Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “La primavera che verrà” di Giovanni Paci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Era una domenica di sole. Le rade nuvole si rincorrevano, spinte da un fresco grecale. La luce oltrepassava i comignoli accesi, ricadeva sulle tegole rosse dei tetti per disperdersi tra le vie cittadine. Piero era in salotto a leggere il giornale, le sorelle Maria e Teresa nella grande cucina a preparare la pasta. In piazza, gli anziani sorretti dai propri bastoni camminavano. Il capello era ben calzato sulle loro piccole teste. Camminavano lenti, non avevano fretta, si fermavano a scambiare qualche parola. Le donne in cucina avevano le braccia scoperte e un grembiule che ricopriva il corpo. Si muovevano sinuosamente, gli occhi seguivano un ragionamento. Parlavano poco ma si capivano fin troppo bene. Raffaele gettava degli sguardi assenti alle sorelle e a Piero. Usciva di rado Raffaele, solo alle prime luci del mattino. Durante la campagna italiana di Russia le isbe erano avvolte dalle fiamme, la luce si riversava sul manto nevoso e quella distesa, quella infinita steppa bianca, diceva Raffaele, era il volto della disperazione umana. Molti suoi compagni durante la ritirata colpiti dai morsi della fame e dalla stanchezza, decisero di riposarsi. Lui schiacciato dal peso delle armi e delle munizioni incespicava sulla neve e li guardava; corpi straziati dalla fatica abbandonati al sonno. Verso gli ultimi giorni, ricordava Raffaele, quei soldati gli sembravano agiati, comodamente sdraiati a riposare mentre la bufera di neve graffiava gli occhi. Cadde più di una volta ma si rialzò, poi scivolò sulla neve. Non era così male, pensava. Anche il capitano che aveva smesso di incitare e inveire contro quegli uomini avrebbe dovuto provare quella deliziosa sensazione. Voleva dormire un po’ disse al sergente che lo prese e lo caricò sulle spalle. Dormire sembrava così bello, solo 10 minuti disse al sergente che affondava nel sentiero di fango e neve. Camminarono tra alberi bruciati, torrenti gelati e mucchi di uomini divorati dalla steppa. Raffaele dormì sulle spalle del sergente. Dormì tanto ma riuscì a svegliarsi. Raffaele era ancora vivo. I rondoni danzavano al sole e al chiacchiericcio dei paesani. Erano eccitati, cantavano alla bella stagione, trascinavano con sé pezzetti di primavera. Raffaele notò che sotto il tetto del palazzo accanto una coppia di balestrucci aveva creato un nido. Sembrava una ciotola; una maestranza rara quelle dei balestrucci, creare nidi appoggiati al muro per sfidare le leggi della gravità. Raffaele fece notare la scoperta a Piero. Il fratello abbassò il giornale e osservò. Vide degli uccelli che volavano, quindi riprese a leggere. Raffaele si ritirò dove il sole non riusciva a scaldare la stanza. Maria si asciugò la fronte dal sudore e guardò in salotto. Sua figlia Costanza faceva i compiti sopra il tavolo dove tra qualche ora avrebbero consumato il pasto domenicale. Era una bella bambina Costanza; lunghe ciocche di capelli castani le sfioravano la schiena, gli occhi azzurri come la madre e un sorriso che scaldava il cuore. Maria si era lagnata alla sua nascita. Non erano anni per fare figli. Costanza era nata e cresciuta, studiava bene, era educata e di animo gentile. È vero pensava Maria, la guerra ancora imperversava in parte dell’Europa ma era questione di poco. Il canto dei rondoni, le acrobatiche torsioni tra i campanili e l’azzurro infinito del cielo, colmarono di serenità il cuore di Maria. Guardò ancora una volta Costanza; Maria era fiduciosa, nutriva la speranza di quando anche lei era giovane, suo padre era tornato dalla Grande Guerra e l’aveva abbracciata come mai aveva fatto. I codirossi cantavano, le campane della cattedrale suonavano; era domenica, era festa. Nella piazza del mercato i commercianti di bestiame del paese e i vaccari vi entrarono quasi intimoriti. Studiavano ogni finezza, ogni angolo di quella piazza medievale. Erano anni che le bestie non passavano più di lì. Alcuni commercianti discutevano con i vaccari. Questi puzzavano di sterco, di paglia umida e calpestata, indossavano un vestito grande ma elegante. Erano appena stati a messa ma prima di rincasare avevano deciso di andare nella piazza del mercato. Sembrava tutto come prima; commercianti e vaccari a trattare con abiti lindi e l’entusiasmo di ricominciare come una volta, di come quando si era ragazzi. Guardarono in alto, il sole brillava e le parole si persero nell’aria. Le famiglie più giovani affollavano le vie, pronte per la seconda messa. Il suono delle campane invitava i fedeli ad entrare nella casa del Signore. I bambini ridevano, felici e rincorsi da quella spensieratezza puerile. Piero durante l’invasione in Iugoslavia aveva camminato giorni e giorni. Arrivato a destinazione gli alti ufficiali l’avevano spedito in Albania. Le armi le aveva imbracciate ed usate. Tornato in Italia aveva ristrutturato la bottega di famiglia. Lui e sua sorella Teresa la gestivano. Tessuti e stoffe colorate abbondavano nel negozio. Avevano deciso di comune accordo, si intendevano bene loro due. Le famiglie passeggiando sotto i loggiati del paese si fermavano difronte alla vetrina. La gente iniziava a fidarsi di quei prodotti. Erano in molti ad accorrere in bottega. Il commercio era la loro attività ereditata dal padre sarto. Teresa aveva grazia per scegliere la mercanzia e Piero era abile negli affari. Terminata la giornata niente rancio o camerate; si tornava a casa a cenare, si fumava una sigaretta e si parlava della giornata, degli amori e del futuro. La vita diceva Piero non faceva più paura. Alle 10 Piero richiuse il giornale e lo lasciò sulla poltrona. Si stiracchiò poi guardò dalla finestra. Era una splendida giornata di primavera. Stava per uscire dal salotto quando Costanza smise di scrivere sul suo quaderno.

Dove vai zio?

Piero la guardò e sorpreso le rispose:

Esco un attimo, tornerò tra un’oretta

Costanza sorrideva e Piero ne era felice

Me lo dai un bacio zio?

Piero si avvicinò a quella piccola creatura. Era calda e gentile come il sole di primavera. Le diede un bacio sulla guancia. La nipote ringraziò e tornò a fare i compiti. Raffaele aveva il volto deluso. I suoi occhi non capivano che fuori era già primavera, pensò Piero. Nell’osteria del corso gli osti correvano e servivano da bere agli anziani. Era un caos là dentro ma era la musica della ripresa, della rinascita. I canti religiosi emergevano dalla cattedrale poi scemavano e solo un suono incompreso si accostava al canto degli uccelli. Piero arrivò ai giardinetti, giovani coppie sedute sulle panchine parlavano e si scaldavano al sole. L’aria accarezzava dolcemente l’acqua della fontana. I pesci sembravano immobili, quasi inerti. Le tortore dal collare vigilavano le statue inespressive dei giardinetti. Piero con le mani appoggiate alla pietra ben lavorata della fontana guardava l’acqua incresparsi. La superficie cristallina d’acqua iniziò a muoversi. Doveva essersi alzato il vento pensò Piero. L’immagine dell’Albania gli tornò in mente; là non c’erano uccelli che cantavano, bambini che sorridevano o famiglie che andavano in chiesa. Non c’era motivo di pensare a quelle cose, ormai erano passate, aveva più volte ripetuto Piero, ma davanti a quella fontana con l’acqua sempre più scossa da un alito di vento Piero tornò in Albania. Gli uccelli smisero di cantare, i bambini di giocare e le famiglie non andarono più in chiesa. Piero staccò le mani dal bordo della fontana, i pesci erano sfuggiti al suo sguardo. Una densa nube avvolgeva il paese. Non era nebbia, il vento era un grecale secco e fresco. La nube si arrotolava sulle case, sul selciato, divorando persone, animali e alberi. Piero fu colpito dalla nube e si lasciò prendere, assorbire. Eccolo, ricordò Piero diversi anni dopo, il frastuono degli aerei in ritirata ma soddisfatti. Quel frastuono rimase a lungo e solo quando quella strana nebbia iniziò a diradarsi Piero capì che non era l’Albania. Quasi tutte le case del centro erano a pezzi. Calcinacci e travi spezzate ricoprivano il corso. Sagome grigie correvano senza una meta. Piero entrò in quella voragine da dove i pochi rimasti tentavano di fuggire. Piero arrivò davanti casa. Il palazzo accanto era stato sventrato da una bomba. La coppia di balestrucci non trovava più i piccoli lasciati riposare nel nido. I due balestrucci si agitavano, stridevano e roteavano in quel punto, all’esasperata ricerca della prole. In un villaggio della Iugoslavia Piero aveva visto un vecchio scavare tra le macerie di una casa. All’alba quando il plotone di soldati partì, il vecchio se ne stava seduto a fissare l’ammasso di detriti. Verso sera Piero si accasciò a terra mentre i due balestrucci provavano a danzare un’ultima volta.

Loading

2 commenti »

  1. Bellissimo fa venire il magone. Un’aria di malinconia pervade tutto come scaldata da un tiepido sole di primavera. Struggente. Bravissimo complimenti.

  2. Ti ringrazio Alessandra, mi fa molto piacere sapere che il racconto ti è piaciuto

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.