Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “L’ultima vita” di Giuseppe Aramu

Categoria: In Concorso, Premio Racconti nella Rete 2020

Mangiava tranquillamente, lì con i suoi fratelli e sorelle. C’era pasto e posto per tutti nella casa. Se avesse dovuto, non avrebbe potuto scegliere un’esistenza migliore. Niente lavoro, nessun impegno. Mangiare bere dormire procreare, qualche altro necessario, marginale atto fisiologico da espletare. E, soprattutto, nessun senso di colpa, ansia o altri fastidi di qualsivoglia natura.

A volte, quando il tempo lo permetteva, usciva per giocare, scorrazzando libero e tranquillo assieme ai compagni nella quiete rassicurante della campagna. Agili e felici, godevano di una salute eccellente. Mai una malattia, un disturbo, un dolore. Forse, il Paradiso.

Sì, deve proprio essere il Paradiso’, pensava. ‘E se non lo è, si tratta perlomeno di una zona d’attesa, sorta di Purgatorio da cui senza dubbio verremo al più presto prelevati’.

Consistenti segnali facevano presagire che tutto fosse pronto per un grande, rivoluzionario evento. A riprova di ciò, da qualche tempo veniva assalito sempre più spesso da una strana, sottile malia: ricordava. Nella mente fluivano, in modo del tutto incontrollato, storie e fatti di cui pareva essere l’attore. Non si trattava di episodi della vita presente, ma di altri, antichi, finora sconosciuti, ciascuno unico e irripetibile: gli tornava alla mente, con chiarezza e coscienza, ogni attimo, ogni esperienza acquisita di un passato fino ad ora ignorato. Ricordi limpidi, quasi fossero registrati e solo ora fruibili. La cosa tuttavia non gli creava particolari problemi, ad esclusione di una sorta di incertezza; non tanto per ciò che ricordava, quanto per la consapevolezza di non padroneggiare la situazione. Perché solo ora? Dove erano stati tutti quei ricordi in precedenza?

Passati i primi momenti di sgomento, iniziò ad accettare la situazione. Anche perché in quei ricordi  emergeva un suo Io sconosciuto, personalità forti e personaggi potenti e a volte oscuri, quali non aveva mai neanche lontanamente immaginato di poter essere. Già, ma cos’era in  realtà ora? Mangiare, dormire, procreare, e qualche marginale atto fisiologico da espletare.

Nell’immagine più lontana, uno dei primi ricordi – o visioni, ancora non saprebbe definirlo – nelle orecchie risuonano tonfi sordi di zoccoli e clangore di spade e scudi. Urla strazianti nella polvere. Vede, e ricorda bene, lunghe casacche bianche sulle quali risalta una grande croce. Vede, e ricorda nitidamente, il gigantesco destriero bianco che l’aveva accompagnato fino alla morte. Il suo selvaggio destriero, feroce e implacabile quanto lui era. Ne aveva calpestati di nemici!  Sa di essere stato, in quella vita, ricco, potente, rispettato, odiato e temuto. L’avventura finì per mano di un nemico, in battaglia, come si deve a un guerriero. Diavolo d’un infedele! Con estrema destrezza e precisione, il colpo di scimitarra gli aveva reciso di netto la testa graziandolo di una fine veloce, quasi indolore.

Lui non era stato altrettanto accurato in differenti occasioni. Si era dedicato a violentare, depredare, talvolta alla tortura. Certo, non era un nobile, come erano alcuni suoi compagni provenienti da famiglie di alto lignaggio dal potere economico e politico determinante. Era stato gettato nella mischia che era poco più che un ragazzo, ruolo assegnato e sancito da un rito eseguito frettolosamente, la spada posata su una spalla e una formula biascicata ed incomprensibile a santificare frettolosa adesione al mitico corpo. Carne da macello da sacrificare alla causa. Chi l’aveva ingaggiato non aveva tenuto conto però della sua determinazione primitiva, del suo ardore, lui, miserrimo contadino ignorante e analfabeta, avvezzo alle sofferenze più atroci: fame, privazioni di ogni sorta, dolore fisico e spirituale..non soccombette, anzi sopravvisse e vinse, distinguendosi in numerose battaglie. Fece carriera arricchendosi enormemente con gli averi sottratti ai vinti. Non ebbe mai ripensamenti, rimpianti o pentimenti. Trovò nella missione cui era stato coartato la via da percorrere in quella vita: la guerra. E con intima soddisfazione solo ora veniva a sapere che la maggior parte dei suoi potenti compagni era stata miseramente eliminata dai loro stessi mandanti, avidi dei tesori accumulati durante le campagne vittoriose.

Poi il mare. Ecco la grande nave, straordinario galeone sottratto ai francesi. Un’altra guerra. La ciurma si era proprio divertita. Dopo aver catturato i superstiti dell’equipaggio  rivale aveva dato ordine di gettarli a mare, legati e imbavagliati. Ci avevano pensato gli squali, in un ribollire di schiuma rossa, a fare pulizia, tra  le urla belluine e gli sghignazzi dei suoi. Lui – lo rammenta bene – portava una benda nera sul viso a coprire la spiacevole cavità lasciata dall’occhio perduto in uno scontro antico nel quale venne ferito, catturato e trattenuto in una lurida galera per un tempo indefinito. Riuscì a fuggire e si vendicò, oggi a me, domani a te, mors tua vita mea,  la vita. Ma pure quella vita non finisce  bene. Nel suo crudele imperversare sugli oceani, aveva violentato molte donne, le donne dei suoi nemici. Gli piacevano molto, anche questo ricorda bene, non andava tanto per il sottile in certe cose. Morì divorato dalla sifilide. Soffrì solamente fino a quando la malattia intaccò i centri nervosi. Soltanto adesso, in questa nuova esistenza, sa che finì ingloriosamente, un ebete abbandonato da tutti. Ma che importanza poteva avere ormai..

Già, le donne. Così come il rammentare le atroci gesta precedenti gli risvegliavano una sottile eccitazione adrenalinica, ripensare a quel periodo – quando era stato bello come un dio – allo stesso modo gli procurava un moto d’orgoglio tipicamente maschile. Graziato di un fascino irresistibile diabolicamente coadiuvato da un narcisismo sconfinato, non aveva mai dovuto faticare più di tanto per conquistare le grazie del gentil sesso. Ancora giovinetto si era cimentato in  una collezione sterminata di avventure galanti e piccanti senza però mai impegnarsi, con nessuna. Si stancava presto lasciando senza alcun rimpianto né vergogna la malcapitata di turno, per correre immediatamente da un’altra. Nonostante la terribile fama le donne continuavano a cascargli ai piedi. Non si soffermò mai a considerare se fossero sposate o in altro modo impegnate. Tirava piuttosto bene di scherma, anche questa una naturale inclinazione, e gli toccò spesso di passare a fil di spada mariti o fidanzati cornuti e offesi. Ma siccome non si vince sempre, anche quella vita si compì in modo cruento. Fu comunque fortunato: l’ultimo avversario lo trafisse con un colpo talmente preciso e netto che avvertì appena il sottile e intenso bruciore della lama penetrare come un lampo nel torace trapassato da parte a parte. Un velo nero gli coprì gli occhi e spirò senza un lamento.

Perduto in tali pensieri, rammentò di non aver mangiato per molto tempo. Si adoperò a quel compito necessario e piacevole, seguito di norma da un  riposo tranquillo e ristoratore. Questa  notte però, contrariamente alle altre, sogna..no, sognare non è il termine esatto. In realtà continua a rivedere come in uno specchio le passate esistenze,  ripercorrendone vividamente ogni istante.

Strani questi ricordi. Si sorprende a pensare che, nonostante dimensioni, colore dei capelli o della pelle, ambienti e periodi storici siano completamente diversi e assolutamente distanti l’uno dall’altro, restano – ormai è lampante – legati da un elemento unico. Lui. Ed inizia a percepire un sottile disagio. Cerca disperatamente di allontanare  il turbamento, mangia ma non ha fame, cammina ma non dimentica, la mente rivolta involontariamente ad altre memorie. Vorrebbe, ma non può fermare o controllare il flusso dei ricordi. Le immagini si accavallano, incalzanti, lo specchio non ha finito di mostrarle. L’assale il malessere, aumenta l’inquietudine. Non era mai successo.

Altre memorie…Duecentoquarantasette? Ricordava con estrema lucidità, una buia stradina, l’entrata di un ambiente piccolo, magazzino, garage, difficile da identificare, un muro…e sangue, tanto sangue..sì, esattamente duecentoquarantasette le pallottole scaricate addosso ai nemici, di questo è sicuro, ricorda bene il tatatatatatatatatata ritmato dei colpi secchi, tutti, li sente tutti, sembrano non finire mai, e poi il silenzio, i corpi senza vita accasciati al suolo in un lago di sangue. Un paio dei quali quasi tranciati a metà dalle sventagliate di mitra. Le armi avevano crepitato a lungo prima di fermarsi fumanti. Il dominio del traffico di stupefacenti fu suo, visse una vita agiata, forse crudele, ma brillante e eccitante.

Non finisce mai, c’è ancora qualcosa, e diventa sempre più nitido. Ancora si distingue abbigliato in un’impeccabile divisa militare, pistola in pugno. Cammina impettito fra uomini legati e inginocchiati, freddandoli senza indugio alcuno con un colpo alla nuca, orgoglioso del suo paese e  della sua provata appartenenza alla razza superiore…

Una dopo l’altra, le immagini e reminiscenze di vite precedenti si susseguono con ossessiva accuratezza. Ne ricorda la totalità, fino a sentirle addosso tutte insieme, opprimenti ed eterne. I ricordi si sovrappongono incalzanti, indipendenti dalla sua volontà, flusso che non può in alcun modo fermare. Percepisce una forte inquietudine, non gli era mai successo. Avverte il peso intollerabile delle esistenze precedenti. Vite disuguali, ma con una connotazione comune: in tutte si è sempre considerato al di sopra di tutto e di tutti, razziando, uccidendo, depredando. In tutte, valutò facendone un istintivo esame, si era sempre sentito al di sopra degli altri, aveva sempre dominato, comandato, vinto.

No, non può essere il limbo, questo. E nemmeno un riposo definitivo ed eterno. Se lo fosse, non dovrei soffrire di stanchezza, essere angosciato da ansie o timori. No, questa deve essere una sorta di ultima vita nella quale si tirano le fila e si traggono conclusioni; dunque, se vivo questa esistenza beata, probabilmente significa che ho meritato di chiudere qui, serenamente, meditando su quanto ho fatto, e sul come ho sfruttato la mia libertà esercitando il libero arbitrio. Non avrò altre occasioni, il percorso è chiuso. Senz’altro è così. Ne sono certo. E se nelle precedenti esistenze ho spesso ricoperto il ruolo di guida sacrificando quando alla ragion di stato, quando all’opportunismo, e a volte sì, ammettiamolo, anche all’egoismo,  presunti  principi fondamentali di etica e rispetto, si palesa che ho compiuto doverosamente il compito cui ero destinato e per il quale ero stato così costruito, senza ascoltare ipocrite campane.”

Concluse di avere agito nel migliore dei modi:

“D’altronde se sono sempre stato migliore degli altri, per quale motivo avrei dovuto offendere il fato soffocando le superiori capacità donatemi a profusione? Non sapeva forse l’Onnipresente, l’Onniscente, l’uso che ne avrei fatto?’

Pervaso da sottile agitazione e senso di insicurezza, oggi  si è svegliato molto presto.. Un presagio profondo gli fa salire, incontrollata, l’ansia. Questa volta percepisce un terrore infinito.

Forse anche in questa ultima vita  ogni tanto si deve soffrire!

E, d’improvviso, il presagio diventa realtà. Senza alcun preavviso un’ombra gigantesca lo insegue. Scatta immediatamente, fugge. ‘Ma dove sono gli altri,?’ si domanda, mentre miracolosamente sfugge alla cattura e raggiunge lo spazio aperto, correndo all’impazzata, rendendosi però conto con angoscia di girare a vuoto ‘ma che succede? Queste barriere non le avevo mai notate, ero così tranquillo della mia esistenza da non avervi dato peso… ci sarà  pure un’apertura, un’uscita!’

Ormai si rende conto di correre in tondo, assalito dal panico, minacciato da presso da ciò che ora gli appare nella forma precisa: si tratta di  una  mano, enorme, sempre più vicina. Con un primo salto evita di essere afferrato, poi  esegue uno scarto veloce, la mano lo sfiora mancandolo d’un soffio, poi un altro balzo, una volta di più sfugge  alla presa. Ma il terrore ormai ha preso il sopravvento. E’ spossato. Un attimo, ed è finita. Sollevato in aria, preso per le  gambe e messo  sottosopra non può reagire. Una botta tremenda lo colpisce alla testa. Il dolore è insopportabile, sente letteralmente le ossa del cranio frantumarsi. ‘Ma non sono morto! Eppure il colpo era terribile..sono ancora vivo, ma non riesco a muovermi, sono paralizzato!’

L’orribile incubo continua. Nella enorme mano appare una terrificante,  enorme lama. Cala veloce su di lui. Squarciato, dal collo al ventre. Cerca di urlare, ma non può. Pur  soffrendo terribilmente, ed è vivo, cosciente, non può fare niente per sottrarsi a quella atroce tortura. Immobilizzato, impotente, vede, e sente, con infinito dolore ed orrore, che la pelle gli viene strappata via come un vestito. Senza naturale protezione muscoli e tendini bruciano in modo insopportabile. Non può muoversi. Non può urlare. E non è finita. Con sgomento moltiplicato dall’impotenza, sente che la stessa enorme agghiacciante lama comincia a farlo a pezzi, partendo dalle membra e salendo man mano verso il torace, Poi, finalmente, la testa.

…………………….

Mi è sempre piaciuta Nonna Lisa. Si alza senza eccezione alle cinque del mattino, mentre la campagna sonnecchia ancora avvolta nel velo scuro della notte. Accende il  fuoco nella grande stufa-cucina stivandone di ciocchi la capace pancia, prepara il caffè, pone il latte a bollire. Qualche fetta di pane sul piano di ghisa è già abbrustolita. Colazione perfetta.

Esce dalla casa stringendosi al collo la pesante stola di lana, apre il pollaio, bastone alla mano caccia il gallo che si avvicina prepotente, prende le uova dai nidi. La migliore sarà per me, battuta vigorosamente nella tazza con abbondante zucchero..

lo squisito zabaione, al quale aggiunge qualche goccia di caffè.

Adoro l’atmosfera leggermente fumosa della cucina, calda e protettiva, la luce della lampadina sospesa al soffitto come un piccolo sole appannato, l’odore della legna che brucia miscelato a umori vaghi e persistenti, latte, caffè farina e vegetali. L’infaticabile Nonna Lisa prosegue il suo lavoro mattutino preparando la pasta: amalgama energicamente farina e uova, rolla l’impasto, spiana  grandi sfoglie sottili che pone ad asciugare sul matterello posto tra il tavolo e una sedia. Più tardi, a tempo debito, le sfoglie asciutte verranno accuratamente arrotolate per poi essere affettate diagonalmente, in modo da ottenere perfette tagliatelle. Io come sempre l’aiuterò allegramente a sbrogliare le piccole matasse sollevandole ed allargandole  in aria con movimenti leggeri facendo attenzione a non spezzarle. Un  pentolone  borbotta  sulla stufa. Anche il brodo è già in preparazione.

Nonostante tutto questo daffare, Nonna Lisa è sempre paciosa, sorridente. Mi conforta la sua attività pacata e senza sosta, priva di sussulti. La generosa mole non le dà alcun impaccio apparente, è energica rapida e veloce, non alza mai la voce e non ha mai un moto di stizza. Tutto il  lavoro si svolge con l’accuratezza ed i quieti, metodici, fluidi  movimenti perfezionati  in svariate generazioni da massaie che nel tempo hanno codificato la sua arte.

Sulla maniglia della finestra  é appeso un piccolo specchio quadrato. Più sotto, un bacile colmo di acqua calda. Il nonno si è servito per primo, oggi è domenica e lui tutte le domeniche va a caccia. Scuoto il pelo dell’acqua per farne  affiorare di pulita, bagno il viso e mi insapono col residuo del pennello da barba. Mi piace radermi, lo faccio ormai quasi giornalmente da più di un anno. Ma Nonna Lisa pare non accorgersene:

Voe de l’altro pan, Pepin? Bevet un po a’d lat che te fa ben, piscinin!’ Non sono più tanto ‘piscinin’ anzi, sono coperto di lunghi peli e tutto il resto è ormai cresciuto a dovere, però mi piace sentirmelo dire ancora da Nonna Lisa, sarò sempre il suo nipotino preferito, ‘quelo dai grandi oci che bragian anca al buio…’

‘No grazie nonna, ho mangiato abbastanza, piuttosto cosa prepari per pranzo?’

Avverto con sorpresa un  moto di orgoglio e di soddisfazione nella risposta:

E’stata una bella fatica, ma ne é valsa la pena. Quella bestiaccia non voleva farsi prendere. Scappava da tutte le parti, sgusciava via come un’anguilla. Non mi era mai piaciuto, non aveva lo sguardo buono e remissivo dei suoi fratelli. Sembrava intelligente, sembrava pensare quando entravo nel recinto. Era…presuntuoso. Ma alla fine l’ho preso, gli ho dato un bel colpo alla nuca, l’ho scuoiato,  fatto a piccoli pezzi ed ora sta lì, pronto per essere cucinato.

Alzo il coperchio e sbircio il contenuto. Coniglio alla cacciatora: il mio piatto preferito!

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2 commenti »

  1. In un primo momento ho immaginato che il.personaggio avesse vissuto le diverse esperienze, ben descritte, leggendo libri di avventura. Solo una volta giunta all’incredibile finale, ho compreso quale fosse la sua vera natura.
    Complimenti Giuseppe, sei riuscito a catturare la mia attenzione dalla prima all’ultima parola

  2. Cara Marina buongiorno.

    Grazie per i complimenti, e fra l’altro, è il primo che ricevo. Ti devo la prima emozione!
    Si tratta di un racconto scritto tempo fa, quando ne volevo fare un libro vero e proprio sulla metempsicosi. Ma più lo rivedevo, più capivo che l’immediatezza e la brevità gli davano la forza necessaria per sorprendere. Mi piacerebbe, se tu non hai niente in contrario, prendere visione anche del tuo. Mi manderesti il titolo?
    Grazie ancora e buonissima giornata.

    AGI

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