Premio Racconti nella Rete 2020 “L’ora di felicità” di Margherita Penza
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Affretto il passo, apro il portone, salgo velocemente le scale, in una mano la busta della spesa e sottobraccio due riviste.
Mia madre è dietro la porta, sento i piccoli, sordi picchiettii del suo bastone sul pavimento. So che mi sta aspettando, sicuramente indossa la camicetta di seta e il foulard azzurro polvere. Le piace farsi trovare pronta, con la borsa a tracolla, le piace suscitare quel senso di approvazione che era solita dare lei, che ha fatto dell’insegnamento e del rigore la bussola della sua vita.
– Sono un po’ in ritardo, scusami. Ti ho portato cose buone da mangiare e stavolta non mi sono dimenticata la Settimana Enigmistica.
– Hai pensato a tutto, come sempre. Però hai l’aria stanca, rallenta e tira il fiato, fai come me.
– Non ti preoccupare, mamma, non ce n’è bisogno. Ci avviamo? Non vorrei arrivare in ritardo.
– Sono pronta. Mi alzo e tiro il fiato. Come andrà questa volta?
– Bene, come vuoi che vada?
– Che schifo diventare vecchi, te l’ho sempre detto che volevo morire giovane, tutta questa fatica per finire su una sedia a rotelle a mangiare minestrina. Comunque andiamo, non servono a nulla i brutti pensieri
– Infatti. Meno male che lo capisci da sola, non voglio più sentire queste parole.
Non le voglio sentire, perché sono diventata io la parte rassicurante, la sponda d’appoggio. Ho imparato in questi anni a credere senza rimostranze, a non domandarmi più come andrà, ad agire senza pensare, a seppellire la paura. Per questo i pensieri maleodoranti, quelli che anticipano una data di scadenza, che prefigurano decadenza vanno cacciati. La penso così. Ora che Carlo e Cecilia sono relativamente grandi, potrei occuparmi un po’ della mia felicità: la felicità esiste, ne sono certa, per il momento mi ha semplicemente scansato, mi ha lasciato in stato di stand by. Non si tratta di pessimismo, né di senso di oppressione, mi ripeto, è solo il mio sguardo oggettivo su una realtà che è cambiata. I bambini si sono fatti ragazzi, giustamente reclamano distanza, aria nuova. Non posso che rivolgere le attenzioni a mia madre, del resto come avrei potuto farlo prima? Una voce sotterranea mi ricorda che è questione di tempi e ruoli. Oggi valgono questi.
Ogni visita medica di controllo mi riporta ai bilanci di salute dei miei figli, rivivo un sentimento di attesa, quella vertigine data dal ritrovarmi in un territorio inesplorato. Mi succede ogni volta che varco la soglia dello studio del Dr. Nolibi, il neurologo che da più di cinque anni segue l’evoluzione di questa dannata malattia che ha minato certezze e mobilità. La prima volta, nel comunicarci la diagnosi, il dottore ci disse che non potevamo di fatto lamentarci, poteva andare peggio – Non è proprio Parkinson, è una forma di parkinsonismo, vale a dire un derivato apparentemente più innocuo, dal decorso più lento. Una forma benigna, una variante fiaccata, la versione addomesticabile di una brutta bestia. Aveva in qualche modo cercato di addolcire il boccone amaro; tuttavia quel responso suonò ugualmente come uno schiaffo ricevuto in pieno viso. Il mondo non ha sempre l’obbligo di occuparsi della nostra felicità, questo mi dissi.
Lo studio profuma di cera da parquet, è sobrio, ma accogliente, di una tipica eleganza sabauda. Qui i gesti si fanno rilassati e i pensieri si annullano, la lentezza dei passi non ha alcuna importanza. Il dottore ci aspetta sulla porta, mi riconosce e capisco dal suo sguardo che in fondo è piacevolmente sorpreso di ritrovarmi lì, a distanza di un anno. Ci fa accomodare, ciascuna sulla propria poltroncina, e comincia la breve chiacchierata di rito. Prima di indagare lo stato della deambulazione, si vuole accertare che la testa di mia madre abbia ancora voglia di lavorare, di mettersi in moto.
– Signora Scagliati, come andiamo? La trovo bene. Mi dica, quando ci siamo visti l’ultima volta, se lo ricorda?
– Esattamente un anno fa. Fisso l’appuntamento di anno in anno, stesso mese, stesso giorno. Veramente lo fa mia figlia – mi guarda, mi sorride e mi prende la mano, anzi me la stringe, e in quella stretta riconosco il suo non perdersi d’animo, al di là di qualche scomposto momento di sconforto, la sua missione in attivo per conto della felicità.
– Ottimo. Fa bene a mantenere questo appuntamento. E del suo umore cosa mi dice?
– Alti e bassi dottore, ad essere sincera li ho sempre avuti. Ora purtroppo di più, perché mi pesa vedermi così lenta, insicura. Sono una vecchia carcassa malandata, che arranca, arranca fino a quando si fermerà. Questa figlia poi dovrà pensare alla sua vita, non crede?
– Questa figlia restituisce un po’ di quello che ha ricevuto, non si deve crucciare. Adesso la voglio vedere in piedi, si alzi e facciamo qualche esercizio.
Nel frattempo il dottore si rivolge a me, mi chiede come sto, mi parla con garbo. Mi osserva attento, alle prese con questa mia nuova maternità, dove non si aspettano progressi, né crescite di peso e di altezza. Qui la parola salvifica è stabilità, è la stabilità a dare fiducia, quella cura che ha cristallizzato una normalità apparente, che tiene a bada declino e ombre, che mi fa tirare un poco il fiato, anche se si sa che è solo questione di tempo. Il peggio deve ancora arrivare. Ma oggi vale questo.
Guardo mia mamma come una bambina troppo cresciuta che vuole fare bella figura. Cammina esibendo sicurezza, esegue alla perfezione gli esercizi di coordinazione, abbandona il bastone per dimostrare che il suo senso dell’equilibrio c’è ancora e l’incertezza è solo questione di attimi e in fondo la memoria con tutti gioca a nascondino. Si impegna, accalorata in viso, con i battiti accelerati, in attesa dell’esito finale. Vuole fare ancora, è lì per far vedere tutto quello che sa fare.
La visita termina, finalmente usciamo, se Dio vuole ci è concesso un altro anno, se lasciamo spazio a pensieri che odorano di buono. Oggi il resoconto è in attivo, il bilancio di salute registra una situazione stabile, la parola più confortante che potessi sentirmi dire nel corso di questa mia terza maternità.
– Come mi ha trovata? Secondo me meglio dell’altra volta
– Anche secondo me. Sei stata bravissima!
– Allora festeggiamo? La compriamo una camicetta nuova?
– Forse è tardi, non sei stanca? Ma no, hai ragione, te la meriti.
E’ il nostro punto fermo: si smette di immaginare come sarebbe andata se non fosse andata com’è andata. Si abbandona la speranza a lungo termine, si accolgono le buone notizie, celebrando il momento. Basta un gelato, una cena insieme, una camicetta che si abbini a perle e foulard. La felicità oggi esiste, ha scovato due soggetti idonei, ci ha abitato per un’ora.
Una tenue poesiola che denota un’eccellente capacità narrativa e descrittiva, fin dentro i più minuziosi particolari e nelle sfumature emotive di buon registro. Placida placida, senza colpi di scena e fuochi d’artificio. Proprio come è bello leggerlo questo racconto, folto di termini ricercati, appropriati, mai banali… che ti costringono a rileggerlo e a prendere appunti.
Per un attimo la parte più carogna del mio dannatissimo aggregato molecolare ha avuto il sospetto che tu volessi far morire la mamma dallo specialista. Ma è stato giusto un guizzo; meglio così, meglio “lasciar spazio a pensieri che odorano di buono”!
La felicità mi ha abitato per tutta l’ora che ho dedicato al tuo racconto. Grazie.
Certo, però, che quel “Guardo mia mamma…” Ma no, lascia perdere, sono io che voglio fare per forza il bacchettone tradizionalista anche di fronte alla perfezione. Viva il linguaggio che vive e che cambia (^_^)
Grazie Leonardo per queste tue parole attenti e partecipi, direi anche troppo generose 😉
Mi fa piacere che la felicità ti abbia abitato per il tempo di lettura del racconto e grazie anche per la tua sottile segnalazione…Quel “Guardo mia mamma” lascia trapelare una nota personale, un certo coinvolgimento…la lingua cambia, è vero, ma lì c’è una sbavatura!
Ad onta del tema, il racconto utilizza toni pacati, si avverte un’accettazione (quasi) serena dell’ineluttabile passaggio del tempo. La scrittura è forbita ma mai leziosa o esibizionista. In una parola, è matura. Complimenti
Un racconto emozionante!
Complimenti, è scritto benissimo. E’ un racconto che ti prende per mano, senza stringertela, e ti mostra con delicatezza un angolo di vita.
Cara Margherita, non ti voglio copiare, ma anche tu mi hai fatto piangere!!!! Anche nel tuo torna un rapporto ancestrale mamma figlia, e la tua scrittura è molto molto accurata e allo stesso tempo, semplice, ma arriva .. hai voglia se arriva! arriva nel profondo, più profondo che c’è. Mi sono commossa perché mia mamma non c’è più da tempo, ma sono certa che se fosse stata con me, sarebbe stata proprio come questa mamma che tu descrivi, una donna che è stata forte e che teneramente ha il piacere di scambiare il ruolo con sua figlia. E’ molto bello.
Non vorremmo mai che i ruoli si invertissero, eppure succede. Mi hai fatto riascoltare una melodia che non ricordavo più, colma di malinconia e dolcezza. Grazie
Grazie di cuore Ottavio, soprattutto per le osservazioni sulla scrittura, che sono di incoraggiamento 😉
Grazie Chiara, in effetti ho cercato di mantenere un tono pacato, di presa di coscienza naturale e malinconicamente dolce, che si percepisca mi fa molto piacere!
Grazie Annalisa, grazie mille!
Passerò a leggere Avana, che mi incuriosisce molto.
Margherita, credo che a un certo punto l’inversione dei ruoli sia inevitabile, sta a noi cercare di coglierne la parte bella, nonostante la fatica e una velata tristezza. Mi fa piacere che il racconto ti abbia restituito malinconia e dolcezza, anche legate alla tua storia personale. Ci auguriamo sempre che il lettore possa rispecchiarsi e risuonare di quello che scriviamo 🙂 Grazie!
Grazie per le tue parole Elvira, sono preziose e danno carica! Ci accomuna il tema di madre e figlia, ciascuno nella sua specifictà e declinazione. Tra le cose belle di questa iniziativa c’è certamente la possibilità di confronto e dialogo con altri autori. E’ una ricchezza!
Oh a me quest’ora di felicità ha colmato il cuore, com’è profondamente vero e umano l’atteggiamento della Madre che cerca di dimostrare quanto è in forma durante la visita… E altrettanto autentica la risposta della Figlia che vive il ribaltamento di ruoli. Racconto dolceamaro come la vita, con una densità di scrittura che mi è piaciuta molto, dire tante cose in poche parole è un dono raro, o forse una sudata conquista, sicuramente nel caso di Margherita un traguardo raggiunto.
Grazie Patrizia per questo tuo commento che colma il cuore 🙂 Mi fa molto piacere anche la tua osservazione sulla scrittura, sulla quale si cerca di crescere e di misurarsi. Come ho già detto questo scambio di pareri e questa reciproca lettura è una bella opportunità!
Scritto benissimo e la conclusione è ciò che più sento “mia”: l’oggi come dono prezioso, il qui-e-ora come tutto ciò a cui ambire. Grazie per aver condiviso, con grande cura, uno spaccato di vita tanto personale.
Una madre e una figlia su uno sfondo di malattia che incombe come un cielo scuro. Poi le nuvole nere si mettono in un angolo, e lasciano tempo per incontrarsi e sorridere. Molto bella la descrizione di come cambia con l’età la posizione sul terreno di incontro delle due donne, quasi un gentile tiro alla fune. La madre però la sa più lunga, perché ha imparato nel tempo anche a convivere con se stessa. E lasciando corda accetta, maternamente, di fare la figlia.
Grazie Pier Francesco! In effetti la ricerca dell’oggi come dono prezioso rimane un traguardo da raggiungere, per i personaggi di questa storia e anche per me 😉
Marco, hai detto bene quello che ho tentato di trasmettere: l”incombere di una malattia che avanza e nonostante questo la volontà di succhiare ancora cosa c’è di buono e di bello di questa vita! L’inversione di ruoli credo che prima o poi la viviamo un po’ tutti con i nostri genitori, per questo mi è sembrato naturale proiettarla su questa madre e figlia. Grazie per le tue parole 🙂
Brava, un racconto delicato ed estremamente realistico. Senza retorica hai descritto benissimo la naturale inversione dei ruoli.
Grazie Valeria per le tue parole. Verrò volentieri a leggere il tuo racconto 🙂
Toccante e malinconico. Spinge a una profonda riflessione sullo scorrere del tempo e sull’inevitabile inversione dei ruoli. Bello.
Grazie Maria Luisa, mi fa molto piacere che ti sia piaciuto! Passerò a leggere il tuo racconto! Buona giornata 🙂