Premio Racconti nella Rete 2020 “La luna” di Stefania Rotondo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Oggi è venuta Faith nel mio ufficio. Si è seduta davanti a me. Mi ha chiesto di aiutarla. Tante Faith sono passate per il mio ufficio. Anche oggi è stata come tutte le volte.
Stasera non riesco a dormire. Leggo la Luna, il suo viso pieno di vuoti voragini. Paiono bocche aperte, supplicanti. Eppure, nonostante il suo coacervo di ferite, è lucente, come il viso di Faith. Nonostante tutto.
Penso che la faccia butterata del nostro satellite, sia l’unica cosa visibile ad occhio nudo rimasta inalterata negli ultimi migliaia di anni. Essa conserva le cose come la Terra non sa fare. Perché non è abitata da uomini. Questo penso. Se mi sforzassi, riuscirei forse a vedere intatte la bandiera risecchita, l’orma eterna a carro armato scolpita sulla sabbia bianca fluorescente. E forse riuscirei anche a scorgere le due scatole di alluminio ben sigillate lasciate dopo l’allunaggio, che non contengono nulla di bello e romanticamente evocativo come bandiere e passi d’uomo. Sono piene di scarti fisiologici, prodotti e lasciati dai primi ed unici uomini andati sulla Luna. Sopra di esse vi è incisa la scritta “Don’t open”. Non aprire.
Mentre i miei occhi specchiano il languido sasso bianco, penso alle donne e agli uomini come Faith. Loro non hanno mai conquistato nulla, tantomeno la loro libertà. Sono stati semplicemente conquistati. I loro vestiti dai mille colori, dopo aver abbandonato le loro patrie, attraversato deserti spietati inseguendo il miraggio di una qualche fortuna, offrono colori ai fluttui del mare, travestendoli in tavolozze di pittori. Dei loro corpi proni e privi di vita, non si distinguono capo, braccia o gambe. Sono solo vestiti variopinti e galleggianti. Ciononostante, Faith mi ha sorriso, luminosa.
Penso alle donne e agli uomini come me, che hanno conquistato tutto il conquistabile, le terre di Faith e la Luna addirittura. Indossando tute spaziali, in sella ad un razzo ciclopico dal nome suggestivo come Saturno, progettato da uno scienziato-ex nazista, che in realtà era una bomba che si chiamava V2 e non serviva in origine a volare nel cosmo ma a distruggere città, Buzz Aldrin e Neil Armstrong sbarcarono sul nostro satellite in quell’estate del ’69 dello scorso secolo. Buzz e Neil, che nella guerra in Corea avevano sganciato migliaia di bombe per l’aeronautica americana, assicurarono a tutta l’umanità il grande spettacolo del progresso tecnologico, e soprattutto assecondarono il bisogno umano di emigrare, perché era risaputo già all’epoca che prima o poi il Sole morrà. Eppure nonostante tutto, i nostri visi si sono smorzati. Abbiamo speso miliardi e miliardi di dollari per sedurre la Luna luminosa, l’abbiamo posseduta ed invece che brillare della sua luce, ci siamo spenti.
Cosa è accaduto degli uomini dopo la Luna? Essi non sono cambiati, allo stesso modo in cui non cambiarono il giorno che il primo barcone della storia umana si staccò da una spiaggia e navigò da una terra all’altra, in cerca di altre spiagge. Gli uomini hanno continuato a soffrire, a morire nelle guerre, a soccombere nelle ingiustizie.
Mentre continuo a guardare la mia Luna, penso che anch’essa sia stata l’ennesima sponda per noi uomini, da cui allargare il nostro perfido raggio d’azione. Tutto qui.
Quella passeggiata ha consegnato alla tecnologia sì il primato, ma ha addormentato i nostri cuori. Ci ha trasformati in robot senza fantasia e sentimenti. Ci siamo persi un’occasione. L’occasione. Questo penso stanotte, rammentando il viso di Faith.
Continuo ad osservare la mia desolata roccia luminosa, e penso a quando tutti i giorni, a fatica, provo ad infilare la mia maschera moderna, come fecero Buzz e Neil con la loro tuta iper-tecnologica, e ce la metto tutta per sentirmi come loro, unica, un’eroina affrancatrice dell’occidente libero e tecnologico. E mi chiedo se fra cento, duecento o mille anni, si dirà che mentre guardavo la mia Luna, chiudevo i mie porti, alzavo muri di cemento e ferro spinato e mi voltavo dall’altra parte per non guardare i migliaia di corpi che galleggiavano nel mio mare.
Oggi ho conosciuto Faith. È nigeriana.
Da anni lavoro in quell’ufficio, e da anni parlo con centinaia e centinaia di immigrati, che ogni giorno vengono da me a chiedermi lavoro, disperatamente. Il mio lavoro consisterebbe nel favorire l’integrazione. Al massimo, io favorisco l’emarginazione. Non dormo più la notte, per quello che non riesco a fare.
Faith si è messa seduta, mi ha guardata. Mi sono persa nei suoi occhi profondi come il mare. Come il mare che ha dovuto attraversare per essere davanti a me. Un mare che avrebbe voluto ingoiare lei e i suoi tre figli.
Aveva il viso luminoso come la Luna, Faith, nonostante tutto. Mi ha chiesto lavoro, “per favore, ho tre bambini piccoli da mantenere”. Le solite domande. Abbiamo compilato tanti fogli.
Prima di salutarmi mi ha detto, “ti faccio le treccine”. Io le ho detto “oggi no, ci organizziamo e ovviamente ti pago”. Lei mi ha sorriso, “da noi si dice, tu mi aiuti oggi e io ti aiuterò domani; non si sa mai cosa ci riserva il futuro; ogni buona azione porta una buona azione”. Aveva gli occhi profondi come il mare, Faith. Il viso luminoso come la Luna.
Stanotte forse dormirò. Il mondo non è poi così male. Buonanotte!
Una malinconica e toccante riflessione introspettiva suggerita dalla Luna. Meriterebbe un bel premio letterario quel “languido sasso bianco” che da sempre ha ispirato tanti artisti. Mi candido a consegnarlo di persona, appena mi riuscirà di arrivare fin lassù. Già me la immagino tutta sorridente in smoking…
Se è vero che la Luna miliardi di anni fa era parte della Terra, nel guardarla dovremmo trovare parte di noi. La parte più antica, profonda, nascosta, dimenticata. Quella che ci ha distinto dagli altri esseri di questo pianeta, che ci ha reso ‘unici’. Che per un po’ ci ha avvicinato agli dèi e ci ha fatto diventare ‘esseri umani’. Ma quando poi quel satellite butterato si è staccato, è forse in quel momento che quella parte di noi se ne è andata, per sempre, assieme a quel ‘languido sasso bianco’. Forse è per questo che la Luna ha ispirato tanti artisti. Ed è forse anche per questo che l’abbiamo voluta conquistare. Per riprenderci ciò che ci apparteneva. Ma a che prezzo? Ci siamo davvero riavvicinati agli dèi?