Premio Racconti nella Rete 2020 “Passi” di Annamaria Cembalo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020“Perché non rispondi al telefono, quando ti chiamano?” Ma la domanda mi rimase in gola come un nodo e restai in silenzio. Non la vedevo da così tanto tempo e non sapevo come iniziare un qualsiasi discorso e mi sembrava di non riconoscerla. La guardavo e mi sembrava piccola, un piccola bambina incapace di camminare, sorridere, correre come solo i bimbi possono, quando iniziano a muovere i primi passi e c’è qualcuno che li sorregge e poi prendono la rincorsa.
Dove se ne era andata la donna solare, florida, ironica, sagace, che quando parlava era un’allegra fatica starle dietro? Saltava da un argomento all’altro come una gazzella che non vuole darla vinta al leone. Si divertiva a mettere in difficoltà il suo interlocutore o le piaceva essere inseguita nei suoi voli pindarici e trasportare in quei voli l’altro. Per lei era un gioco ineguagliabile la parola, la parola scritta, parlata, disegnata nell’aria o sulla carta. A volte mi faceva impazzire, tuttavia quella follia mi piaceva provarla e non avvertivo stanchezza nell’ascoltarla. Come mi piaceva, anche, guardare i guizzi dei suoi occhi vivacissimi e scuri che sembravano assecondare tutto ciò che diceva. La guardo e vedo una stella morta che ancora fa luce. Ha i capelli tagliati. Sono tutti storti. È come se avesse provveduto da sola al taglio, oppure una mano malvagia si è divertita a commettere scempio. Che peccato, quella sua chioma ribelle così uguale a lei. La guardo e sento una stretta al cuore. Siede sul dondolo, nel giardino, non più curato.
Le braccia conserte, lo sguardo perso nel vuoto. Gli occhi, statici. È questo il tratto della sua trasformazione che più mi fa male, la fissità dei suoi occhi.
Mi avevano detto che stava reagendo bene, che niente pareva averla mutata dopo che la montagna le era crollata addosso. Sempre la solita allegrona, con la battuta pronta. “Vai, —mi disse Lena-, vedrai ti accoglierà a braccia aperte col suo solito sorriso. È il terremoto di sempre. Niente l’ha scalfita. E poi sarà contenta di vederti dopo tanto tempo. È solo un pó dimagrita, ma considerando l’inferno in cui è stata, mi sembra il minimo. Del resto quelli che sono tornati da lì raccontano storie molto più cruenti sui loro corpi. Tempo un mese e riprenderà tutti i chili che ha perso. Fa dolci tutti i giorni da quando è tornata. Li fa per noi amici, per quel poco di famiglia che le è rimasta e non è volata via per i camini.
Per me, ha preparato quel dolce al cioccolato che mi piace tanto. A te preparerà la torta di mele e cannella , la tua preferita, ne sono certa. Lei sa cosa ti piace. Lei sa ogni cosa di chi ama. Vai, non aver paura.” Pur sapendo che non mi stava dicendo tutta la verità, o forse solo quella che ha vissuto lei e tutti gli altri, presi il coraggio a due mani, mi alzai dalla comoda poltrona di casa sua e andai. Non vedevo l’ora di riascoltare la sua voce, guardare il suo viso, stringerci nel nostro fraterno abbraccio. Fraterno abbraccio , non vedevo l’ora. Man mano che mi avvicinavo sentivo scoppiarmi il cuore di felicità e paura. Ma perché ho paura? Mi chiedevo. Una specie di cattivo presagio si impadroniva di me ad ogni passo. Finalmente fui davanti al suo cancello. Tirai la corda del campanello d’ottone. Il suono era sempre stato allegro. Ora non più. Venne ad aprirmi Anna, la governante. Era molto lenta e il sorriso che mi rivolse non era il solito. Pensai che era invecchiata tutto di un colpo.
“Dov’è? Come sta? Posso vederla? “ c’era un’ansia in quelle domande, un affanno, che l’anziana donna mi strinse delicatamente una mano e disse:“Vai, è sotto al portico. Si aspettava che venissi oggi. ” Il vialetto che dovevo percorrere non era lungo, o almeno non me lo ricordavo tale. Ma fu una traversata oceanica. E mi sembrò che i fiori del giardino mi voltassero la faccia e mi negassero il loro profumo, insolitamente. Mi erano sempre stati allegri compagni di breve viaggio quando andavo da lei. Ora, no. Ora tutto era cambiato. Ora tutto c’era e non c’era allo stesso tempo. Primavera senza suono. Aria senza odore. Rumore senza frastuono. Tutto ottundo, tutto ovattato, come i film luce della propaganda. Tutto falso.
Perché si dondola e non mi guarda? Mi chiedo. Poi all’improvviso : “Siediti qui, vicino a me.” Fu un altro viaggio di ogni contrario, giungerle accanto. Un ossimoro di dolorosi passi. Volevo abbracciarla e scappare. Tutto in una volta. Finalmente giunsi a meta.
Mi siedo, quasi a mezz’aria. Una paura di sfiorarla, una paura di rompere quel fiore di cristallo trasparente, così nuovo ai miei occhi. Vedo tutto quello che la abita e non servono più voli per comprenderla, né parole da inseguire. Io non sono più il leone, lei non è più la gazzella. Il suo dolore mi attraversa ed è la paralisi di ogni azione possibile, di ogni parola da pronunciare. Vorrei piangere, ma lei non piange, non piango. Vorrei parlare, ma lei non parla, non parlo. Vorrei urlare, ma lei non urla, non urlo. Allora assumo la sua stessa posizione , braccia conserte, occhi nel vuoto ed insieme ascoltiamo il silenzio, interrotto solo dal cigolìo del ferro del dondolo, che segue il moto perpetuo e sincrono dei nostri corpi.
Ascoltiamo il silenzio e tutto quello che non ci siamo mai detti. Quel silenzio è uno scrigno prezioso di lacrime come perle, di sorrisi come gemme. La calma ci invade e finalmente, per la prima volta, ci guardiamo negli occhi senza bisogno di parole. Sul tavolino c’è la torta di mele e cannella. Non ricordo di averle mai detto che è la mia preferita. Ma una verità Lena l’aveva detta , lei sa ogni cosa di chi ama, ogni più piccola cosa.
Flusso di pensieri doloroso, arriviamo alla fine sperando che una luce ci sia, ma rimaniamo senza speranza.
Intenso, carico di sentimenti, così è il tuo racconto, Annamaria. Comincia quasi sotto tono, poi il ritmo incalza, conquista, impedisce al lettore di distrarsi. Le parole diventano centrali, egoiste, sovrane, scandiscono il tempo, rapiscono le emozioni in un vortice di sensazioni unico, straordinario: “Vorrei piangere, ma lei non piange, non piango. Vorrei parlare, ma lei non parla, non parlo. Vorrei urlare, ma lei non urla, non urlo”…Solo una gran bella penna può fare tutto questo. Brava brava!
Elvira Spuntarelli, la ringrazio per l’attenta llettura.
Maria Sordino, cara Maria, grazie sempre per come riesci a penetrare nel profondo delle mie parole e per come rendi possibile a me comprendere il loro senso più nascosto. Dato che la mia scrittura, spesso, altro non è che un vero e proprio flusso di coscienza e durante il quale, molte volte, non mi accorgo di ciò che scrivo. Dunque, grazie di cuore.
Questo racconto è bellissimo, profondo, malinconico, dolce. C’è rispetto , dignità, intelligenza. Condivido parola per parola i commenti precedenti. Complimenti vivissimi
Per ogni cosa, soprattutto per le più difficili o incerte, cerchiamo di prepararci, rovistiamo in noi stessi alla ricerca di schemi. Poi, nella realtà, tutto quello che serve è osservazione, empatia, adattamento. E si può restare in silenzio nell’occhio del ciclone, dove tutto è fermo, e aspettare che passi, che si sciolga. Molto bello, davvero.
Ottavio Mirra, caro Ottavio, l’intelligenza del cuore, che è fatta di rispetto e dignità, è nello sguardo di chi sa leggere e leggendo la riconosce. Immensamente grazie per le tue parole. Sempre.
Grazie di cuore Marco Floridia.
Un bel racconto, complimenti. Bello soprattutto nei momenti in cui ti sei lasciata più andare (posso il “tu”?), quando le parole hanno raggiunto l’intensità maggiore. Bello che non c’è mai banalità. Bello che hai omesso ciò che non era necessario dire.
Cara Anna Maria Contesini, certo, il Tu è il pronome che preferisco, anche perché porta al noi e noi che amiamo scrivere non preferiamo le distanze, proprio non ci piacciono, è vero? La scrittura è la forma di comunicazione, secondo me, piu nobile. E comunicare vuol dire stabilire un contatto con l’altro. Grazie di cuore per ciò che hai scritto del mio racconto. Sei anche tu un autore del concorso? Ti vengo a cercare e sono già certa che sarà un gran piacere leggerti. Certe cose le senti a pelle e non c’è bisogno di spiegarle.
trascinante lascia dentro un dolore sordo e impotente. Complimenti non ho parole adatte per descrivere il mio enorme apprezzamento. Bravissima
Grazie di cuore Alessandra Cavanna.In effetti è un dolore sordo, sì e anche impotente.