Premio Racconti nella Rete 2020 “Quasi sveglia” di Adriana Pistolese
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020È mattina, due corpi seminudi sono stesi a letto, con il lenzuolo a coprirli fino alla vita. Lei si rigira più e più volte, stringendo il cuscino, mentre le palpebre le tremano sugli occhi, indecise se sollevarsi o restare chiuse; di fianco a lei, un uomo dorme supino con un braccio disteso e l’altro piegato dietro alla nuca, il suo petto sale e scende seguendo un ritmo regolare, calmo. La luce del mattino entra attraverso le fessure della serranda, piove su di loro come frammenti di cristalli.
L’orologio sul comodino segna le sette e quarantatré. Lei, dopo aver tirato un lungo sospiro, apre gli occhi e si stiracchia le braccia; osserva la stanza con un’aria confusa, c’è un’atmosfera surreale che le galleggia attorno, le pareti sembrano incredibilmente distanti, come se un mare scuro circondasse il suo letto, isolandola. Si domanda per un istante se stia ancora dormendo, poi si gira alla sua sinistra e vede lui, steso al suo fianco, e improvvisamente si sente riportata alla realtà; rimane ferma a osservarlo con un’espressione incerta, allunga una mano fin quasi a sfiorarlo, ma poi la ritrae. Tira fuori dal lenzuolo le gambe fini, se le porta al petto e si siede poggiando le schiena contro il muro, adagia il mento sulle ginocchia e di nuovo abbassa le palpebre.
Passa qualche minuto, un clacson risuona giù in strada. Lui apre gli occhi, di colpo, e subito si accorge che lei è sveglia, rannicchiatagli accanto, così apre la bocca ed emette un mormorio incomprensibile, i loro sguardi finalmente si incrociano:
« Che fai? », chiede l’uomo.
« Niente, riflettevo »
« Che ore sono? », lei dà un rapido sguardo all’orologio:
« Otto meno dieci »
« Non si riflette alle otto meno dieci », commenta allora lui, lasciando che l’ultima parola si distenda in uno sbadiglio.
« Se voglio riflettere a quest’ora lo faccio », replica la donna, « Tu tornatene pure a dormire », ma lui si passa una mano sugli occhi mentre scuote il capo, contrariato:
« Che hai? Che è successo? », con un gomito si tira su, mentre con l’indice le tocca una coscia, ma lei fa per ritrarsi, non dice niente. « Irene, cosa stai facendo? », la incalza, il suo tono si è improvvisamente fatto più duro.
« Che significa “cosa stai facendo”? Mi sono svegliata e ho ripensato a quello che mi hai detto l’altro giorno, è molto semplice ». Lui sbuffa:
« E cosa vorresti fare? Parlarne adesso, alle otto meno dieci? ». Irene guarda in basso, indecisa, poi risponde:
« Sì Valerio, vorrei parlarne adesso ». Valerio torna a stendersi, gli occhi spalancati si rivolgono al soffitto:
« Va bene, parliamone ». Passa qualche secondo prima che lei riprenda parola, la stanza si riempie dei suoni della città che è già sveglia da un pezzo, ma loro non li ascoltano, li sentono e basta, come un inutile brusio di sottofondo.
« Ho ancora difficoltà a capire quello che mi hai detto », dice Irene, « Non ne capisco il senso, non ne capisco nemmeno il motivo, e tu non mi aiuti a capirlo »
« Te lo devo rispiegare? »
« No Valerio, ho capito quello che è successo, ma non ne capisco il senso. Mi hai detto che stavamo camminando e che tu in quel momento hai avuto un flash, un… come lo hai chiamato? »
« Un’epifania, te l’ho già detto, penso di aver avuto una sorta di epifania »
« Bene, un’epifania, e quello che hai visto durante questa epifania era diverso da quello che ti aspettavi di vedere… »
« Sì Irene, è giusto, ho visto noi due dall’esterno, ma nel vederci non sono riuscito a riconoscere né me né te »
« Ok, d’accordo, e se ci pensi un attimo forse questo è successo perché nella tua testa non hai visto noi due, ma qualcun altro, un’altra coppia, non credi? »
« No, vedi, non so come spiegartelo, non mi capisci… quelli che ho visto eravamo effettivamente noi due, ok? E stavamo facendo esattamente quello che facevamo nella realtà, la posso vedere ancora con chiarezza quell’immagine: tu alla mia sinistra che mi tieni a braccetto e guardi in basso, io invece guardo dritto, camminiamo allo stesso ritmo, ma non siamo veramente noi, non siamo il noi che io ho vissuto in questi ultimi due anni, eravamo una coppia di sconosciuti, ecco, le due persone che ho visto erano una versione di noi che non conosco, eravamo… distaccati, estranei l’uno all’altra, ci stavamo semplicemente muovendo in parallelo ». Irene distende le gambe, poi le incrocia, con le mani stringe le ginocchia, il tutto mentre lui giace immobile al suo fianco.
« Ok, quindi hai avuto questo flash, hai visto noi dall’esterno, e poi ti sei convinto che quella che hai visto fosse la realtà »
« Non è che me ne sono convinto, io non ho avuto un flash, è stata come un’esperienza extra corporea, ok? Sono uscito da me e per un istante ho visto le cose come stanno, ho visto effettivamente la realtà, e questa realtà non aveva nulla a che fare con ciò che ho creduto di vivere finora. Eravamo un uomo e una donna che non mi trasmettevano nulla di familiare, quello che io ho pensato di essere per te, e quello che tu hai pensato di essere per me, non l’ho visto, non c’era, nemmeno in minima parte »
« Ma ti rendi conto che questa cosa non ha senso?! », sbotta lei, ruota leggermente il busto per guardarlo, ma lui niente, continua a fissare il soffitto. « Hai visto le cose dall’esterno, ok, ma non ti sembra logico che ogni volta che si vedono le cose dal di fuori, queste appaiano diverse o anche meno sensate rispetto a quando ci stai dentro? »
« Non è questo il punto, Irene, il punto è che mi sono reso conto in quell’istante che ciò che noi due siamo realmente non corrisponde a quello che crediamo di essere, o almeno a quello che io credevo che fossimo. È come se in tutto quest’ultimo periodo a sospingerci sia stata l’inerzia, mi capisci? Sono ancorato all’idea di amare te e amare quello che noi siamo, quando in realtà non è più così »
« Cosa non è più così? Non mi ami più? ». Lui finalmente sposta gli occhi su Irene, la guarda per un istante, poi torna al soffitto:
« Non lo so, te l’ho già detto, sono molto confuso »
« Non ci posso credere, sul serio… mi stai seriamente dicendo di essere arrivato a una conclusione simile perché hai avuto un’allucinazione? »
« Ovviamente no Irene, è una cosa che ho dentro da tempo, ma non sono stato in grado di vederla fino all’altro giorno »
« Una cosa che vedi da tempo? Sul serio? Perché io non ho visto né notato nulla di strano nell’ultimo periodo, era tutto come al solito, poi tu hai avuto questo… lampo, e improvvisamente cambia tutto, mi tratti in maniera diversa, mi dici che hai bisogno di riflettere, non ti fai più vivo, finché magicamente non piombi a casa mia, nel mio letto »
« Messa così è molto facile la questione », replica Valerio, « Tu dici che era tutto come al solito, ok, ma cosa intendi per solito? »
« Come cosa intendo per solito? Le solite cose, andare a cena fuori, stare la notte insieme da me o da te, fare colazione insieme, andarsene da qualche parte il fine settimana… »
« Sì, ma perché lo facciamo? »
« Perché ci amiamo…? »
« Ne sei sicura? Ti ricordi quella volta che mi hai detto che non avevi mai visto un orso, e allora siamo andati al Gran Sasso, in campeggio? »
« Certo che mi ricordo »
« E alla fine di un orso non ne abbiamo nemmeno visto l’ombra, ti ricordi? »
« Sì, ma alla fine non me n’è fregato nulla »
« Infatti! Perché l’orso non era il punto. È stata una delle gite più belle che abbia mai fatto, eravamo così dentro l’uno all’altra, ma ora non è così, non è in alcun modo così », si interrompe, aspetta per un istante una reazione da parte di lei, ma Irene rimane in silenzio. « Passiamo del tempo insieme, questo è quanto, non stiamo crescendo, non stiamo nemmeno regredendo, semplicemente ci tiriamo avanti »
« Io invece penso che tu sia molto confuso, sai? Penso che come al solito tu sia alla ricerca di qualcosa che non puoi ottenere, è come se volessi un tipo di simbiosi che non è umanamente possibile! Credi che io e te possiamo restare carichi e affiatati come in quella gita al Gran Sasso per il resto dei nostri giorni? Non funziona così »
« No, infatti, il sentimento evolve, cambia, ed è questo quello che è mancato a noi, un’evoluzione ».
Irene ascolta quelle parole con un’aria concentrata, cerca di processarle, di dar loro un senso, finché non corruga la fronte in un’espressione di rabbia:
« Io però non capisco come tu riesca a parlarmi in questo modo, a dirmi queste cose, senza nemmeno guardarmi in faccia », i suoi occhi si sono fatti lucidi, sembra indecisa su cosa fare, se scendere dal letto o restare lì. Valerio tira un sospiro e si gira di fianco, ora ha lo sguardo rivolto verso di lei, ma solo su ciò che ha davanti, sulle cosce scoperte di Irene, potrebbe orientare lo sguardo sul suo volto ma non lo fa.
« Ti giuro Irene, se anche tu avessi visto quello che ho visto io, adesso mi capiresti. Non voglio ferirti, davvero, è che quelle due persone… camminavano una di fianco all’altra, ma erano sole, lei era sola e lui era solo. Penso che di noi due stia sopravvivendo l’idea, nient’altro »
« Va bene », sbotta lei, « Anche io allora la voglio vedere questa cosa, ok? Così magari capisco, visto che finora tutto quello che mi hai detto continua a non avere senso per me »
« Non è una cosa che funziona a comando… »
« Come l’hai definita? Un’esperienza extra corporea? Bene, so come funzionano queste cose, è come trovare un equilibrio momentaneo fra il sonno e la veglia »
« Sì, ma ci vuole concentrazione, ci vuole pratica, e soprattutto bisogna essere predisposti per certe cose, se a me è capitato è perché la mia mente è abbastanza aperta per accogliere un episodio del genere… »
« Ah certo, perché tu sei proprio specialeValerio, come ho fatto a non pensarci? La tua mente è aperta, non come la mia »
« Dai su, non intendevo questo, se vuoi provare prova, di certo non starò qui a impedirtelo… ».
Irene lancia uno sguardo furioso a Valerio, si stende sul materasso, lascia che la nuca affondi nel cuscino, chiude gli occhi. È tornato il silenzio, ogni cosa nella stanza è ferma, la luce al di là della serranda continua a costellare il letto, il pavimento, le pareti, mentre l’orologio sul comodino segna le otto, otto e dieci, otto e un quarto… Irene si è addormentata, il suo corpo è rigido, la mente scivola fra le parole che lei e Valerio si sono detti.
Quando riapre gli occhi, la prima cosa che nota è che la luce proveniente dall’esterno è cambiata, è più flebile, quasi cinerea, è impossibile capire che ore siano, in quale momento della giornata lei si trovi; sembra piuttosto che il tempo si sia fermato, il pulviscolo colpito da quella luce irreale è immobile. Irene è accovacciata di lato, rivolta verso la finestra, allunga una gamba fuori dal materasso, mossa da un impulso improvviso di alzarsi. Al primo tentativo non ci riesce, il suo corpo è intorpidito, i movimenti rallentati, si aiuta a fatica con le braccia, mentre si solleva le sembra quasi di galleggiare, come se l’aria fosse diventata più densa. Una volta posati i piedi a terra, Irene intuisce di non essere nel posto in cui si trovava fino a poco prima.
Si gira, lentamente, e sul letto trova sé stessa, ancora addormentata. Di fianco a lei, però, non c’è nessuno. Valerio non è lì, come non ci sono le sue scarpe ai piedi del letto, o i suoi vestiti ammucchiati sulla sedia di fianco alla porta. C’è lei, sola nella sua camera da letto, con il viso privo di qualsiasi espressione, le palpebre abbassate e le labbra perfettamente distese. Dorme, inconsapevole di essere sola, ma mentre sta lì, in piedi a guardare sé stessa, Irene ha per un istante l’impressione che non sia solo quella stanza a essere vuota, o il resto dell’appartamento, ma che anche giù per le strade non ci sia anima viva, o negli edifici tutto intorno, nelle piazze, nei parchi… nessuno. Il silenzio è una massa informe che scende dall’alto, si insinua nella camera attraverso le fessure nelle pareti, riempie lo spazio fino a inghiottirlo. Irene si sente soffocare.
Apre nuovamente gli occhi e butta fuori un getto d’aria calda: sono le otto e trentatré, la luce che entra dalla finestra è tornata a essere reale, così reale che quasi la abbaglia. Irene si gira alla sua sinistra, il letto è vuoto. Sente il cuore batterle violentemente, le sembra di essere appena atterrata dopo un salto lunghissimo, poggia una mano sul petto, inspira ed espira finché non si sente meglio.
Scende dal letto, si guarda intorno. Di Valerio non c’è alcuna traccia, esattamente come ha visto nel suo sogno, o di qualunque cosa si sia trattato. Raggiunge il lato di lui e poggia una mano sul cuscino: non riesce a capire se ci sia abbastanza calore, preme il palmo un po’ più forte, ma non serve a nulla. Prende allora il cellulare, controlla fra le ultime chiamate o messaggi, niente. Lascia la stanza, va in bagno, poi in salotto, infine in cucina: è sola, non c’è nessuno lì con lei. Nell’incontrare il suo riflesso nello specchio del salotto nota che il suo viso è stanco, gli occhi contornati da profonde occhiaie bluastre, eppure le sembra di aver dormito per un tempo lunghissimo.
Va in cucina e mette su il caffè, siede al tavolo e aspetta. Ripensa agli orsi che non ha mai visto al Gran Sasso, poi pensa a Valerio, all’ultima volta che lo ha visto, se mai lo ha visto, e al modo in cui lui non riusciva a guardarla negli occhi. Il cellulare è poggiato su un angolo del tavolo, lo schermo è nero e lei lo osserva di tanto in tanto, incerta. La moca inizia a borbottare, Irene si alza e va spegnere il fornello, lascia che il gorgoglio del caffè si affievolisca fino ad estinguersi nel silenzio.
Efficaci le parti descrittive, vivi i dialoghi: hai saputo ricreare quell’atmosfera piena di turbamento e fragilità che vive la protagonista.
Brava Adriana!
Ti ringrazio Liliana! 🙂
Complimenti per i dialoghi, per le descrizioni, specie nel finale con quel gorgoglio del caffè che si affievolisce fino ad estinguersi nel silenzio. Brava! Molto efficace. Peccato che i corpi seminudi non fossero veramente stesi a letto, che non fossero reali come l’aria abbagliante che entra dalla finestra e come il sentimento d’amore che prova Irene per Valerio. Magari, in futuro, il sogno di Irene si potrà avverare. Comunque, i sogni sono i pilastri della vita.
Grazie lucia per questo bel commento! Sì, i sogni spesso sono il riflesso del modo in cui affrontiamo la vita, di come vorremmo affrontarla o anche di come temiamo di farlo.