Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Ritorno all’isola” di Linda Ramponi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

MIO ZIO

Erano dieci lunghi e faticosi anni che non tornava all’isola, che non respirava a fondo quell’aria profumata, braccia tese al cielo e poi di colpo giù verso terra,  per far entrare bene quel profumo unico della sua isola che riesce a mescolare il dolce dell’ulivo con il salato del mare.
Dieci anni che non provava la sensazione di  piacere e  libertà assoluta  nel sedere in un tavolino del  kafenìo sotto i portici e passare così le ore, sorseggiando un ouzo con qualche oliva, un po’ di feta,  e altri stuzzichevoli mezèdes.
Così si “passano l’ora” gli uomini dell’isola, al kafenìo dove si incontrano e  disquisiscono delle piccole e grandi cose della vita.

Gli ultimi dieci anni erano stati faticosi, angosciosi, da soli  lui, Mara e la malattia.

L’aveva accudita come meglio poteva, lui era un uomo d’onore, l’aveva sposata e doveva accompagnarla fino al suo ultimo giorno.
Non avrebbe voluto prendere moglie, stava bene nella casa dei suoi genitori con sua sorella, ma la sua famiglia glielo aveva imposto.
Lui voleva bene alla sua famiglia ma questo scherzo non glielo dovevano fare.
Con l’inganno lo avevano portato all’isola, dove tutto era già combinato. 
E lui era un uomo d’onore, non poteva rifiutare.
Così l’aveva sposata e portata a casa per vivere tutti insieme, lui, Mara, i suoi genitori e sua sorella maggiore.

Ma lui l’aveva rispettata.
La portava ogni sabato  in gita al mare ad Anzio o Ladispoli, poi insieme al ristorante a mangiare il pesce. La trattava bene la sua compagna. Ed ogni estate tornavano all’isola, tutti insieme, i suoi genitori, le sorelle e il cognato

Ma quello cosa no! Non l’aveva  mai toccata. Il suo era un matrimonio in bianco, l’aveva rispettata! 

LA TELEFONATA

Ciao zio sono Caterina come  stai ? ?i dispiace molto per Mara. Sono anni che non ci sentiamo …”
Dall’altra parte un silenzio ritmato solo  da sospiri e rantoli.
“…Non mi hai più chiamato”
“Vero, ma  tu ci hai allontanate, io e Irene volevamo sentirti, continuare a vederti ma…”
Interrompe brusco con voce fioca e al tempo stesso cavernosa ma a tratti anche  stridente.
“Si si vabbè la vita è  così, ci si dimentica …”
“No zio, no, noi non ci siamo dimenticate di te,  ma ti sei offeso per il testamento di zia, lei ti voleva bene , lo sai eri il suo unico pensiero.”
Risponde ancora sostenuto.
“Si si il suo pensiero …si, si…così mi ha lasciato e non mi ha voluto nemmeno ricordare.”
Lo interrompo, non voglio  iniziare di nuovo questa assurda questione sul testamento.
“Dai zio dai, non ne parliamo più e da ora continueremo a sentirci.”

E ogni sera alle 19.30 continua lo stesso monotono  rituale. Ogni sera le stesse domande e le stesse risposte.
“Ciao zio come stai? Che hai fatto oggi? Hai già cenato?”
“Ciao Caterina brava! Brava che ti ricordi sempre di me e non ti stanchi di chiamare..”
“Si zio mi fa piacere..”
“Mica come tua sorella, quella lì è diversa pensa solo a se stessa.”
“No zio, Irene mi chiede sempre di te ma lei a Milano è molto impegnata con il lavoro.”
“Si si vabbè è impegnata salutamela la scienziata!”
“Va bene zio buonanotte.”

Abbasso il microfono e immediatamente compongo il numero di Milano.
“Ciao sorè mi fai la cortesia di chiamare anche tu ogni tanto nostro zio?”
“Si d’accordo, ma non ci penso mi dimentico…”
“Ok allora per favore domani sera chiamalo tu. Ma lo sai?… mi ha chiesto di accompagnarlo all’isola, lo desidera tantissimo,  sono 10 anni che non va.”
“E tu hai il coraggio di andare?”
“Beh ci penso , ciao sorè.”

Paolo, mio marito mi guarda in silenzio,  sembra imbarazzato e non si decide a rispondermi.
Finalmente mi dà la sua benedizione, se me la sento posso andare all’isola con mio zio, in fondo, dice, farà piacere anche a te rivedere la casa dove è nata tua madre.

STAZIONE TERMINI

Ci vediamo all’ora prestabilita, mezz’ora prima della partenza del treno come lui ha fortemente  raccomandato.

Meglio non rischiare! Mi ha detto.
Ma quando arrivo è già lì ad aspettarmi da mezz’ora….meglio non rischiare!
Paolo ci abbraccia e ci lascia, ha lo sguardo preoccupato ma cerca di nascondere la sua ansia.

Mi assicuro che il binario indicato da lui  sia quello giusto. No, non lo è.
Si scusa imbarazzato, mi assicura che da tanti anni è stato sempre quello il binario per Bari,  lui è un ex ferroviere lo sa bene.

Capisco subito che non posso fidarmi di nulla, che devo tenere alto il livello di attenzione.  
Corriamo al binario giusto ma c’è tempo. 

BARI

Il viaggio scorre tranquillo. Viaggiamo su due vagoni diversi.
Lui ha il biglietto gratuito in prima classe, in quanto ex ferroviere, ed io ne ho approfittato per stare separati, almeno queste ore.
So che non mi attende una vacanza rilassante.

Di prendere il taxi per raggiungere il porto non se ne parla.
“No, no io non mi fido dei taxi andiamo a piedi, è una passeggiata “
Ci incamminiamo sotto il sole cocente del primo pomeriggio barese trascinando a stento le pesanti valigie.
La sua credo risalga agli anni ’60, ha una minuscola rotellina al centro, si tira con una cinghia e con la strada sconnessa traballa e cade in continuazione.

Ripropongo il taxi.  Un no deciso mi impedisce di insistere.
“È una passeggiata ” ribadisce.

Finalmente la vista del mare mi apre il cuore, ormai siamo stremati e affamati.
Mi promette i più buoni spaghetti con le cozze del mondo.
Mangiamo i più cattivi spaghetti della mia vita in un modestissimo ristorante sulla strada costiera.

Sono le quattro del pomeriggio, ci dirigiamo verso la nave che ci porterà a destinazione e che salperà alle venti, ci aspettano ancora quattro ore di attesa.

Lo guardo, è stanco, il respiro è affannoso, mi sento in colpa,  dovevo impormi per prendere il  taxi, non vedo l’ora di salire sulla nave e concludere questa faticosa giornata iniziata da troppo tempo.

Siamo finalmente seduti uno di fronte l’altro e guardiamo il mare  dall’oblò mentre Bari si allontana.

Lo osservo, i suoi occhi sono umidi, forse è commosso, mi stringe la mano e sorride,  è felice. 

LO SBARCO

Sono le tre del mattino, è notte e dobbiamo sbarcare. Per prendere il traghetto per l’isola dobbiamo aspettare ancora cinque ore.

Come ho potuto pensare di poter affrontare tutto questo!

Le poche persone che scendono con noi dalla nave hanno la macchina.
Noi invece ci incamminiamo a piedi nel buio seguendo le luci delle auto.
Arriviamo all’uscita ma lì ci dicono che i pedoni devono andare da un’altra parte.
Ci riavviamo tornando indietro e questa volta senza le luci delle macchine, che almeno riuscivano a darmi un po’ di sicurezza.
Sento abbaiare dei cani ma non li vedo, sono terrorizzata e mi maledico per essermi cacciata in questa avventura, ma tiro avanti.
Raggiunta l’uscita giusta prendiamo un taxi e ci fermiamo poco oltre nell’unico posto aperto, una specie di bar taverna sulla statale.

Entriamo e veniamo immediatamente assaliti da un odore stantio e nauseabondo di cibo fritto, ma per fortuna il proprietario è gentile e ci prepara due caffè che dovranno durare almeno 4 ore .
Nello stesso istante in cui, guardandomi intorno, penso alla situazione surreale che sto vivendo, mio zio interrompe il mio pensiero.
“Hai visto Cristina che bel posticino che abbiamo trovato, è proprio bello, ottimo caffè e si deve mangiare molto bene”

Non so se ridere o piangere.

L’ISOLA

L’hotel è vicino e possiamo raggiungerlo a piedi, finalmente e miracolosamente ce l’abbiamo fatta, siamo approdati all’isola.
Mentre stavamo per arrivare, sulla nave, ho fotografato il suo volto, trasognato e severo, che guardava la sua  terra avvicinarsi.
Un volto patito ma sereno che rifletteva i ricordi della vita che aveva trascorso qui, nell’isola.
I giochi in strada, le corse fino al mare che finivano sempre con un tuffo e una risata, la pesca con il papà, il profumo del cibo di casa, semplice ma buono, le passeggiate con le sorelle nei giorni di festa, indossando i vestiti buoni.
Questa é stata la sua vera vita, la sua unica vita.
Dopo era semplicemente sopravvissuto, anche grazie all’aiuto di qualche bicchiere di vino in più.
Il tragitto per l’albergo è breve ma lui è affaticato, la voce roca e gutturale appena si sente.

“Cristina sei mia ospite e ti voglio dare i soldi dell’albergo “
“Ma ora zio? Che bisogno c’è pagherai tu il conto”
“Nooo” replica con voce stridente!
“Qui venivo con Mara, mi conoscono, ora mi presento in tua compagnia,… penseranno che io e te…capisci?”
“Ma zio ti pare che….va bene d’accordo non ti agitare, ok dammi i soldi, si lo so sei una persona rispettabile, lo so”

Mi guardo intorno, le barche, le navi, il mare, l’aria profumata, e penso che nonostante tutto sarà una bella vacanza. 

SPETTACOLARE

Le stanze in albergo non sono pronte e lui, anche se fisicamente provato dal viaggio, vuole andare a fare un giro per la sua isola.
Il suo entusiasmo anche se trattenuto è incontenibile. Quattro passi e una sosta.


“Cristina guarda questo scorcio di case è spettacolare … Vedi il mare? Visto da qui è spettacolare … Ecco, questa casa, qui abitava un mio amico, lo voglio rivedere, è spettacolare … Fermiamoci qui a mangiare una pasta, sono spettacolari! “
L’isola è veramente bella e per lui anche i sassi sono spettacolari!


Ma senza alcun preavviso mi conduce in una strana piazzetta, dalla forma asimmetrica, nel paese vecchio e, tutto di un fiato mi dice:
“Qui sono nato” e indica una finestrella all’ultimo piano di una casa stretta, alta e un po’ decadente.”
Rimaniamo in meditazione per qualche minuto, con gli occhi rivolti in su e nel silenzio dei pensieri che affollano le nostre menti, i suoi ricordi e i racconti di mia madre della sua vita spensierata qui, nell’isola.
Senza parlare, uno accanto all’altro, ci incamminiamo verso l’albergo per prendere possesso delle nostre stanze.

TRE GIORNI DOPO

Passato il primo giorno è arrivata la febbre e la tosse è aumentata.
È venuta la cugina a trovarlo e mi sento confortata dalla sua presenza,  sono preoccupata e dispiaciuta che zio non possa uscire. Ma lui è paziente e comunque contento, anche di rimanere in albergo. 

Mi rassicura che appena starà bene potrà riprendere a passeggiare per la sua amata isola. 

LA NOTTE

È peggiorato, il respiro è sempre più affannoso.

Chiamo la cugina e insieme decidiamo di  chiamare un medico. Il responso non è  preoccupante, una brutta influenza aggravata dalla sua patologia respiratoria,  ma niente ricovero in ospedale.  Dovrà prendere un  antibiotico ogni 6 ore.

Calcolo che il prossimo glielo dovrò somministrare alle tre di notte.  Metto la sveglia e vado a dormire preoccupata ed esausta. 

Sono le tre, mi avvio verso la sua stanza con la medicina, la luce è accesa, entro e lo vedo raggomitolato e scoperto.
Mi avvicino per mettergli una mano sulla spalla e svegliarlo dolcemente.
Il freddo glaciale del contatto mi fa accapponare la pelle e realizzo immediatamente che mi ha lasciato per sempre.

Non piango e mi catapulto giù per le scale per chiedere aiuto.

ADDIO

Ciao zio, ti lascio qui nella tua isola, qui dove hai voluto che ti accompagnassi per rimanere.
Nella tua terra bella e profumata, sotto un salice con intorno tanti fiori e con il sottofondo del rumore del mare, il tuo mare.
Hai amato questo luogo più di ogni altra cosa, la tua grande casa di città era troppo vuota e triste senza i tuoi cari.

Accanto a te riposano i tuoi nonni, coloro che un tempo, in un altro mondo ormai troppo lontano, lasciarono il loro paese in Puglia e vennero qui per iniziare una nuova vita.

E qui tu hai trascorso i tuoi anni migliori.
Addio Corfù, abbi cura di mio zio, tornerò!

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