Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Il segreto” di Elvira Spuntarelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Quell’estate si compiva trascinando giorni caldi ed oziosi. Avevo dieci anni, tentavo di nascondere premature inquietudini di adolescenza in un corpo filiforme, vestito di jeans e tshirt bianche, io stessa le dipingevo con pupazzi dalle facce arrabbiate, che assomigliavano alla mia faccia magra, occhi nocciola, profondi, incorniciata da tanti capelli ricci, che non pettinavo mai, lavavo poco e che mamma minacciava di tagliare.

Abitavo con mamma, papà era morto qualche anno prima, lasciandoci sole e in collera l’una con l’altra, soffocate dal dolore e gelose ognuna del proprio ricordo.

Mia madre era una segretaria part-time fino alle 14, tornava per pranzare poi diventava lavapiatti in un ristorante. Rientrava la sera tardi, puzzolente di cibo e di fumo, si spogliava in bagno, faceva una doccia e passava in camera mia per scrutare il mio sonno, io spesso strizzavo gli occhi fingendo di dormire.

Occupavo le giornate a leggere ed ascoltare musica, il tempo era lento e vuoto in città, quando anche le poche amicizie erano in vacanza.

Quel pomeriggio ero scesa a prendere un ghiacciolo e avevo trovato nella cassetta della posta una lettera. Risalendo le scale la giravo e rigiravo tra le mani, incuriosita da quella busta gialla seriosa, il nome di mamma ed il nostro indirizzo erano scritti con eleganza, c’era un qualcosa di solenne, non aveva mittente ed io decisi che scoprire chi fosse poteva essere l’occupazione del pomeriggio.

Amavo i libri di spionaggio, da qualche parte avevo letto come aprire le buste senza rovinarne la carta. Presi un pentolino, lo riempii d’acqua e lo misi a scaldare. Mamma non era contenta che armeggiassi con i fornelli, a meno che non fosse per cucinare, ma avevo tutto il tempo prima che tornasse. Quando vidi le bolle dell’acqua, spensi, presi la busta e passai sopra il vapore la parte anteriore, più volte, cercando di alzarla con delicatezza, non ci volle molto, chi l’aveva spedita non aveva gradito il sapore della colla.

Il foglio era piegato in tre parti, le righe azzurro chiaro separavano spazi scritti con la stessa calligrafia della busta. Lo stesso rigore lo ritrovavo nella lingua utilizzata, erano fatti che non capivo, ma che riguardavano il mio nome.

“Anche se in passato lei non ha mai voluto accettare nulla da noi, questa volta la prego, non si offenda, vorremmo aiutarla, sappiamo che sta facendo tanti sacrifici per la bambina”.

Aprire la lettera aveva acceso maggiormente la mia curiosità. Copiai il testo sul mio diario, la richiusi con la colla e la riportai nella cassetta, mamma non doveva sospettare che l’avessi aperta.

Squillò il telefono.

<<Emma>> era mamma, <<Come stai?>>

<<Bene tutto apposto>>

<<Torno prima stasera, aspettami per cena, sono a casa intorno alle nove e mezza>>

<<Riscaldo la pasta di oggi?>>

<<Si grazie>>

Misi giù. Mi sembrava che anche nella sua voce ci fosse un’ombra di mistero.

Andai nella stanza dove dormiva, aprendo la porta ero sempre investita dal suo profumo, sapeva di fiori freschi di primavera, teneva la bottiglia sopra il comò ed io a volte le estorcevo il permesso di metterne qualche goccia, era l’unico lusso che si concedeva dalla morte di papà. La persiana era chiusa <<Emma non aprire quando ci batte il sole che entra il caldo>>. Accesi la luce, se fosse stata lì mi avrebbe sgridato, era attenta a tutti gli sprechi. La stanza era sempre perfetta, non mancava mai di riordinare, al contrario di me che a volte lasciavo calzini e mutande buttati sotto il letto, il copriletto, ben rimboccato sotto il materasso, era di colore rosa antico, cucito da lei con uno scampolo del mercato. Mi avvicinai al comò e aprii il primo cassetto dove teneva documenti e fotografie. Ogni volta che aprivo non potevo fare a meno di soffermarmi sulla foto del loro matrimonio. Mamma era alta, un po’ più di papà, aveva capelli lunghi, mossi, neri, neri, sciolti sull’abito bianco -ora li portava sempre legati- papà aveva un fisico muscoloso, gli occhi chiari, quasi calvo già da ragazzo. In tanti scatti guardavano entrambi l’obiettivo ed erano felici, ma quella che mi piaceva di più era una in cui l’obiettivo li sorprendeva da lontano, che si guardavano, in quello sguardo c’era l’amore che mi mancava ora, perché papà non c’era più e mamma non c’era mai.

Sotto le fotografie trovai i documenti legati con un nastro blu. L’ultimo foglio di carta più spessa era piegato in due, e la piegatura aveva rovinato quel cartoncino. Lo estrassi dal resto e lo aprii, sembrava un certificato di nascita. La bambina aveva il mio nome ed era nata nei miei stessi giorno, mese e anno, 13 settembre 1970, a Milano. Sotto al nome della bambina c’era indicato il nome della mamma, il nome del papà era lasciato vuoto.

<<Emma?>>

Mamma tornò puntuale alle nove e mezza, mi trovò in cucina, avevo già apparecchiato, mancava solo la bottiglia di acqua che preferiva fredda di frigo, la misi sul tavolo quando ci sedemmo.

<<Come stai? Che hai fatto oggi?>>

Quando tornava per cena, faceva sempre le solite domande e prima che iniziassi a raccontare, era già in bagno a lavarsi le mani.

<<Cosa? Cosa? Non ti sento>>

Finché non tornava in cucina, dove potevo anche cambiare racconto senza che se ne accorgesse, oppure non chiedeva più nulla.

Quella sera me lo aveva chiesto che eravamo sedute a tavola.

<<Perché mi guardi così? Che hai?>>

Abbassai gli occhi per non farle leggere i miei pensieri.

Mi accarezzò con un sorriso, era proprio bella quando sorrideva, ripensai alle fotografie nel cassetto.

<<Mamma io dove sono nata?>>

<<A Roma >>

Mi rispose continuando a mangiare gli spaghetti che avevo ripassato in padella e di cui aleggiava ancora il profumo nell’aria della cucina.

<<Sono buoni, brava, li hai ripassati al punto giusto>>

Un altro sorriso.

Ero sicura che avesse aperto la lettera e sicura che per lei fosse chiaro quello che a me sembrava un rebus della Settimana Enigmistica.

<<Che tempo c’era quando sono nata?>

<<Era settembre>>

<<Si ma quel giorno c’era il sole oppure era nuvoloso>>

<<C’era un bel sole>>

<<E che ora era?>>

<<Le 11,30>>

Quella sera avrei potuto continuare a chiedere e lei avrebbe continuato a rispondere, colpo su colpo, con precisione, senza mai alzare il viso dal piatto di spaghetti, che sembravano non finire mai. Poi finirono. Si alzò e si mise a lavare i piatti. Era un silenzio diverso.

<<Buonanotte>>

<<Doccia e denti prima di andare a dormire>>

La nota sulla igiene personale mi restituì la mamma di sempre.

Eseguii gli ordini e mi infilai sotto le lenzuola, non riuscii ad addormentarmi, nella stanza vicina anche lei si girava più volte.

La mattina mi piaceva indugiare nel letto, fingevo di nuotare nel grande e profondo mare delle mie lenzuola. Il gioco lo aveva inventato papà, quando la domenica salivo sul lettone e mi facevano stare nel mezzo. Erano passati sei anni e quel ricordo odoroso di corpi e di affetto era ancora dentro il mio cuore.

Quella mattina no, appena uscita mamma, decisi di proseguire la mia ricerca. Andai nella stanza e aprii il cassetto, era tutto lì, le foto, i documenti, scovai un pacchetto di altre buste gialle. Aprii con cura il nastro identico a quello dei documenti, avevano sopra un timbro “raccomandata”, tirai fuori il foglio della prima.

13 settembre 1970. Cari signori Rossetti, ringraziandovi per aver accettato l’offerta, vi rinnovo la richiesta di massimo riserbo intorno alla vicenda. Vi informo che, come potrete ben immaginare, al momento mia figlia non è in grado di potervi incontrare ma abbiamo pensato che, salvo complicazioni, la consegna potrà avvenire tra un mese esatto, alla stazione di Milano. Oltrepassare questo tempo potrebbe voler dire una affezione più marcata verso la bambina da parte della madre biologica, con grosse ripercussioni sulla psiche di tutti, soprattutto su quella di mia figlia già troppo provata.

Un brivido mi attraversò la schiena.

20 marzo 1974. Cara signora Amelia le porgo le mie più sentite condoglianze, mi faccia sapere un modo per aiutarla in questo momento triste per lei e la bambina.

La data era una settimana dopo la morte di papà.

13 settembre 1974. Cara signora Amelia, mi dispiace che ci abbiate inviato indietro il pacco di abiti, ci avrebbe fatto piacere che aveste approfittato, erano usati ma di ottima fattura.

Mi tornò in mente il ricordo di me vestita con stoffe colorate cucite da mamma.

15 gennaio 1975.Cara signora Amelia, ora che vi siete rimesse dal doloroso lutto, mia figlia avrebbe il piacere di incontrarvi e poter rivedere la bambina.

Io non avrei voluto vedere quella donna.

Spero che stavolta lei acconsenta, naturalmente dietro lauto compenso, come le ho ripetuto numerose volte in passato, nessuno ha intenzione di svelare il nostro segreto, ma esiste una verità di cui lei deve tenere conto.

Continuavo a leggere, e a copiare sul mio diario le parole di quel segreto, del mio segreto. Le scrivevo slegate l’una dall’altra per annullarle, ma ormai il segreto era svelato, eppure continuavo a scrivere e scrivere finché un dolore al polso, mi restituì al presente. Guardai verso la sveglia sul comodino e con un tuffo al cuore mi accorsi che era trascorsa l’intera mattinata. Le buste erano sparse sul pavimento intorno a me, di alcune il foglio era fuori, con le mani cominciai ad avvicinare tutto per riordinare e fu lì che sentii la chiave girare nella serratura.

<<Emma>>

Il sangue mi salì in testa.

Mi misi a impacchettarle come le avevo trovate.

<<Emma dove sei?>>

Il sangue ridiscese verso il cuore con uno scoppio.

Gli angoli delle buste uscivano da tutte le parti.

<<Emma. Non hai messo nemmeno l’acqua per la pasta>>

Lo scoppio investì le tempie.

Presi a legarle, incrociando il nastro sopra e sotto.

<<Emma? Ma dove ti sei cacciata?>>

La voce girava tutte le stanze, era inammissibile che io fossi nel posto dove mi trovavo in quel momento.

Il pacchetto non mi riuscì e tutte le buste saltarono fuori di nuovo sul pavimento.

Cominciai a piangere. Piansi per la mia curiosità. Piangevo l’amore per il mio papà e la mia mamma, temevo di perdere quella che era stata la mia vita.

Aprì la porta della stanza. <<Emma>>

Le corsi addosso per farmi abbracciare e lei mi strinse, all’inizio quasi con sorpresa, poi sempre più forte, accorgendosi delle lettere a terra. Le mie lacrime bagnavano la stoffa del suo vestito, non avevo il coraggio di guardarla negli occhi e rimanevo con il viso nel suo odore, lì dove avevo trovato il suo cuore.

Allontanò piano il mio viso da sé per potermi guardare e farmi scoprire che le mie lacrime erano anche le sue.

Loading

16 commenti »

  1. Dante, Petrarca, Boccaccio… scoperchiate le vostre tombe e correte qui ad imparare come si scrive davvero. Recate con voi un taccuino sotto al braccio, infilate un lapis sull’orecchio e accomodatevi senza vergogna!

  2. Grazie Leonardo. Esagerato. Sorrido.

  3. Elvira, è veramente toccante e pungente questo racconto, mi ha emozionato fino alle lacrime. E al di là della storia coinvolgente, ho apprezzato anche molto la tua scrittura, precisa e curata. Davvero bello!

  4. Grazie Margherita! Mi fa molto piacere che ti sia piaciuto e se ti ha commosso ho raggiunto l’obiettivo ed anche il complimento sull’accuratezza della scrittura mi rende molto molto felice. GRAZIE ancora.

  5. La tua è una scrittura che coinvolge emotivamente il lettore. Mi è piaciuto sotto tanti punti di vista e il contenuto è bellissimo.

  6. Grazie Margherita. Amo leggere proprio per coinvolgermi ed è ciò che cerco nelle mie letture, il tuo complimento non può che farmi tantissimo piacere.

  7. Bello, Elvira. Brava!

  8. Molto toccante. Complimenti

  9. Grazie AnnaMaria 🙂

  10. Grazie MariaLuisa, sono felice che sia toccante.. ho provato a farlo.

  11. E siccome non mi era bastato, sono tornato a leggere questo racconto e mi è piaciuto di nuovo.
    1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 Ti tengo d’occhio (^_^)

  12. non sono un amante dei racconti così emozionali, ma devo dire che la tua scrittura mi ha rapito. complimenti

  13. Ciao Marcello, ti ringrazio! Il tuo è un complimento doppio, visto che ami narrazioni di altro genere.

  14. Leonardo, sei una specie di detective con la penna dello scrittore in mano! Sorrido. Si, è stato una delle soddisfazioni letterarie dello scorso anno. Grazie.

  15. Leggere il tuo racconto e saperlo fra i vincitori mi ha reso felice di aver partecipato al concorso. Ad maiora semper!

  16. Grazie Leonardo!!

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.