Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “La bidella” di Anna Maria Veit

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Guendalina faceva la bidella. Non sapeva il perche’. Una volta aveva sentito suo pade dire al vicino d’orto, che era un po’ritardata e che per questo l’avevano presa a scuola. All’epoca aveva pensato che dovesse essere una cosa bella, perche’a lei i bambini piacevano tantissimo e non avrebbe potuto sperare in un lavoro migliore, ma cogli anni gliel’avevano spiegato che non era un complimento. Essere ritardati voleva dire che ti mancava qualcosa rispetto agli altri, ma in verita’ di questo Guendalina non si curava. Mica che quello che vedeva in giro le piacesse in fondo. Tutte quelle brutte cose che faceva la gente, mica le facevano solo i ritardati. Spesso erano le persone apposto…spesso erano loro a fare un sacco di porcherie e dunque, a Guendalina, non dispiaceva in fondo di non essere tutta normale. Certo se non fosse stato per la gobba. Quella le doleva, soprattutto adesso, col passar degli anni. E un’altra cosa le doleva spesso ultimamente…era il cuore, perche’Guendalina ci aveva il cuore di un passerotto, che sapeva cantare come il merlo, ma che soffriva di solitudine. Certo aveva i suoi bambini che durante il giorno le tenevano compagnia, ma la sera si sentiva sola in quella grande casa, abitata dai fantasmi dei genitori, che in fondo non l’avevano mai amata a causa delle sue deformita’. Solo allora si sentiva brutta, avanti cogli anni ed imfelice. C’e’ poi da dire che mentre coi piccoli non aveva problemi, coi grandi era tutta un’altra faccenda. Gli adulti avevano ormai calzato gli occhiali del giudizio e della cattiveria e della bidella vedevano solo i difetti. Alcuni genitori s’erano lamentati col preside, che quella donna spaventava i bambini, che con le sue deformita’non poteva svolgere tutti i suoi compiti. I piu’maligni sostenevano che potesse essere un pericolo per gli alunni e il preside diventava matto a frenare gli impeti crudeli della gente che la voleva in un istituto, rinchiusa con quelli come lei. Il brav’uomo voleva bene a Guendalina e la difendeva sempre perche’vedeva la bellezza del suo animo, sapeva che scolgeva il suo lavoro con amore. Non andava mai a casa se prima non aveva pulito ogni angolo della scuola, come se fosse roba sua. Dispensava un mare di tenere carezze ai piccoli della prima elementare, tanto che quelli spesso non piangevano piu’per la mamma lontana e si gettavano a capofitto a giocare in compagnia. Il buon uomo la guardava, quando i maligni venivano a tormentarlo, mentre bagnava le piantine del piccolo orto della scuola, quando raddrizzava un pomodoro cadente o raccoglieva qualche fragola da offrire ai piccoli alunni durante la merenda. Non sapeva fino a quando li avrebbe tenuti a bada. Alcuni nel consiglio volevano che il posto di bidello fosse liberato, per sistemarci qualche amico speciale.

Poi venne l’inverno e ci fu tanta di quella neve che era impossibile spostarsi da casa. La scuola fu chiusa e le giornate a Guendalina non passavano mai. Alcuni bambini erano passati a trovarla e le avevano fatto un po’di compagnia, ma le giornate sembravano sempre troppo lunghe cosi’ la donnina prese l’abitudine di uscire dalla parte del bosco, dove gli alberi erano fitti e alti. Un po’aveva paura, ma la grande casa triste la rendeva infelice e cosi’faceva quelle lunghe passeggiate in mezzo alla neve, sperando che presto avrebbe potuto riprendere il lavoro. Un giorno usci’all’alba, dopo aver dato il becchime ai polli e un ovetto sbattuto al gatto. Dopo mezz’oretta si fermo’perche’era stanca e, seduta su un grosso tronco, nel silenzio della neve, senti’un flebile pianto. Sembrava un gatto che miagolava piano per non disturbare tutta quella neve che riposava nel silenzio.

La donnina certo aveva i suoi limiti perche’ non era un gatto e neppure un cane, ma un piccolo marmocchio, tutto solo, nascosto dietro ad un tronco, accucciato come una bestiolina. Era nero come la pece, coi capelli tutti ricci. Avra’avuto tre, quattro anni al massimo e piangeva, seminudo nel freddo inverno. Guendalina lo avvolse nel suo scialle e presolo in braccio lo trasporto’ per il sentiero. Arrivare a casa non fu mica facile perche’anche se era esile come un pettirosso, il piccino un suo pesol’aveva e la schiena malandata della bidella sembrava rompersi ad ogni passo. In qualche modo ce la fecero e, arrivati a casa, il bambino ebbe latte e biscotti, poi si addormento’sulla panca, di fronte alla stufa.

Decise che l’avrebbe tenuto con se’, che il piccolo era un regalo delle fate del bosco, d’altronde cosi’ nero nessuno poteva averlo perso. Si disse che l’avrebbe cresciuto e che sarebbe andato a scuola con gli altri bambini, mentre lei stava al lavoro.

Per uno strano caso del destino dopo la neve arrivo’una grossa epidemia di influenza che costrinse a letto tutto il paese, cosi’l’arrivo del piccolino non fu notato piu’di tanto, anche perche’Guendalina non disse che gliel’avevano portato le fate, ma che era un suo nipote venuto a vivere con lei perche’i suoi erano morti e sia come sia la bugia resse e nessuno fece altre domande. Lo chiamo’Mose’, salvato dalle acque, che, anche se non c’entrava niente, ci stava bene e poi era sempre un nome di chiesa e quelli portano sempre fortuna.

Mose’crebbe felice fino alla quinta elementare, poi il vecchio preside ando’in pensione e, dal detto al fatto, la bidella fu liquidata con quattro lire. Per lei fu un duro colpo, soprattutto perche’ non sapeva come crescere Mose’, che era troppo piccolo per badare a se’stesso. Guendalina in quegli anni aveva capito che il suo bambino veniva da lontano, non dal bosco ma da un paese chiamato Africa e forse c’era arrivato su quei benedetti barconi di disperati, dove tanti trovavano la pace eterna nell’abbraccio freddo del mare. L’unico che sapeva la storia del ritrovamento di Mose’era il preside. A farla breve insieme avevano persino ricostruito il probabile viaggio del piccolo, salpato forse dalla Libia coi genitori, entrambi poi morti o dispersi da qualche parte. Restava il mistero di come fosse arrivato nel bosco. Forse era scappato da un camion di disperati o semplicemente se l’erano scordato durante una sosta. Il vecchio preside riusci’a contattare persino i parenti del bambino su facebook. Fu cosi’che Guendalina, Mose’e il loro angelo custode, vendettero tutto quello che avevano per partire e riportare Mose’ a casa sua. Non sapevano come sarebbero stati accolti ma era la cosa giusta da fare.

Presero l’aereo e Mose’non la smetteva di chiedere cose, di stupirsi per ogni nuvola nel cielo. Attraversarono il deserto e i cammelli fecero ridere tutti all’inizio ma alla fine avevano tutti il mal di mare. Arrivarono alle cascate, dove riposa il leone, dove le zebre si abbeverano al tramonto, dove nel buio della notte si sentono le iene chiamarsi. Di tutto si stupivano, degli uccelli colorati, dei buffi ippopotami, dell’infinito rumore della foresta, che parlava loro della forza della vita.

Arrivarono al villaggio una sera di maggio. Il sole era calato all’orizzonte e la gente si distingueva appena nella penombra. Presto furono circondati ed ebbero paura, ma fu un attimo perche’ un enorme grido di gioia risuono’presto nell’aria e tutt’intorno’gioia e festeggiamenti occuparono tutti gli spazi possibili. I canti ed i balli durarono giorni perche’si scopri’che Mose’era il nipote del capo. Una storia gia’sentita, figli che litigano coi genitori, genitori che litigano coi figli con tutto quello che ne consegue. Il capo pero’avendo saputo della morte del figlio e di sua moglie, era caduto in una nera disperazione e solo il ritrovamento del nipotino gli avevano restituito la fioia di vivere.

E cosi’finisce la nostra storia. Mose’divenne un grande capo, Guendalina ed il preside si stabilirono al villaggio e, se per caso, vi trovaste a passare di la’ , fate attenzione perche’al vecchio piace tirare con l’arco ma ormai non ci vede quasi piu’e ogni tanto inforca qualcuno.

Mentre lei, Guendalina, se ne sta seduta, sotto una palma, a pensare che la vita e’un fatto strano ma meraviglioso, dove una bidella ritardata ha cresciuto un re e adesso le massaggiano i piedi col latte di vacca, che puremla schiena le fa meno male. E questo sole d’Africa in fondo le piace, anche i leoni le piacciono, deve ancora abituarsi alle zanzare. Ma e’poca roba in fondo. I bambini sono rumorosi uguali uguali a casa sua e cosi’, ascoltando le vocette felici del cortile, si addormenta sorridendo e il suo cuore adesso vola leggero nel cielo. Si posa a dare un bacio in testa ad ogni bambino che conosce e prosegue poi in alto, fra le nuvole, oltrepassando l’arcobaleno e si posa sulla manina piccola di Gesu’bambino perche’ ne’questo ne’quella ci hanno capito molto di cio’che e’successo, ma sono felici perche’le anime piccole non conoscono malizia alcuna e riescono sempre ad essere se’stesse ogni giorno della loro vita, soprattutto in quelli che sembrano strani alla maggior parte della gente.

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3 commenti »

  1. Un racconto dal sapore di una bella favola dove i protagonisti riescono a ribaltare la realtà a loro ostile e alla fine trionfa la felicità. I protagonisti come la povera bidella deforme e ritardata e il preside uomo gentile d’altri tempi vivono una singolare storia grazie la piccolo Mosè, un bambino trovatello dalla pelle nera arrivato non si sa come né perché. Ma si può essere ritardati e brutti ma buoni e Guendalina la protagonista è l’eroina di questo racconto che vince su tutto grazie alla bontà e all’amore per i bambini, tutti i bambini. Si legge con piacere.

  2. Grazie Maddalena. Sei tanto gentile. Hai un racconto in gara anche tu? Lo leggerei con grande piacere

  3. Bello e tenero una bella fiaba da raccontare ai bambini prima di dormire il finale fa nascere dolcezza nel cuore e un sorriso. Complimenti

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