Premio Racconti nella Rete 2020 “Il gruppo terroristico postmoderno altrimenti noto come “La generazione di mezzo” di Antonio Iannone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020*
Noi pretendiamo di esaltare la malinconia. La rabbia. La beffa contro l’ironia socratica. Esigiamo di distruggere l’arredamento delle vostre case e soprattutto delle nostre. Dire addio a mammà e papà senza lasciarci soggiogare da quel comodo dispositivo che è la coscienza.
Rifiutiamo il lavoro.
Rifiutiamo i diritti, in particolar modo quelli d’autore. Esaltiamo il pirataggio di prodotti culturali: ci impegniamo, da qui all’avvenire – poiché non crediamo che ai progetti, contro le catene della memoria – nel distribuire senza alcun profitto tutto ciò che saremo capaci di produrre.
Fosse pure niente.
Ci abbattiamo contro i doni del vecchio mondo avvinti dal furore dionisiaco del potlatch.
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Chi mai crederebbe che ogni travaglio epico sia innestato negando le lusinghe della ragione? che ogni passo compiuto verso l’esito di una storia ben raccontata non è che il tentato freno di un tempo inafferrabile il cui nome è origine?
Dimitri, già noto per la fama che sempre donano un paio di gambe di gesso cui le sue furono sostituite per alcuni mesi durante il primo anno delle medie, era entrato al cinema perché sua madre lo reclamava con lei nel Bancolotto di famiglia. E non c’era niente che scocciasse Dimitri più che far da spettatore nel Bancolotto di famiglia alla sete di alterare in denaro le fantasticherie oniriche. Sarebbe andato in piazza, sì, lo aspettavano… e invece, non conoscendo altri luoghi riparati dal primo vento d’autunno, era scivolato in una delle porte laterali del Cinema Comunale Ariston, prima che il comune se ne liberasse affidandolo a uno dei pochi privati degni di nota per interesse filmico.
Roberto era già in sala, appollaiato su una delle poltrone in terza fila. I trailer se li era già sorbiti: durante lo spettacolo delle sei stavano ben attenti a non proiettare horror, non per caso era definito lo spettacolo dei bambini, ma quella sera l’aveva terrorizzato un’anomalia in forma di un nuovo Nightmare. Roberto al cinema ci era andato perché ci andava quasi tutte le sere.
Anche Tilde frequentava la sala più spesso di quanto si presume la frequenti una bambina di neppure dieci anni, sebbene per tutt’altra ragione che il semplice fascino per le immagini in movimento; o meglio, per una ragione che al tempo credeva tutt’altra. Suo fratello maggiore era stato da poco assunto al piccolo bar intestino in cui gli spettatori si rifornivano di pop-corn, patatine in busta e Coca-Cola in dosi da 33 cl. Poiché il ragazzo non sapeva che farsene della sorella nei giorni in cui entrambi i genitori se ne stavano a scuola, le concedeva di insinuarsi liberamente in quel territorio così prezioso il cui suolo vale il prezzo di un biglietto. Tanto chi vuoi che se ne accorga.
Quanto ai balbettii della mia memoria, non ricordo quale intrigo di eventi mi abbia condotto verso quell’abbozzo di avvenire: d’un tratto sono scaraventato come gli altri tra lo schermo e le poltrone. Resistono alcune tiepide luci perché scorga le sagome di questi miei amici di una vita.
Ma allora non potevo saperlo.
Per meno di un paio d’ore ci lasciammo soggiogare da un profluvio di immagini senza capo né coda.
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«Davvero non ti ricordi perché andavi al cinema?».
«No, me lo ricordo. Ci andavo perché non c’era molto altro da fare: a calcio non mi sceglieva nessuno, sfottere non scendevo per farmi sfottere. Ci andavo perché mi dissolvevo insieme alla sala».
«Dài, però a swatch ci giocavi».
«Che è, swatch?».
«Tu non hai avuto l’esistenza di un maschio nel leggendario duemilacinque».
«Mitologico».
«Lo swatch era la nostra variazione dello squash. Si lanciava un Super Santos contro una parete della piazza…»
«Quella più vicina al portone della chiesa».
«E un altro doveva rilanciare lasciando che la palla colpisse prima il pavimento e poi la parete. Si poteva farlo con il pugno o con la mano aperta».
«Come nel tennis, chi non riusciva ad afferrare la palla o non la rilanciava secondo il Codice dello Swatch era squalificato».
«Foster Wallace avrebbe dovuto scrivere un romanzo sullo swatch…».
«Che facevi tu, mentre noi ci addestravamo all’agonismo?».
«Passeggiavo mantenendo sulla testa una cumulo di libri».
«Ah, ti esercitavi al ruolo di zarina?».
«Non me lo ricordo, comunque. Stavo a casa, leggevo…».
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Si è insinuato in noi l’umanesimo propagandato nelle vostre opere. Le relazioni dialettiche. La fecondità dei Libri Rossi, rispettivamente quello di Jung e quello di Mao. Il rock ’n roll, il punk, il post-punk, il prog, il rap. Il mito della comune. La nona Tesi sulla Filosofia della Storia di Benjamin, cui non possiamo che credere come gli ultimi cristiani alle pagine giovannee. Liberiamo dal nostro corpo il parassita del dopoguerra. Il parassita-Sartre. Il parassita-Lukács. I parassiti-Straub/Huillet.
Ma non tutti i parassiti si liberano danzando: qualcuno è nostro dovere schiacciarlo.
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«Sapete che lavoro soddisferebbe davvero le mie ambizioni?».
«Ti ascoltiamo, Adrian».
«Il fabbricante di aneddoti. All’università ho conosciuto un docente il cui territorio d’interesse era la relazione tra il calcolo delle probabilità e le ambizioni intellettuali del soggetto. Mi spiego: la sua ultima ricerca aveva per argomento la labirintite da cui Kant fu affetto durante gli ultimi anni di vita in relazione alle sue tesi su Spazio e Tempo; in che modo le indagini kantiane abbiano invocato un male tanto singolare… ecco, a me piacerebbe occuparmi di questi aneddoti orientati, ma originarli in forma arbitraria. Ad esempio: Charles Baudelaire si perde tra la folla di Parigi, Erwin Schrödinger non trova le chiavi del bagno, Nick Land acquista un prodotto ecosostenibile, Niccolò Machiavelli è vittima di una truffa…».
«Tu sei un po’ postmoderno, eh?».
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Se dopo la proiezione di Una notte notevole ci avessero interrogato sui nostri progetti per l’età adulta avremmo tutti risposto: diventare Mimì Mattaliano.
Suo padre, poeta minore del Novecento, era stato curatore di parecchie antologie in cui – surrettiziamente, bisogna ammetterlo – si insinuava al fianco di nomi come Sanguineti, Rosselli, Bertolucci. Stalinista di simpatie maoiste, aveva preteso che il neonato respirasse sin dalla culla le rigidità dell’ortodossia: per tale ragione, affermerà quest’ultimo in una dichiarazione dell’età senile, si era imbevuto con tanta gioia della Storia della Rivoluzione Russa di Trockij «al modo stesso in cui Mill riformulò le tesi dello zio Bentham sostituendo al mero utile empirico la letizia dei piaceri intellettuali».
Apparteneva alla generazione per cui la vita cinetica delle immagini già sostituiva la carta e la penna: erano più i chiaroscuri che i versi. Il suo primo lungometraggio, Figli di artisti minori, il cui protagonista parodiava nient’altri che suo padre, fu salutato da Godard come l’opera di un ventottenne la cui firma trasudava nouvelle vague. Non conoscendo altro linguaggio che quello cinematografico, Mimì reiterò per anni la sensibilità accordandola ai capricci dell’umore.
Di rado si oscilla soltanto tra il genio e la cialtroneria; più spesso, le intensità si confondono. E così nascono i maestri.
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Come membri della Generazione di mezzo accusiamo il cineasta Mimì Mattaliano di aver plagiato il nostro sistema di valori attraverso le sue prime produzioni senza tuttavia prestarvi fede una volta che la vecchiaia abbia sostituito l’età della ragione.
Per anni, obnubilati dal suo cinema, catatonici di fronte alle sue pellicole recuperate in edizioni home-video, abbiamo creduto all’avvento di un marxismo culturale diffuso e del materialismo metodologico. Più che costringerci al trasalimento, le sue ultime opere – Amore amore amore e soprattutto il progetto seriale Non abbiamo capito niente – ci hanno lasciato a cuore scoperto.
Adesso non resta che adeguarci alle norme della generazione successiva oppure trasfigurare noi stessi negli spettri della precedente.
Ma se noi saremo spettri, lei non sarà risparmiato.
Serva questo manifesto da testamento.
Adriano, Dimitri, Roberto, Tilde ovvero La generazione di mezzo.
L’ho letto tutto.
Un testo ricco di riferimenti culturali e intellettuali, una contestazione dichiaratamente irrequieta e ironica. Molto piacevole l’aneddotica arbitraria e altre suggestioni, meno facile ritrovare un intreccio narrativo.