Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Nascondimenti” di Silvia Rivolta

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Terminal due, partenze internazionali. Grazie.” Alberto si rese subito conto di aver usato un tono di voce troppo alto, che tradiva l’emozione per la partenza. Scese dall’ automobile e mentre lo faceva non poté non notare che il tassista indossava calzini corti e bianchi, proprio quelli che lui non sopportava. Ma come poteva in un momento così far caso ai calzini di quell’ uomo? S’incamminò verso le porte a vetro dell’ingresso, con sé aveva solo un piccolo bagaglio e nella mano destra un portadocumenti che stringeva più del dovuto, come non volesse rischiare di perderlo. Controllò il tabellone delle partenze, il suo volo sarebbe partito soltanto dopo tre ore. Aveva tempo. Cercò un bar e un tavolino a cui potersi sedere. Era l’ora di pranzo, ma decise di ordinare soltanto un caffè. C’era troppa gente attorno a lui e, sin da quando era bambino, lo metteva a disagio mangiare davanti agli altri. La cameriera gli portò quanto aveva ordinato e nel tirare fuori le monete dalla tasca, Alberto si accorse che stringeva ancora nella mano destra quella cartelletta. La appoggiò, ne estrasse i fogli che conteneva e con un gesto spontaneo, quasi involontario, li portò al petto, li strinse a sé. Il direttore della rivista gli aveva chiesto un articolo per capire se assegnargli un posto in redazione.  Da quando aveva chiuso il quotidiano locale per cui aveva lavorato, Alberto era rimasto fermo; ora finalmente un’occasione, in quelle pagine la possibilità che cercava da una vita. Gli era stato chiesto di preparare un pezzo sui segreti in campo artistico, qualcosa di originale. Alberto non ebbe dubbi. Per giorni non fece altro che scrivere. Scelse l’opera di Picasso, la Stiratrice. Con quel quadro era cresciuto, la nonna Dina ne conservava una copia in salotto e ogni tanto, ridendo,  diceva che era il suo ritratto, che non aveva fatto altro che stirare nella vita. Alberto ricordava quell’ immagine come una presenza silenziosa: quella luce blu, quella donna magra intenta a premere il ferro sui panni, ricurva su di sé, sotto il peso della vita. C’era una malinconia in quello sguardo e qualcosa che andava al di là, che non era rappresentato, che rimandava a qualcosa di nascosto. Non era mai riuscito a spiegare ciò che provava. Solo dopo anni, quando iniziò a scrivere di arte, Alberto ne trovò il senso: per oltre cento anni, quel dipinto  aveva nascosto agli occhi che gli si posavano sopra, un grande segreto. Sotto il primo strato di vernice si nascondeva un altro dipinto, svelato dagli storici d’arte grazie ad una telecamera ad infrarossi: una pittura che rappresentava l’immagine capovolta di un uomo con i baffi, del quale non si conosceva l’identità. Un mistero ancora irrisolto. Alberto aveva fantasticato per anni su chi fosse quell’ uomo, aveva fatto numerose ricerche, ne aveva studiato sguardo, posizione, espressione. All’ ipotesi del riutilizzo della tela, dovuto alle ristrettezze economiche in cui si trovava Picasso quando dipinse il quadro, a soli ventidue anni, all’ inizio della sua carriera, Alberto non credeva. Sarebbe stato così banale. E invece per lui c’era dell’altro, fantasticava che dietro a quella scelta, Picasso avesse voluto provare l’eccitamento di essere l’unico a sapere. O forse, era Alberto a desiderarlo, era lui che avrebbe voluto vivere la sensazione di conoscere quello che agli altri era sconosciuto, provare l’emozione di  essere l’unico a vedere quello che era davanti agli occhi di tutti, ma che nessuno era in grado di scorgere. Come si sta ad essere l’unico a sapere, conoscere quello che nessun altro sa, nascondere dentro la propria mente ciò che gli altri nemmeno s’ immaginano? Invece le cose erano andate diversamente, lui era stato dall’ altra parte nella vita, nella posizione di colui che, come gli altri, non sapeva. Gli successe quando, alla morte del padre, trovò una scatola di lettere per un destinatario impossibile da individuare: scriveva degli scacchi, il padre, la sua grande passione, e della vita. Fu sconvolgente per Alberto, erano scritti appassionati, pieni di vitalità, in cui non veniva fatto alcun riferimento a lui, al figlio. Non esisteva in quelle pagine. Si era sentito tradito, escluso. Come poteva quell’ uomo aver così tanto da dire, dopo una vita, con i suoi famigliari, fatta di silenzi, di parole non dette? E successe di nuovo, ad Alberto, di non sapere. Quando scoprì che la moglie, la donna della sua vita, lo tradiva da tempo. Aveva appena compiuto cinquant’ anni e in un attimo aveva perso quello che credeva ci sarebbe stato per sempre. Non aveva capito che dietro quella facciata di apparente normalità, il suo matrimonio stava crollando.

Alberto si accorse di stringere ancora i fogli tra le mani, al petto. Li posò, l’immagine del quadro era in prima pagina, insieme a quella del ritratto nascosto, non poté fare a meno di guardarle, di nuovo, prima una e poi l’altra. Il suo sguardo finì subito su di lei, sulla donna, la stiratrice con quel corpo emaciato, in una posizione così poco naturale, le braccia impegnate a spingere il ferro da stiro, le mani a premerlo con una forza tale da farla sbilanciare in avanti, con la schiena ricurva, creando una spigolosità che la faceva sembrare inumana, come fosse una strega. La celebrazione della fatica, della stanchezza, del sacrificio aveva sostenuto Alberto nel suo articolo, rifacendosi ai maggiori critici d’arte. Ora però in quel quadro vedeva qualcosa di diverso: lo sguardo di quella donna che per tutta la sua infanzia gli aveva rimandato malinconia, oggi sembrava sfidarlo, sbeffeggiarlo, come a volersi prendere gioco di lui. La bocca, quel labbro lievemente sollevato nascondeva un sorriso trattenuto, nascosto. Di chi nella fatica, trova il trionfo. Picasso aveva rinnegato il cognome del padre, scegliendo quello della donna che l’aveva generato. Il massimo del riconoscimento. Ma per tutta la vita, le donne le aveva tradite. Amate appassionatamente, ma tradite. Umiliate. Alberto diede un pugno sul tavolo. Non capiva. Aveva amato la sua donna, l’aveva rispettata lasciandola libera di essere moglie, madre, professionista. Non le aveva chiesto di sacrificare nulla. Le aveva permesso di essere quello che desiderava. L’aveva sostenuta, accontentata, mai costretta in posizioni che non voleva occupare. Lui, soltanto lui aveva rinunciato a buone occasioni per starle accanto, perché lei sentisse che era la sua priorità. Ma tutto questo non era stato sufficiente, era stato tradito.

Distolse lo sguardo. Sentiva il battito del cuore accelerare, sembrava stesse implodendo nel suo petto. Cercò rifugio nell’ immagine di quell’ uomo che per anni era rimasto nascosto. Chi sei? Come hai fatto a rimanere lì sotto per tutto quel tempo? Come hai potuto sopportarlo? Il corpo di Alberto si spinse in avanti, le mani appoggiate a far leva sul tavolo, come prima di un confronto acceso tra due uomini seduti uno di fronte all’ altro. Quella figura appena percepibile nell’ immagine scura, si mostrava dritta, guardava davanti a sé negli occhi di chi lo osservava. Aveva uno sguardo fiero, dei baffi importanti; in quelle sfumature indefinite, sembrava indossare un cappello, fumare un sigaro. Tutto lo rendeva ancora più pieno di sé. Nelle ricerche per il suo articolo, Alberto aveva trovato diverse ipotesi: quell’ uomo poteva essere uno scultore,  Mateu Fernandez de Soto, di cui Picasso aveva realizzato un ritratto; per altri ricercatori si trattava del pittore Ricard Canals, altro uomo vicino all’ artista spagnolo. Alberto non aveva trovato alcuna somiglianza, non era nessuno dei due. In quel momento, ripensò a suo padre. E la rabbia risalì. Quell’ uomo che aveva fatto finta di vivere all’ ombra di sua madre, in realtà li aveva fregati tutti. Come Picasso. Chi sei? Si era stancato di te? Quella donna? Oppure proprio chi ti ha dato la vita, lo hai deluso, non eri all’ altezza e allora ti ha nascosto dietro, umiliandoti, condannandoti a vivere capovolto? Alberto si tormentava, la testa tra le mani. Sentiva ancora viva la delusione provata quando trovò quelle lettere, in camera del padre. Per anni si è domandato perché non le avesse fatte sparire, se non avesse voluto punirlo, fargliela pagare. Lo hai deluso, non eri all’ altezza e allora ti ha nascosto dietro, umiliandoti? Quelle domande tornavano, come una persecuzione. Ripensava alla confusione dopo quel ritrovamento, come se tutto avesse cambiato di posto, non c’era più nulla di comprensibile. Quello che valeva fino ad un attimo prima, poi non aveva più senso. Suo padre aveva sempre mostrato di vivere per la famiglia, per la moglie, con un atteggiamento sempre un  po’ sommesso, fin troppo rispettoso, quasi ossequioso nei confronti della donna. Alberto aveva dovuto fare i conti con quel modo, quella passività l’aveva sempre disprezzata, attaccata dentro di sé, ma poi se l’era ritrovata addosso, come una seconda pelle di cui era impossibile liberarsi. Quelle lettere, in cui non c’era alcun riferimento a lui, a quel figlio a cui rinfacciava di aver dedicato la vita, quelle lettere avevano rimesso in discussione tutto. Mi hai tenuto nascosto, come se non fossi mai esistito! Si era sentito profondamente solo.  Impotente. Rabbioso. Piccolo.

Avrebbe voluto essere Picasso. Rinnegarlo. Vendicarsi. Costringerlo dietro. Nasconderlo per sempre.

Chi sei? Come hai potuto sopportare di rimanere lì sotto?

L’altoparlante annunciò il volo.

Alberto si alzò. Era pronto ad andare, c’era lui. Ora.

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4 commenti »

  1. Racconto molto bello e profondo

  2. Bel racconto dal sapore sveviano. Delinea la profondità psicologica del personaggio ed il difficile rapporto con il padre incredibilmente. Ho apprezzato il riferimento alla Stiratrice di Picasso ed il confronto di Alberto con il quadro.

  3. Sono stato attratto dal titolo, nascondimenti. Che significa quel sostantivo inconsueto? Ho voluto subito leggere il breve racconto, che mi è piaciuto molto: c’è un personaggio solo ma altri appaiono come nell’ombra di lui, e poi ci sono delle sorprese in quelle poche righe. Il lettore è indotto ad andare avanti. Il protagonista, direi sui cinquanta, scopre di non aver vissuto come invece credeva: deluso, si riconosce, mi vien da dire, in uno sfigato invidioso. Le scoperte che fa lo sorprendono oltre a rattristarlo: altri a lui vicini, al contrario di quanto credeva, vivono o hanno vissuto pienamente la loro vita. Un quadro di Picasso lo induce a interrogarsi sulle apparenze. Sua moglie sembra essere molto diversa dalla donna che ha sposato, in lei voleva forse vedere la stiratrice, come la nonna della sua infanzia. Riuscirà ora, dopo tanti anni di apparenze e inganni, a riscattarsi? A vivere una sua vita? Il lettore è libero di immaginare il seguito, ma sarebbe bello che l’autrice del breve racconto andasse avanti e ci rivelasse lo svolgimento che ha in mente. Come può riuscire, ammesso che ci provi, a riscattarsi, un cinquantenne della sua tempra? Non cadrà forse sempre negli stessi errori di valutazione, costretto a vivere una vita da recluso, similmente al personaggio che Picasso prima dipinse e poi nascose sotto la stiratrice, la donna dominante?

  4. Davvero molto bello. In poche righe c’è una introspezione profonda di Alberto e si delinea bene la sua vita e ciò che lo affligge. Complimenti

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