processione, ci avviavamo verso la porta d’ingresso della grande casa. Il calpestio nella piccola scala, l’odore,  quel disco di luce, riflesso sul muro che saliva accompagnando il nostro incedere, creava un’aura di mistero. Io amavo quel rituale che ci faceva sentire uniti e protetti dal buio. Ero felice di pensare che andavamo tutti insieme a dormire. Saliti al primo piano si accedeva ad un largo corridoio sul quale si affacciavano le camere da letto. Io con mamma, papa’ e Saro dormivamo nel lettone; in una stanza attigua un altro lettone per lo zio Vito, zia Franca, Vera e Pino. In due lettini adiacenti al muro i nonni. Spento il lume, nonno Peppino con voce severa diceva:”Ora zitti e buonanotte figli di buona donna!!!”. Era il suo colorito linguaggio. Lo amavano tutti per le sue caratteristiche doti comiche e intelligenti. Io ridevo, chiudevo gli occhi,salutavo Vera e tentavo di dormire ma dopo due secondi la stanza veniva inondata dai ronfi del nonno e allora Saro, Vera e io ci mettevamo a ridere a più non posso.

”Rosanna, Saro, domani andiamo a raccogliere le fragole?”  bisbigliava Vera.

“Si certo!”.

”Ora basta parlare! Si dorme!” ribatteva mia mamma. Chiudevo gli occhi felice pregustando la gioia del giorno dopo.

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1 commento »

  1. Senza i ricordi non saremmo nulla! È un gran bel racconto, pieno di sentimento e malinconia. Complimenti.

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