Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “La porta incantata” di Giada Marinensi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Liuvar era un vecchio sottile e nodoso, dalla pelle opaca, increspata dal sole, i cui occhi, lucidi e argentei, sembravano riflettere l’ondulata superficie dell’acqua verso cui erano rivolti.

La Locanda della Lanterna aveva ampie finestre di legno che si aprivano a fisarmonica sul porto, senza opporre resistenza alla brezza salmastra, o alla luce morbida del crepuscolo. Così, seduto a uno dei tavoli più esterni, Liuvar guardava il mare di sbieco, ne respirava l’odore e ne ascoltava la voce, mantenendosi, però, al riparo dalla frenesia che animava il molo.  

La vista di quella quieta bellezza lo riempiva di sgomento. Lo obbligava a restare all’erta, come se si aspettasse da un momento all’altro di vederla scomparire, e lo riempiva di una strana inquietudine, quando pensava che di lì a poco non sarebbe più spettato a lui custodirla.

In un altro dei suoi soliti giorni, Liuvar avrebbe ammirato lo spettacolo del sole che tramontava nella baia, donando alle onde la luminosità cangiante della madreperla. Quel giorno, invece, delle quattro sedie disponibili intorno al suo tavolo non aveva scelto quella di fronte al mare. Aveva preferito sedersi di profilo, in modo da poter a guardare ora all’esterno ora all’interno della locanda, tenendo sotto controllo l’intero spazio circostante.

Negli ultimi minuti la sua attenzione si era concentrata sui pochi viaggiatori che erano scesi dalla nave appena attraccata. Li aveva osservati uno a uno, li aveva seguiti con lo sguardo mentre percorrevano la passerella per poi fermarsi sul molo. Alcuni erano visibilmente sollevati di essere di nuovo sulla terraferma, altri erano esitanti, forse in attesa di qualcuno che non riuscivano a scorgere, altri ancora, con un gesto di impazienza, uno scatto della mano, il tono della voce che di colpo si alzava senza un apparente motivo, tradivano la loro impazienza di allontanarsi dal via vai di sconosciuti che affollavano la banchina. Tutti sembravano ugualmente eccitati di essere giunti, da chissà quale remoto angolo dell’Ellad, a Kèrdia, la capitale.

Ogni volta che qualcuno si apprestava a scendere, gli occhi di Liuvar si accendevano d’interesse, ma bastavano pochi istanti perché un’espressione di delusione gli affiorasse sul viso. E se non fossero arrivati? Questo pensiero, a lungo respinto, si era infine fatto largo nella mente del vecchio, che ora aveva perso di vista sia il molo sia la locanda, nel tentativo di immaginare cosa sarebbe accaduto se quel giorno tutto fosse andato storto. Impossibile. Non poteva spingere la sua immaginazione così lontano, verso un esito tanto disastroso.

Proprio mentre cercava di ricacciare indietro lo sconforto, la porta della locanda si chiuse di colpo, riportandolo alla realtà. L’ingresso di due persone, un uomo e una bambina, pose fine alla sua attesa.

I due erano fermi all’ingresso, apparentemente incerti su dove sedersi. L’uomo fissò per un istante Liuvar con occhi vagamente ostili, poi con passo sicuro condusse la bambina a un tavolo poco distante.

Mentre l’uomo e la bambina si sedevano, Liuvar distolse lo sguardo fingendo di non aver fatto caso all’occhiataccia che gli era stata lanciata. Per calmarsi, infilò la mano in una tasca e ne estrasse un foglietto bianco e stropicciato. I suoi occhi si accesero di un bagliore dorato e sulla carta affiorarono alcune parole, accompagnate da strani disegni, un tratteggiato nervoso circondato da un labirinto di curve sottili, che lambivano le parole, come incorniciandole: il suo incantesimo.

L’espressione di Liuvar si fece più intensa, mentre contemplava quei segni che solo i suoi occhi potevano rivelare. L’incantesimo non esisteva se il suo sguardo non lo accarezzava. Ma non era forse vero anche il contrario? Cosa ne sarebbe stato di lui una volta che l’incantesimo avesse smesso di scorrere nelle sue vene, dare forma alla sua essenza, nutrire il suo dono?

Il vecchio rigirò tra il pollice e l’indice la ruvida superficie della carta diverse volte, cercando di prolungare il contatto, di memorizzare quella sensazione, e di trarre conforto dal fatto che tutto stava procedendo secondo il piano.

Poi ripiegò il foglietto in quattro parti, prese una banconota e lo nascose al suo interno.

Ora viene il bello, pensò, e con un gesto sicuro chiamò la cameriera, una ragazzina bionda e snella in un grembiule troppo lungo per la sua altezza. Anche lei era tra i pochi, forse troppo pochi, che erano stati abbastanza folli da aderire al piano.

Liuvar la osservò mentre percorreva la distanza che li separava e quando lei gli si fermò davanti si trattenne dal chiederle: non sarai troppo giovane per una responsabilità come questa? Limitandosi a domandare «Quanto devo?».

«Cinquanta» rispose lei sorridendo. Il vecchio fece scorrere sul tavolo la banconota che aveva preparato e rimase in silenzio, senza fare nulla per dissipare le ombre che attraversarono il volto della ragazza quando vide che al suo interno c’era quel biglietto. Per un attimo il sorriso di lei si fece più teso, poi con un gesto deciso infilò tutto nella tasca del grembiule.

«Le porto subito il resto» disse, sorridendo ancora, e si allontanò. Prima di tornare al bancone e prendere il resto, però, andò dai nuovi arrivati. Liuvar la vide sorridere alla bambina, mentre prendeva l’ordinazione. Quella ragazzetta sorride troppo, pensò sempre più nervoso, e la bambina è sul punto di piangere. Distolse lo sguardo, ma si sforzò di ascoltare ogni parola.

«Quando andiamo a casa?» sentì chiedere alla bambina, con voce esitante. L’uomo che era con lei non le rispose, la ragazza ancora al loro tavolo si intromise subito «Sei triste vero?» le domandò. «Anch’io quand’ero piccola odiavo viaggiare e mi sentivo triste quando ero lontana da casa. E allora sai cosa facevo?» La bambina non rispose. «Ogni volta che dovevo partire, disegnavo la mia casa su un piccolo foglio che ripiegavo stretto e mettevo in tasca, così era come se portassi la mia casa sempre con me, vuoi provare?»

Il vecchio vide la ragazza cercare nel grembiule, voltandosi istintivamente notò che tirava fuori dalla tasca il foglietto che lui le aveva appena consegnato.

Il contenuto di quel foglietto, pensò Liuvar, era vitale e non solo per poche persone ma per un intero mondo a venire. Puntò gli occhi sulla bambina, convinto che presto sarebbe scoppiata in lacrime. Ma si sbagliava. La bambina non cedette. Tenendo il foglietto tra le mani tirò un lungo respiro e iniziò a seguire con le dita un intricato tracciato. Il foglio sembrò distendersi alla pressione del suo tocco, qualcosa nello sguardo della bambina si accese e fu come il dischiudersi di una porta incantata. Per un istante il vecchio credette di vedere i suoi occhi illuminarsi di un bagliore dorato, ma forse era stato solo un riflesso del sole che spariva dietro l’orizzonte.

La bionda cameriera tornò dal vecchio e gli porse il resto. Sembrava soddisfatta di sé.

Liuvar raccolse le banconote e si alzò. Quando vide la bambina sorridere, come rapita, con gli occhi fissi sul suo strano incantesimo, intenta a disegnare sulla carta percorsi tortuosi con le sue piccole dita, seppe che aveva compiuto la sua parte.

Mentre usciva, passandole accanto, pensò agli altri custodi, anche loro bambini, che in quel momento, chissà dove nell’Ellad, stavano tentando la stessa impresa: liberare per la prima volta il loro dono per poi scappare, rifugiarsi in altri mondi confinanti e attendere il giorno in cui finalmente fare ritorno, non sapendo se mai questo sarebbe arrivato.

L’Ellad che avevano amato e per cui avevano combattuto non era più un posto sicuro per i custodi del dono, da troppo tempo ormai braccati dai Nove e dalla loro determinazione a distruggere una magia che non erano mai stati in grado di capire o di accettare.

Liuvar non aveva più il suo incantesimo, non aveva altro che il mare e i suoi ricordi: per ora poteva bastare. Confidava nel mare e confidava nella bambina, nuova piccola custode della bellezza e della magia. Sapeva bene che finché fossero esistiti loro, i custodi, e finché avessero continuato a tracciare figure di luce su fogli bianchi, nulla sarebbe stato perduto.

Si incamminò verso la riva. La responsabilità del piano non gravava più su di lui. Ora poteva sedere davanti al mare, contemplare il sole che tramontava nella baia, e lasciare che i ricordi fossero la sua unica magia.

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7 commenti »

  1. Questo racconto è un’intrigante finestra su un mondo fantastico, di cui non si può fare a meno di voler sapere di più. Complimenti per la scelta del genere, non facile, ed estremamente raro nel panorama italiano.

  2. Che bello questo racconto: delicato nel linguaggio ed evocativo. Brava Giada!

  3. Grazie BelzeBru e Liliana, sono contenta che abbiate letto il racconto e vi sia piaciuto 🙂

  4. Una bella favola che parla di magia, di sogni e soprattutto del potere che hanno i bambini di aprire la porta al futuro. Potere che inconsapevolmente ereditano e custodiscono.

  5. Grazie Pasqualina, mi fa piacere che ti sia piaciuto.

  6. Mi è piaciuto molto Giada, misterioso e gotico con suspense senza dare messaggi o chiavi, indizi evidenti, senza poter intuire dove andrà poi a finire il racconto. Infatti la storia continua, dalla notte dei tempi fino all’eternita’.

  7. Grazie Alberto, sono molto contenta che tu abbia letto il racconto e che mi abbia lasciato un commento 🙂

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