Premio Racconti nella Rete 2020 “La solitudine con Lui” di Doriana Ferrari
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020No no.
Io non esco.
Guardali! Quanta gente in giro. Proprio non capiscono, non ci arrivano. No, ci devi passare per capirlo. No, non è stupidità, è ignoranza.
Se l’avessero preso non li vedresti così allegri per strada, come se nulla fosse, nulla esistesse. Non lo conoscono loro, non sanno cosa si prova. Io sì che me lo ricordo bene. Quando l’ho incontrato mi è entrato dentro, mica mi ha chiesto il permesso. Fin dal primo giorno lo sentivo che si muoveva sotto la mia pelle, mi pizzicava i polmoni, la gola, il naso. Era così simile ad un banale male di stagione che mi ha confuso. Sì sì, ha ingannato pure me. E sono uscito, eccome se sono uscito! Sembrava un raffreddore, un banalissimo e comunissimo raffreddore. E l’ho considerato così per molto tempo, fino a che sono arrivati tutti quei morti. E Lui era sempre lì, e lo sapeva! E’ subdolo Lui! Come una zecca ha iniziato in quel momento ad attaccarsi e a crescere. Succhiava la mia paura, la mia angoscia, lasciandomi ogni giorno più affamato d’aria con il petto bruciante e dolente. Ad ogni respiro sentivo le ossa sbriciolarsi, la testa scoppiare. I sintomi li avevo tutti. Tutti! Ah già, la perdita di gusto ed olfatto…quella no, a quella non ci sono arrivato. Non ho ancora capito chi abbia vinto dei due, se io o Lui. Di sicuro ho fatto bene a non chiamare il medico. Quelli mi prendevano e mica mi riportavano indietro. Ci morivo io in ospedale!
No no.
Io non esco.
Fase due. Fase uno. Fase mille. Chissene frega. Io me ne sto qui. Mica è sicuro che sei immune se la fai. Sicuro che la riprendo, con la sfiga che ho. E poi esco a fare che? Passeggiare? Farmi vedere?Non ho nessuno fuori che mi aspetti. Nessuno.
Di nuovo! Squilla ancora! Chi sarà adesso?
Ma sì, sarà la moglie di Vito, come si chiama…Bettina, Concettina, Tina. Sì sì, sarà sicuro quella pettegola che vorrà sapere se sono morto per prendersi casa mia, così sistema il figlio. Non aspetta altro quella. In quarant’anni di vicinato manco un augurio di Natale, ora si ricorda di me. Ma io l’ho sentita quella, dal bagno. Mica lo sa lei che sento tutto. L’ho sentita mentre diceva al figlio che appena “schiattavo”…sì sì, ha usato il verbo schiattare, come se fossi un cane qualsiasi che ti impedisce di andare al mare a ferragosto. Poveri cani, loro sì che sanno amare. Mica come quella…ma come si chiama? Manco me lo ricordo.
Schiattare! Spero di ballarci io sulla sua tomba. Vecchia decrepita usurpatrice con manie espansionistiche. Solo perché non ho famiglia! Chi si crede di essere? Meglio di me? Ho scelto IO la mia solitudine! IO! Lei, proprio lei, vittima delle sue relazioni, vittima di suo figlio, della suocera, del marito, di lei stessa.
Schiattare! Uscirei solo per non sentirla più parlare. Quella vocetta stridula è insopportabile. Sentila come parla ancora della puzza. Ma puzza di cosa? Ora casa mia puzza! Non sa più cosa inventarsi. E chiamali i pompieri vecchia bisbetica! Con una pandemia in corso i pompieri vengono per la puzza che ti inventi! Qui ci esco pazzo con quella!
Se solo fossi fuori…
No no.
Io non esco.
Qui sono al sicuro. Meglio questa pazza che Lui, il Coronavirus. Senza ombra di dubbio.
Poi che nome Coronavirus. Covid, punto. Perché incoronarlo? Il Re virus, ci mancava questo. Il reale virus fuori, la vicina unna che desidera la mia morte dentro. Non avrei mai pensato in sessant’anni di onorata vita di provare ciò.
Mi aspettavo una guerra dall’alto, invece mi tocca una pandemia. Non posso neppure mettermi l’elmetto come in gioventù. Al posto di coprirmi la testa, mi coprono la bocca.
Alla fine ci sono riusciti, mi hanno zittito.
Qualcosa doveva succedere, c’è sempre un nemico per qualcosa. Gli hanno dato un nome. Sarà quello giusto? Siamo in un tutti contro tutti. Cina, Italia, Europa, Stati Uniti, petrolio, paziente zero, terza guerra mondiale, gente che perde tutto e gente che guadagna tutto. Economia, salute pubblica. Approfittiamo di chi non rispetta la distanza per vomitargli addosso la nostra rabbia, sopita in tutti questi anni di finta pace.
Coronavirus, Covid, sempre C. Eccolo il nome giusto. E’ Caos.
Ho quasi fame. Ho fatto colazione? Devo sistemare questi scatoloni, quasi non cammino più.
Oh, il frigo è vuoto…già m’ero scordato.
Quante cose ho dimenticato in questi anni. Ho corso una vita intera tra sveglie e calendari. E ora cosa sono? Mica sono tanto diverso dalla pazza qui a fianco. Solo che lei non ci pensa…
Mi godrò la vita poi, ora pensiamo al lavoro. Infatti! Eccomi sequestrato qui, nella mia stessa casa, quattro pareti funzionali al dormire e pulire poco. Sembra un carcere, non mi arriva manco la luce del sole.
E il frigo è vuoto.
No no.
Io non esco.
Quando passerà cambierò. Per prima cosa un bel viaggio. Potrei chiamare quel ragazzo, come si chiamava quello con cui lavoravo. Sì sì quello lì, era simpatico. Il nome me lo ricorderò prima o poi. Pacchetto all-inclusive e non mi vedono più per due settimane.
Ah sì. Eccome se cambio. Non mi fregano più. Non ho più tempo da recuperare, come non ne ho da perdere. Appena aprono me ne vado. No, non basta una vacanza. Cambio casa. Sì, cambio casa. La mia la lascio alla vecchia pazza, almeno faccio pure un’opera buona. Mi prendo una bella villetta in montagna. Un eremo! Sì, un eremo sarebbe perfetto.
Ma cosa sto dicendo. Sto cadendo nella banalità. Questo sentimentalismo da quarantena mi uccide più di Lui.
Starò qui. E che quella matta se ne faccia una ragione.
Cambiare. Anche la parola ha un suono così ostile, duro. Cambiare. Dopo aver provato paura è solo debolezza, stupida tra l’altro.
Mi ci vorrebbe una sigaretta.
No no.
Io non esco.
Bussano alla porta?
Chi sarà?
Ma che ore sono?
Perché non hanno citofonato?
Non ci posso credere! La pazza ha veramente chiamato i pompieri. Ma mi vuole veramente morto? Se non sono infetti loro!
No no, non posso aprire.
«Non entrate!»
Perché non mi sentono?
«Non entrate!»
Non mi sentono.
«Vi prego no, non aprite. Ho paura, ho freddo, non aprite, ve ne prego».
….
Non li sento più. Se ne saranno andati?
Non li vedo più. La camionetta è qui sotto. Ah eccoli lì. Ah questa volta Concettina, Bettina, come cavolo si chiama mi sente. Mandarmi i pompieri! La decenza ha un limite.
Ma cosa stanno facendo? Un accetta? No! Mica vorranno…
Devo prendere una sedia. Sì una sedia! Ma com’è che è così pesante? No! Sono già qui!
«Non buttate giù la porta! No noooo! Sono qui. Statemi lontano, ve ne prego. No no, non mi toccate. Lasciatemi, non mi toccate, siete infetti.Ve ne prego, abbiate pietà. Lasciatemi stare».
Oddio. Sono venuti per me. Già.
Per me.
«Lasciatemi, andatevene… sono già morto».
Un racconto amaro, un racconto forte, un racconto tragico. Ciò che colpisce oltre la storia del dramma del protagonista che vive la pandemia sulla sua pelle, esposto al mistero di un virus che colpisce e stermina vite umane, è il ritmo incalzante e veloce fino al finale ineluttabile. Bello.
Doriana, il tuo racconto mi ha colpita molto e il finale è da brividi. Brava!
Grazie Maddalena, grazie Margherita. Spero con il mio scritto di dare memoria ai dimenticati nella vita e nella pandemia. Un abbraccio