Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Il funerale di don Gaetano” di Matilde Sciarrino

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Stamattina non ero di turno. Avevo programmato una giornata al mare con la famiglia, ma poi quel lavativo del mio collega di squadra si dà malato. Febbre il giorno di ferragosto, voi ci credete? Io no, ma il vicequestore c’è cascato. Oppure…, ma lasciamo perdere. Quello è raccomandato forte, l’ho sempre detto io. Fatto sta che avevo appena sistemato borse frigo, teli, secchielli e palette e squilla il telefono: ordine di servizio. «Ma non sono neanche reperibile!» dico al commissario a metà fra il sussiegoso e il dimesso. Perché, si sa, una parola di troppo è……Beh, lasciamo stare. «A Marcè, –  mi risponde lui comprensivo – che ci posso fare se don Gaetano Tabone è schiattato la vigilia di ferragosto?» Il suo accento romanesco non l’ho mai sopportato e stamattina mi ha dato più fastidio del solito. Mi tolgo il costume e mi metto i pantaloni, lascio moglie e figlia alla stazione e mi precipito in cattedrale. Una sudata….. Riconosco Antonio dei servizi segreti, in piedi dietro la fonte battesimale. Lui si è messo pure la cravatta.  Big Jim, così lo chiamiamo in ufficio, sta sudando come un maiale. Io, almeno, mi limito a due mezzelune sotto le ascelle e a un rivoletto lungo la schiena. Tutto ben nascosto dalla giacca. La chiesa è stracolma. Sembra che sia accorsa tutta la cittadinanza per dare l’ultimo saluto all’uomo che, nel bene e nel male, questo paese l’ha tenuto in pugno per anni. Sì che è ferragosto, ma mandare appena due agenti è aver sottovalutato la situazione. Ma tant’è! Signor Questore, lei viene da Polentonia e certe facce non le riconosce, certi nomi non le fanno né caldo, né freddo. Caldo, appunto. L’aria è ferma, densa, solida, direi. L’odore dei fiori e dell’incenso la rendono irrespirabile. Odore non direi, piuttosto puzza. Puzza o puzzo? Prima di scriverlo sul rapporto lo chiederò al commissario che scrive meglio di come parla. Il brusio di fondo cessa di colpo al suono della campana che annuncia l’ingresso del sacerdote, padre Ferdinando, e di due chierichetti con due grossi ceri in mano. Mi guardo attorno. Marcello, non devi lasciarti sfuggire nulla, mi dico. Come da protocollo, cerco la posizione migliore da dove poter dominare la scena. Individuo il confessionale sulla navata laterale sinistra; da qui posso avere un’ampia visuale e restare inosservato. Con il sole di mezzogiorno alle spalle mi sento cuocere; la giacca nera mi pesa come un’armatura. Ma la luce forte è un ottimo alleato. Vedo tutte le facce: prima, seconda, terza fila e anche oltre. Moglie e figli siedono sul banco sinistro della navata, quello donato dal defunto alla chiesa e che porta il suo nome inciso su una grande targa d’ottone. Chissà a qualcuno passasse di mente! Benefattore o lecc….. tagliamola qui! Non devo distrarmi. Sul banco di destra siedono i fratelli e la sorella di don Gaetano. Anche loro rigorosamente in nero, dalla testa ai piedi. Le velette coprono i volti affranti delle donne, gli occhiali da sole coprono gli occhi duri e attenti degli uomini.  In questa nuvola nera spicca solo la suorina che alla sua candida tonaca non poteva certo rinunciare. E poi ci sono i fazzolettini bianchi. Tutti ne hanno uno in mano: chi lo strappa in mille pezzi, chi lo appallottola, chi si asciuga le lacrime, chi il sudore, chi si sventola. Perché quando sudi, sudi, anche se c’è il morto da piangere. E questo morto si chiama Gaetano Tabone, don Gaetano Tabone. Ma che m’importa dei parenti stretti? La famiglia è famiglia.  Devo guardare le facce dei parenti alla larga, io. Le facce dell’altro ramo, quella parte della famiglia che ha sbagliato, è uscita dalla porta principale, ma è rientrata dalla finestra. Perché, si sa, gli interessi sono interessi e certi cognomi pesano, eccome se pesano. Di facce losche qui ce ne sono a bizzeffe. Guarda, guarda, c’è pure don Nitto. Quello avrebbe già dovuto avere due funerali, ma ha una fortuna che la metà basterebbe. E’ sopravvissuto a due attentati: al primo grazie al suo cuore a destra,  al secondo grazie alla febbre e alla spesa a cui la moglie non volle rinunciare. Ci perse una bella BMW nuova fiammante, ma si liberò di donna Nunzia che nella bara non ci andava tanto lunghe erano le sue corna. La tensione si taglia a fette. Sta per succedere qualcosa, lo percepisco, ho una lunga esperienza, io. I miei compaesani li conosco bene. L’adrenalina sale. Se mi misurassi la pressione chissà……Sfioro il ferro al fianco destro e tiro un sospiro di sollievo. Eccolo. E’ una certezza. Mica ti tradisce, l’arma in dotazione, come quei farabutti che, prima parlano e poi ritrattano tutto, parola per parola. E noi davanti ai magistrati ci facciamo una figura di m….Ma, meglio non pensarci adesso. Respirare, questo ci ripetevano al corso di formazione. E io respiro. Profondamente. Inspirare ed espirare. Naso e bocca. Bocca e naso. Come faceva pure a Irina per prepararsi al parto. Un’altra sudata, quella, mai dimenticata. L’obiettivo è lo stesso: mantenere la calma e la lucidità. Osservo i familiari. Li passo in rassegna, uno per uno. Nessuno è senza colpa qui dentro. Sono tutti tesi, chi più, chi meno. La moglie non riesce a stare ferma: agita il ventaglio con la mano contratta. I figli, invece, sono statue di marmo. Il maggiore, Alfonso, è già un boss. Il padre ancora caldo e lui è già entrato nella parte del capofamiglia. Luca, il figlio minore è distratto. Di tanto in tanto getta uno sguardo ad un ragazzo in terza fila e si passa il fazzoletto sulla fronte. In paese si mormora che abbia un amichetto. Chissà se è proprio quel giovane smilzo dall’aria contrita. La figlia, invece, la suorina, non stacca gli occhi dall’enorme crocefisso che pende sopra l’altare. Per ringraziarlo o per farsi perdonare? Ma siamo già all’omelia. Mi sono distratto proprio quando il prete leggeva il vangelo. Chissà che brano avrà letto. La moltiplicazione dei pani e dei pesci, forse. Don Gaetano i soldi non li contava, li pesava. Contava i nemici, però. A che numero sarà arrivato? Cavolo, adesso devo stare attento. Padre Ferdinando dice e non dice, sembra rivelare segreti, invece getta più ombre. Parla di rispetto. Eh, lui lo conosce bene il rispetto che gli portava don Gaetano. Ogni santa domenica, dopo la santa messa, andava personalmente a portagli il corpo di Cristo con tanto di assoluzione. In cambio ne ricavava un pranzo che neanche le suore della Madonna del Sacro Cuore nelle feste comandate. Ma quante volte ripete sta’ parola rispetto? Qui risuona come una nota d’organo stonata. Che poi l’organista sta pure esagerando. Con il caldo e la musica non si respira proprio.  Per fortuna non viene pronunciata la parola “uomo di rispetto” se no ci drizzavano i capelli a tutti noi presenti. Chi rispetta chi in paese? Il rispetto si compra o si offre, si chiede padre Ferdinando. O lo chiede ai fedeli? Non capisco. A proposito di rispetto, chi ha rispettato il mio riposo oggi? E’ una vita che cerco rispetto e due settimane che rincorro una giornata al mare. Rispetto per me non ce l’ha avuto mai nessuno. A cominciare da mio padre e le sue idee sulla divisa. Solo perché lui era poliziotto anch’io dovevo fare il concorso. Mannaggia a me che ho pure studiato per superarlo. Volevo laurearmi in psicologia, aprire uno studio, fare il terapeuta. Per ora sarei al mare con Irina e la piccola Nadia. A mollo. Nell’acqua fresca e non nel mio sudore. Eppure, se riuscissi a non distrarmi, dalle facce potrei capire di più. Se solo riuscissi a concentrarmi, se potessi far fruttare tutti questi anni di vita e di lavoro in questo paese del cavolo. Solo e sempre falsità e omertà, mezze parole e allusioni. E chi le capisce, le cose dette e non dette? Quante cose sa il figlio maggiore, tutto impettito e con le spalle quadrate che neanche un generale? Cosa nasconde donna Concetta dietro l’afflizione da vedova inconsolabile? E il fratello di don Gaetano che continua ad aggiustarsi il nodo della cravatta?  «Requiem aeternam dona eis Domine et lux perpetua …….». Un boato. Le vetrate della chiesa vibrano. Un colpo di pistola. Poi un altro. E un altro ancora. Riesco a contarne fino a cinque. E’ un fuggi fuggi generale. Ognuno pensa a se stesso. Si accalcano tutti verso l’uscita. Anche padre Ferdinando e i chierichetti  corrono reggendosi le tonache con le mani tremanti. Ci siamo. L’avevo previsto. Come no? Esco dall’ombra. Sfodero la pistola. Il collega corre verso di me. Passi concitati. «Da quella parte» gli dico e indico la sagrestia. Non vedo nessuno. La statua della Madonna Addolorata sulla nicchia di lato è schizzata di sangue: scorre dal suo cuore di marmo. Nessun rispetto neanche per questo posto sacro. Dalla prima colonna proviene un rantolo. Mi precipito. Sotto il pulpito c’è la suora; la macchia di sangue diventa sempre più grande sulla veste immacolata. Respira appena. Il petto si alza e si abbassa come un mantice.  Con la mano mi fa cenno di avvicinarmi. Mi inchino. Il mio orecchio sfiora le sue labbra esangui. «Volevo solo la mia parte….L’ho detto a …….a ……a………».  Le manca il fiato. Chiude gli occhi. Li riapre. Debole, mi tira a sé. Ci riprova. «L’ho detto a ….a..» e perde coscienza.  Il petto si muove ancora. Su e giù, a fatica. Le sirene dell’ambulanza suonano sempre più forte. Si salverà, penso, mentre guardo gli infermieri metterle la maschera d’ossigeno e portarla via sulla barella. «Marcello!» Antonio esce dalla sagrestia spingendo un uomo già in manette. «Stava scappando attraverso la canonica. L’ho acciuffato che era già sulla finestra. Non gli ho lasciato il tempo di ricaricare la pistola». Ci credo bene. Lui è il palestrato della squadra. Non sembra neanche che abbia corso. Il tizio, invece, seppur giovane, ansima. Ha lo sguardo torvo e ingrugnito. Ha l’aspetto minuto, ma il piglio da professionista. «Chi ti manda, disgraziato? Chi ti ha pagato? Ora o dopo, in commissariato, il nome te lo tiro fuori, per quant’è vero Dio!» gli dico e faccio il duro tirandolo per la collottola fin quasi a sollevarlo. Ci guardiamo negli occhi. Nei miei c’è sfida, nei suoi rassegnazione. Gli manca il respiro. Mi fa segno di aspettare e si siede su uno dei  gradini dell’altare maggiore. E’ più facile di quanto pensassi. Apre la bocca. «E’ stato al…..» e si accascia come un sacco vuoto. Un colpo dall’alto, questa volta di un tiratore scelto, dritto al cuore. Come da copione: muore il boss e si scatena la guerra di successione. Adesso so che devo cominciare da lui, da Alfonso. E non è solo  una questione di rispetto. Al centro della navata la vista è a 360 gradi. Qualcuno si muove dietro l’organista impietrito. Punto la pistola. «Fermati o sparo» gli grido. Ma è lui a sparare e sono io a fermarmi. Cado al centro della navata, pancia in giù, mani in alto. Chissà se sta scappando o mi sta guardando. Dall’alto sembro di sicuro un novizio che chiede i voti. Ma non sono un novizio. E oggi chiedevo solo una giornata al mare. Mah….lasciamo stare!

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5 commenti »

  1. Ottimo. In tutto. L’atmosfera è resa con pennellate da gran pittore. Te lo invidio davvero.
    Avrei solo rimarcato che Alfonso è il primogenito del boss defunto, alla quint’ultima riga, giacché un po’ lontana dalla prima citazione di cui, personalmente, avevo smarrito la traccia, dopo il susseguirsi degli eventi.

  2. Caro Leonardo, grazie per il complimento e l’interessante nota da lettore attento e scrupoloso. Hai ragione: forse il lettore si è già dimenticato di Alfonso a fine racconto. Come forse saprai, quando si scrive si è così immersi nella vicenda che i personaggi ti appaiono davanti e tu non consideri che il lettore non li conosce bene come te. Farò tesoro di questa osservazione. Adesso non aggiungo altro: vado a leggere i tuoi racconti! Sono curiosa di conoscere la tua penna!

  3. Bel racconto, l’atmosfera di un’estate italiana è proprio resa bene. Anche quella del povero servitore dello stato, brava!

  4. Grazie, Federico! In effetti mentre lo scrivevo pensavo al caldo di un ferragosto siciliano e alla sofferenza di chi deve rinunciare al nostro splendido mare. Sono curiosa di leggere i tuoi racconti. A presto!

  5. Federico Piacentini, l’autore de ‘La Soltera’. Letto e apprezzato! Scusa, non ricordavo il tuo nome e solo cercando il tuo racconto mi sono resa conto di essere stata una dei primi a leggerlo. Amo l’Argentina, che ho visitato due volte, e tu mi ci hai riportato! Grazie!

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