Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020″La Regola” di Alice Sella

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

La prima cosa che fece, ancora prima di aprire gli occhi, fu allungare il braccio sinistro nella parte del letto dove aveva dormito suo marito. Naturalmente la trovò vuota. Reprimendo un singhiozzo, si mosse un poco, e subito fu accolta da un tappeto di fusa di diverse intensità. Sorrise piano, accarezzando i dorsi morbidi e soffici dei suoi gatti. Un abbaio festoso le confermò che anche Nik era sveglio, perciò si decise ad alzarsi per sfamare i suoi animali.

Passò prima per il bagno, e lo specchio appanato le restituì l’immagine di una cinquantenne segaligna e con lo sguardo un po’ allucinato, i capelli crespi e in disordine che non si lasciavano intruppare dalla spazzola. Con un sospiro, fece le scale per scendere al piano inferiore, dove aprì ante per fare entrare la luce e scatolette per dare da mangiare agli animali. Meno male che se ne trovano ancora, pensò, aprendo una scatoletta per i gatti e una per Nik. Quando saranno finite dovrò mettermi a sgozzare maiali, e non è una prospettiva molto allettante. Prese del caffè di cicoria, arricciando le labbra al sapore amaro, ed uscì per andare a mungere la mucca e dare il becchime alle galline, in attesa nella piccola stalla ricavata dal garage. L’auto l’aveva venduta tempo addietro, tanto di benzina non se ne trovava neanche più. Aveva ancora un trattorino Grillo con diverse funzioni, da tagliaerba a piccolo aratro, che ricaricava con i pannelli solari sul tetto. Anche quelli, chissà quanto sarebbero durati, prima di cadere a pezzi e non caricare più. Altre complicanze da prevedere nei prossimi anni, se non mesi. E il mondo non accennava a riprendersi. Mentre rientrava in casa con il secchio pieno di latte e il piccolo paniere pieno di uova, sempre scortata da Nik, che in cuor suo si sentiva cane da fattoria dalla nascita, incrociò da lontano il vecchio vicino.
“Ola ola siora Marta, buon giorno.”
Marta sospirò piano, attenta a non far vedere l’alzarsi e l’abbassarsi del petto.
“Buongiorno sior Federico, come andiamo oggi.”
“Ah, cosa vuole.” Rispose il vecchio, fermandosi a circa due metri e mezzo di distanza e perciò rimanendo nel suo lato della proprietà, come aveva sempre fatto da quanto Marta e il marito si erano trasferiti lì, giovani e innamorati, entrambi con una carriera brillante nell’informatica e senza alcuna intenzione di avere figli, cosa che i vicini non avevano mai compreso. “Si tira avanti, se vuole le ho raccolto qualche radicchio.”
“Beh, grazie sior, ho delle uova da darle.”
Il vecchio avanzò a posare a terra un saccheto di juta, precisamente al confine tra le due proprietà. Marta aspettò che si allontanasse, poi andò a prendere il sacchetto, posando al suo posto tre uova appena raccolte. Si fece quindi indietro, e il vecchio andrò a prendersi le uova con visibile soddisfazione.
“Ah, grazie siora Marta, che bene. Ah, stamattina che era appena chiaro ho fatto la salita per il bosco, seguendo il torrente. All’altezza del faggio ho sentito dei lamenti venire dal vostro terreno, forse l’è meglio che vada a controllare.”
Marta si morse le labbra per non imprecare, annuì e salutò il vicino, poi andò in casa a riporre le cose raccolte. Il frigorifero funzionava solo di giorno, quando il sole nutriva i vecchi pannelli solari, perciò ormai lo usava come dispensa. Rassettò la cucina, si assicurò che i gatti fossero tranquilli, distesi al sole sul prato davanti alla casa, e andrò a prendere il fucile a pompa.

Si mise gli stivali di gomma, quelli larghi del marito, che i suoi erano ormai pieni di buchi per il troppo uso. Si incamminò lungo la lieve china della collina, con Nik che le camminava a fianco, attento e pronto a scattare. Furono i ringhi del cane a confermarle che aveva trovato quello che stava cercando, ancora prima di vederlo. Arrivata ad una radura accanto al fiumiciattolo, lo vide, appoggiato al tronco di un frassino, con il viso imperlato di sudore e la gamba sinistra girata in un angolo innaturale. Appena notò la sua presenza, gli occhi si fecero grandi come pozze. Fissò il suo viso, poi il cane, poi il fucile, e si lasciò fuggire un gemito strozzato.
“Salve. Lei è nella mia proprietà.”
L’uomo, un giovane sui venticinque anni a giudicare dalle poche rughe attorno agli occhi, deglutì un paio di volta prima di riuscire a rispondere.
“Io…. Mi spiace, mi spiace! Mi sono perso e…”
“E mentre ti perdevi hai tentato di avvicinarti al grano, vero? Hai fame?”
L’uomo non disse niente, ma i due grossi lacrimoni che scorsero lungo le sue guancie parlavano per lui. Annuì piano.
“Capisco, ma non va bene. Dovevi immaginare che ci sarebbe stata qualche trappola. Adesso sei azzoppato e sei nel mio campo e tu conosci la Regola.”
Occhi ancora più grandi, colmi di terrore.
Marta si strinse nelle spalle. “Mi dispiace, ma non posso fare in altra maniera. Come ho dovuto ammazzare mio marito, adesso ammazzo te.” Finita la frase, pronunciata con tutta la naturalezza del mondo, abbassò il fucile fino a puntarlo in faccia all’altro.
Lui piangeva, ma non era ancora disposto ad andarsene.
“Aspetta, un attimo solo, ti prego. Capisco. Conosco la Regola, c’è da… da quando sono nato. Ma volevo chiederti… tu, lo sai perché?”
Marta, colta alla sprovvista, piegò la testa di lato, senza però spostare il fucile di un millimetro. “Perché cosa?”
“Perché la Regola. Chi l’ha fatta.”
“Ah, sì. Tu non eri ancora nato, io avrò avuto la tua età. Il mondo era diverso, allora. Se ci si ammalava o ci si faceva male, come te, si veniva presi e portati in un posto dove si era curati. Si chiamava ospedale. C’erano vari piani, e su un piano c’erano tutti quelli con le ossa rotte, su un altro i malati, su un altro ancora i vecchi che avevano bisogno di cure.”
L’uomo, nonostante il dolore, beveva quelle parole e, alla notizia che anche i vecchi venivano curati, spalancò la bocca per lo stupore.
“Eh sì, giovanotto. C’erano queste persone che studiavano per anni, per diventare capaci di curare gli altri. Poi venne una malattia, e tutto cambiò.”
“Come… come è possibile.”
Marta sospirò, persa nei ricordi.
“Perché era veloce, e ti ammazzava in due settimane. Non tutti, ma la maggior parte. Dissero che era un virus che veniva da un posto lontano, la Cina. Adesso non esiste più, credo, perché la bombardarono con le atomiche per cercare di limitare il contagio. Ci furono sempre meno posti per essere curati, poi si ammalarono anche i curatori, li chiamavamo ‘medici’. Così chiusero gli ospedali, e la gente iniziò a morire per strada. Fu allora che fu introdotta la Regola. Toccò a chi trovava un ferito o un malato prendersene carico, compresa la sepoltura, altrimenti sarebbero venute altre malattie, e saremmo morti tutti. Ho seppellito mio marito sotto a quel tiglio, e te pensavo di mettersi qua, vicino al faggio, che la terra è abbastanza morbida. Che ne dici?”
L’uomo, che continuava a piangere, non rispose, la testa china in avanti. Marta si strinse nelle spalle, si appoggiò il fucile contro la spalla e sparò.

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1 commento »

  1. Bello. E punto.

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