Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2010 “Bordello palermitano” di Marco Corona

Categoria: Premio Racconti per Corti 2010

Lo zaino sul banco smorzava i raggi del sole e regalava un po’ d’ombra al suo posto. Ernesto avrebbe dormito all’istante. Non l’avrebbero scoperto, era furbo e poi quel posto (penultimo banco a sinistra, fila esterna vicino alla finestra di via Libertà) era abbastanza appartato, proprio come lui, e per questo gli piaceva ed era venuto pure alle mani per averlo.

Voleva dormire ma c’erano sempre, in media ogni mezzora, le sgommate e le sirene celeste azzurrognolo di pantere, gazzelle e crome blindate, un via vai incessante intorno al Palazzo di Giustizia dove imperversava il maxiprocesso: effetto acquario in aula e professori ad allargare le braccia in segno di resa, e qualcuno santìava pure.

Quella delle undici era la quarta serenata lampeggiante, piombata a ridosso delle smisurate lodi coram populo che Ernesto aveva ricevuto per la sua impeccabile lettura dal greco, e stavolta benvenuta perché gli aveva permesso di sistemare il quaderno in modo da leggerne le pagine senza essere visto – in greco zoppicava abbastanza, a parte la pronuncia, anzi, non capiva una beneamata alfa. Allora non era vero che i poliziotti rompevano soltanto i coglioni, come diceva suo padre ogni volta che qualche borioso piscialetto in divisa si permetteva di contestargli a suon di verbali le acrobazie “prostiane” al volante della Tipo rosso ferrari, e come diceva praticamente un giorno sì e l’altro pure Peppe, il suo compagno di banco. A Ernesto non piacevano la diffidenza e l’ostilità per le forze dell’ordine che c’erano nell’aria, a scuola, a casa. E poi Starsky e Hutch gli piacevano.

Dopo la ricreazione Ernesto era alla cattedra per un’interrogazione “programmata”, di quelle che alcuni professori concordavano con i ragazzi per evitare le assenze di massa per impreparazione. La prof di matematica lo stordì con una oscura domanda a bruciapelo. Si sentiva le gambe molli. La stronza non smetteva di fissarlo, se non per scoraggiare i suggerimenti con occhiate da Kapo. Ernesto aveva le mani fredde e sudate, il sangue, bloccato in qualche ingorgo salernitano, non arrivava alla reggiocalabria del suo cervello. La circolare del preside, a mezzo bidello, fece onore al suo nome e rianimò il flusso ematico di Ernesto: forse poteva ancora uscirne vivo, l’aguzzina era distratta dalla burocrazia. Subito aveva oscillato il busto all’indietro ma gli erano arrivati solo degli ultrasuoni, buoni forse per qualche dobermann ipersensibile. Con il palmo rivolto verso l’alto, Ernesto aveva spinto su più volte la mano, a segnalare l’assoluta necessità di alzare il volume del pronto soccorso. La prof stava firmando la circolare. Ora o mai più! Ernesto si era concentrato più di un monaco buddista, manco fosse stato in postazione con cuffie davanti a Mike. Esistevano solo lui e Peppe, strategicamente messosi a primo banco, dopo aver fatto sloggiare a colpi di parolacce e tirate di capelli, la titolare di quel solitario posto per secchioni, Giulia lo scorfano.

Ma ecco che allo zenit della tensione riparte il bordello da polizieschi di serie B, a decretare senza appello un quattro sul registro e, vista la media da retrocessione, un posto riservato in prima fila per settembre.

Ernesto maledisse tutti gli sbirri, Starsky e Hutch, e pure Magnum P.I. tanto era incazzato. Sbirri: cornuti, quando servono non ci sono e quando te ne stai per i cazzi tuoi ti vengono a rompere i coglioni.

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