Premio Racconti nella Rete 2020 “L’elefante e il soldatino” di Paola Tindara Paladina (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Non so se conoscete la storia dell’elefante e del soldatino. Vivevano sotto lo stesso tetto, ma non si erano mai parlati. Finché un giorno son diventati amici inaspettati.
Insieme ad altri compagni, su un carro
armato, il soldatino era qualche mese prima arrivato: in una scatola dorata, rigida
e lavorata, alla vigilia della festa più onorata.
Jacopo, scartato il regalo, subito li aveva posizionati: in fila da quattro,
seguiti da camioncini e blindati.
Fieri e in divisa difendevano i deboli. Ma negli altri peluche vedevano solo giocattoli.
È per questo che tutti quei pelosi li ritenevano, in fondo, un po’ fastidiosi.
La convivenza era pacifica, tutto sommato: il tempo scorreva, il bimbo li amava e a tutti questo bastava.
L’elefante, il drago, la scimmia e l’orso li spiavano con ammirazione perché – anche se poco considerati – da quei soldati si sentivano tutelati.
E i militari, ritti e impostati, di legno d’acero e colorati, dipinti di rosso e di blu, se ne stavano con le baionette e i cappelli all’insù: oggetti rari e preziosi, per questo erano così altezzosi.
Il bimbo riempiva di affetto tutti i suoi amici: pelosi, di latta, di stoffa o di cartone, non faceva mai nessuna distinzione.
Aveva, però, sempre nutrito una certa simpatia per un essere speciale, che era più di un semplice animale. Con una proboscide per lavare che lo rendeva importante: era Furfante, l’elefante idrante.
Jacopo lo conosceva da quando era nato, perché in ospedale gli era stato donato.
Orecchie grandi, a righe azzurre e grigie, che trascinava come fossero valigie. Un corpo morbido e gommoso, e un aspetto davvero delizioso: sorridente, tutto profumato, ad un palloncino rosso era attaccato.
Da quel primo incontro con il bambino era diventato il suo piccolino: dormivano insieme, ogni notte, e con la proboscide gli sbaciucchiava le guanciotte.
Poi un giorno, di buon mattino, la mamma disse al piccolino: “Facciamo un po’ di ordine e pulizia? Alcuni giocattoli li mettiamo via! Altri, magari quelli più datati, li diamo ai meno fortunati!”.
Jacopo non era un bambino egoista, anzi era forse il più buono che esista.
E con la mamma prese uno scatolone, per evitare di fare confusione: insieme lo riempirono di sonagli colorati e mattoncini impilati. Birilli, palline e cartine scricchioline. Tavolette morbidose e parecchie altre cose.
Era un gioco nuovo quello, e Jacopo
aveva capito che anche regalare poteva essere bello: la mamma lo guardava e i giocattoli indicava. Lui si fermava, ci
rifletteva e poi con la testa e con gli occhi rispondeva.
Ma un errore quatto quatto lo colse mentre era
distratto: la mamma per sbaglio aveva fatto un guaio. Aveva preso l’elefante e
il soldatino mostrandoli al suo bravo bambino. Lui, senza aver visto, aveva
detto di sì a quel distacco imprevisto.
Il drago, la scimmia, l’orso e tutta la fanteria pensarono che quella scelta fosse una follia: “Jacopo attento!” volevano gridare per poterlo avvisare.
Ma si sa, di giorno i giocattoli, davanti agli adulti, non possono animarsi né tantomeno ribellarsi.
Piansero gli altri,
guardandoli sparire nello scatolone. Piansero il soldatino e l’elefante, per
quella brutta situazione: e finirono così in quello scuro cartone. Che si chiuse
su di loro, lasciandoli lì, in un silenzioso frastuono.
La scatola venne portata nel vecchio capanno, in giardino. E poi fu poggiata su
un polveroso comodino.
L’orecchiuto e il soldato – spiazzati un tantino
– pensavano in silenzio a come tornare dal loro bambino.
E così, chiusi in quel piccolo spazio, per
trarsi d’impaccio, l’animale provò a rompere il ghiaccio: decise di rivolgersi
a quell’ufficiale, con fare ossequioso sì, ma anche amicale.
“Mi scusi tenente, avrebbe per caso un
cerino, così per accendere un lumicino?”.
“Non ho cerini né tantomeno posseggo
accendini!”, rispose il soldato con un tono distaccato.
“Io – continuò l’elefante – prima che
faccia sera devo uscire da questa stretta galera. A tutti i costi devo tornare
dal mio bambino adorato, senza di me rimarrebbe shoccato: gli servo per
prendere sonno, lui di me ha davvero bisogno”.
E allora iniziò a zampettare, da un lato
all’altro oscillare: “Devo barcollare e man mano dondolare!”.
Così fece, fin quando la scatola a terra finì e su un lato si aprì.
“Siamo liberi” gridò il mammifero rigato all’amico soldato. Che lo guardò con ammirazione: era tenace quel peloso, forzuto e coraggioso.
“Grazie elefante, mi
dovrò sdebitare” gli disse a quel punto il gran militare.
I due compagni inaspettati si ritrovarono di
colpo in un grande spazio un po’ freddino. Non sembrava affatto un posto per un
bambino.
C’era di tutto: per tagliare l’erba ed irrigare,
per imbiancare e aggiustare. C’era anche un quadro di un coniglio, in quel
piccolo ripostiglio.
“Dobbiamo andare
via di qua – disse l’elefante al soldatino –
la casa di Jacopo è laggiù, oltre il giardino”.
Il tenente stavolta non si lasciò spaventare e prima
di partire il terreno decise di perlustrare.
Nello zaino, che portava sulle spalle, mise un
rocchetto di filo, un cacciavite e delle molle. E poi un cappello da
imbianchino, una biglia colorata e, per finire, una forchetta sgangherata.
“Che cosa è
questo frastuono?” – disse l’elefante un po’ agitato dopo un terribile
suono.
“Sono lampi, fulmini e tuoni! Piove, ma non
ti preoccupare, ne usciremo fuori!”
Il cielo lassù si era fatto tutto scuro, i
nuvoloni si avvicinavano, i venti soffiavano e tremava anche il muro.
L’acqua incominciò ben presto a farsi alta: i due amici avevano bisogno di una idea, di una svolta!
“Facciamo una barca con il berretto da imbianchino!” gridò il tenente con quel suo modo sapientino.
Che via d’uscita,
quella dell’ufficiale: anche stavolta una
trovata geniale. E l’elefante aveva capito che di quel militare, in fin dei
conti, si poteva fidare: e per approvare la sua soluzione, sollevò la
proboscide in ammirazione.
Un grande oceano sembrava il giardino, con tutta
quell’acqua che cadeva vicino. Si fecero forza e quella sgangherata forchetta
usarono come remo per tenere la rotta.
Arrivarono alla veranda e saltarono giù, “rimane solo da aprire la porta, quella maniglia… lassù!”.
Alzarono gli occhi e gli sembrò lontana, mentre la pioggia li bagnava come una gigantesca fontana. Ancora una volta il soldatino gridò: “Nulla è impossibile, io la aprirò!”.
Si tolse lo zaino e prese cacciavite e rocchetto, “Sono un esperto, sarà un lavoretto”.
Tirò in alto il cilindretto di legno: un paio di lanci a vuoto, poi si mise d’impegno. Ed ecco il rocchetto arrivò alla maniglia… Che bravo il tenente, lì davanti alla soglia!
In un attimo saltò
sul quel filo sottile, lo usò come una corda e salì in alto su per la porta. Arrivò
alla serratura e infilò il cacciavite. Poi si vantò: “Signor elefante, che ne
dite?”.
Entrarono in casa, un grande traguardo, e
lanciarono in giro più di uno sguardo: dovevano adesso solo riuscire, su per le
scale pian piano a salire.
Ma l’elefante, ancora bagnato, vide qualcosa e rimase incantato: il vecchio camino, in fondo alla stanza, tutto caldo e birichino. Fu allora che sentì la voce di Jacopo in salotto. Che nostalgia che gli venne di quel bimbolotto!
D’improvviso però, qualcosa andò storto, l’elefante senti un respiro sul suo pelo corto: era il bassotto di casa che lo annusava e con la lingua la sua coda leccava.
“Non vi muovete, amico adorato – gli disse sottovoce il bravo soldato – ci penso io a questo spelacchiato. Datemi un minuto e me ne sarò liberato!”.
Prese dallo zaino la biglia colorata e la lanciò sul pavimento con una forza smisurata. Il cane le corse dietro, con le orecchie al vento, scivolando veloce… via, sul pavimento!
“Nemico sconfitto”, sospirò l’elefante, vedendo il cagnetto molto distante. E finalmente si sentì rincuorato: fra poco sarebbe tornato dal quel suo bimbo adorato.
Solo un ostacolo li
divideva. Quelle scale, che ora temeva: si girò quindi perplesso, guardando il tenente,
che pensava lo stesso.
E che, con fare da duro, da vecchio trombone,
dallo zaino prese le molle, trovate nel gran capannone.
Aveva l’aria davvero
soddisfatta, di chi pensa di fare la cosa più adatta: “Signor elefante, le
metta, orsù! Faremo quattro salti e arriveremo… lassù!”.
Il peluche davvero non si fece pregare, sapeva
che sul soldato si poteva contare. Come promesso il piano andò bene e furono a
casa, come tutte le sere.
Nella loro stanzetta,
così desiderata. Che avventura, non l’avrebbero di certo dimenticata.
Si guardarono un istante, il soldato e
l’elefante: “Ero antipatico, adesso ho capito”, pensò il militare facendo un
sorriso.
Poi battendo i tacchi si congedò e sulla scrivania finalmente tornò. Fiero e ordinato sì, ma da quel giorno ben più rilassato. L’elefante invece balzò sul lettino, che lo aspettava per un bel pisolino.
Con il papà tornò poi Jacopo, ignaro che quanto accaduto fosse un miracolo. E quella notte dormì beato, sognando l’elefante e il suo amico soldato.
Una favola che mi ha fatto tornare bambina, piena di colori, leggendola sento il valzer della Fata confetto di Tchaikovsky
Un racconto pieno di amicizia e di emozioni, mi ha fatto pensare ai cartoni che guardavo insieme a mio fratello quando era piccolino. Grazie Paoletta per le belle sensazioni che mi hai fatto ricordare con questo racconto.
Hai tutta la mia stima per la storia con la rima / scritta bene e con impegno, qui ci vuole un bel disegno / di elefante, soldatino … e del sogno di un bambino.