Premio Racconti nella Rete 2020 “La Soltera” di Federico Piacentini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Il tavolino rotondo era sempre là. La piccola abatjour che lo illuminava di una luce soffusa e giallognola anche. E lì al terzo tavolo sulla destra della grande sala da ballo c’era, come sempre, anche lei. Dona Juana o più semplicemente la soltera. Così la chiamavano.
La soltera si aggiustò sulla testa il cappello di velluto nero da cui scendeva sul viso una retina che le quadrettava il viso. Le labbra rosse e carnose. Gli occhi invece erano nascosti o quasi dalla penombra che il copricapo le disegnava sul viso. In pochi li avevano visti nettamente. In tanti, però, ci avevano provato.
Vestiva tutte le sere nel solito modo. Vestito rosso, calze nere, scarpe col tacco nere. Un piccolo scialle le copriva le spalle sensuali. A volte, sfilandoselo, la soltera faceva fremere qualche uomo. Si diceva che un tempo dona Juana fosse stata la più grande ballerina di Buenos Aires, che fosse stata sposata, che insieme al marito avessero infiammato le sale, i teatri, i palchi di tutta l’Argentina. Erano al massimo del loro splendore quando il marito scomparve. Negli anni della dittatura, gli artisti non erano ben visti. Tantomeno quelli che con la loro magia creavano troppi sentimenti, passioni. Il paese si reggeva sulla fermezza. Un manipolo di artisti, si diceva, avesse instaurato un piccolo gruppo in combutta con i rivoluzionari, servivano degli esempi. Per cui tutti quelli che tramavano scomparivano, soprattutto i più famosi, era l’esempio che il governo desiderava. Così un giorno mentre delle camicie nere salivano le scale berciando, la soltera salutò con le lacrime agli occhi suo marito che, calandosi dalla finestra, le mandava un bacio. Quando i soldati sfondarono la porta lui la guardò, le disse che l’amava e che sarebbe tornato. Le aveva strappato la promessa che lo avrebbe aspettato tutti i giorni alla stessa ora in quel locale.
Non era nemmeno un granché quel locale. Situato nella periferia di Buenos Aires, poche donne, molti uomini. Tipi per lo più bizzarri più che pericolosi. Era, diciamo, un locale che non destava sospetti, insignificante, e quindi, sicuro. La bellezza della donna si scontrava e fondeva col fascino decadente della lurida sala da ballo.
Fermin le si avvicinò con passo felpato i baffetti sottili plasmarono un sorrisetto – Dona Juana, permette?
Tra le mani stava torturando un povero cappello sgualcito.
– Mi spiace Fermin, sai come la penso, – rispose la soltera.
– Ah già. Scusi Dona Juana, – riuscì a blaterare. – Me lo scordo ogni sera.
Nel quartiere spesso lo sfottevano perché non aveva mai trovato moglie. Un riporto striminzito gli fasciava la testa, col suo musetto allungato, le mani scheletriche e la schiena curva era soprannominato “el raton”.
Si allontanò poco convinto in cerca di qualche altra dama da invitare, sapendo che la sera dopo avrebbe offerto un’altra occasione. Dona Juana si accese l’ennesima sigaretta. Le ore passavano lente in quel posto, a ritmo di fioche milonghe suadenti. Osservava la gente davanti a lei volteggiare, fermarsi e ripartire, alcuni rigidi, alcuni più sciolti, con occhi chiusi o aperti, sudati e non, sorridenti o tristi. Le coppie si scambiavano, la gente sognava. Lei invece era sempre lì congelata con la sigaretta in mano, al tavolo come nella vita.
Finì un altro ballo, le donne ripresero posto a sedere, gli uomini iniziarono a ronzargli intorno. Don Antonio si avvicinò. Era un uomo importante nel quartiere. Si diceva avesse fatto i soldi con strani traffici politici. Portava un mazzo di rose nella mano inanellata d’oro. Si asciugò il sudore dalla fronte con un lercio fazzoletto e si aggiustò la camicia sull’addome tondo.
– Allora Dona Juana, – disse ridacchiando. – stesso posto, vedo. Queste sono per lei, – e appoggiò le luccicanti rose rosse sulla tovaglia ricamata.
– Grazie, – rispose con tono deciso più che seducente la soltera.
– Me lo concede un ballo? – chiese Don Antonio. Dona Juana lo squadrò. Nessuno aveva ancora capito.
– Grazie Don Antonio, ci penserò su, – Ovviamente ci aveva già pensato su. Non avrebbe mai concesso un ballo. A meno che non fosse stato con suo marito.
Ormai erano due anni che lo aspettava. Nessuna notizia, nessuna lettera, nessun segno. In lei viveva ancora il ricordo del suo viso mentre le chiedeva di aspettarlo. Il cuore ormai batteva fioco, ma nel profondo lei sapeva, ne era certa, che sarebbe tornato. Don Antonio le lanciò un sorriso viscido, come i suoi traffici ed i suoi soldi. Era gente come lui che aveva costretto suo marito a fuggire. Le passò un brivido sulla schiena.
– Aspetterò con ansia, – proferì con il tono sbeffeggiante di chi sapeva che prima o poi il nemico sarebbe caduto.
La gente volteggiava, le gambe si intrecciavano, gonne sgargianti volavano nel crepuscolo della sala, una fusione di sorrisi, movimenti e note. Mancava quasi mezzora alla chiusura. Dona Juana ordinò il terzo rum e si accese una sigaretta. Notò allora un tipo che non aveva mai visto prima. Oramai, dopo quasi due anni, conosceva tutti i tangheri che passavano da quella sala ma giurò di non aver mai visto quell’uomo. Il suo portamento era decisamente signorile, aveva uno sguardo brillante ed un sorriso ammaliante. Lo osservò avvicinarsi a Dona Carmela, sicuramente la più brava ballerina che in due anni la soltera avesse visto solcare la sala da ballo. Dona Carmela era eccezionalmente bella ed era una donna di spirito. Una rosa nel deserto di quel quartiere decadente si sarebbe detto. La vita le aveva però ben presto sottratto il suo candore. Da piccola i genitori, poverissimi l’avevano messa subito al lavoro nel negozietto da calzolaio che possedevano. Si era sposata molto giovane. Data dalla famiglia ad un marito ricco. Alla fine aveva anche iniziato ad amarlo. Il problema era che più il suo amore cresceva più i soldi del marito scomparivano, mangiati dal gioco dalle donne e dal brandy. Così un giorno qualche creditore non troppo ragionevole fece al marito quello che altri creditori avevano pensato più volte e lei si ritrovò vedova e senza un quattrino. Solo quel fondo le era rimasto, lì aveva quindi aperto quel locale, dove tutte le sere dona juana sedeva nella speranza. Si poteva dire che Dona Juana avesse visto molte cose in quel posto. Ma mai aveva visto un buon ballerino. Lui invece era diverso. Era un danzatore formidabile, stava trascinando con sé Dona Carmela quasi fosse un peso attaccato alla sua caviglia che ne limitava l’ascesa. Quasi nessuno si accorse di quanto il nuovo arrivato fosse realmente bravo, solo una persona non riusciva più a staccargli gli occhi di dosso. La soltera.
Il ballo finì Dona Carmela era come in uno stato di trance, le guance rosso porpora, un sorriso smarrito che non accennava ad andarsene. Riprese posto a sedere molto più lentamente del necessario.
Durante le pause tra un ballo ed un altro le risa si spargevano nella sala, tagliavano la coltre di fumo che aleggiava nel locale. La gente si asciugava il sudore, dopodiché ripartiva nel walzer degli inviti che si facevano via via sempre più frenetici. Il nuovo arrivato si guardava intorno, cercando la sua nuova accompagnatrice. La soltera s’irrigidì. La stava guardando, ne era sicura. Sì la stava guardando, come un predatore nella nebbia di fumo. Adesso si stava avvicinando al suo tavolino. Le gambe iniziarono a tremare e un fremito le corse al centro nell’addome.
– Salve mi chiamo Felip, – la sua voce era profonda ma gentile. – Mi vorrebbe concedere l’onore del prossimo ballo?
– Grazie ma io non ballo, – rispose con un velo di indecisione la donna.
– Perché mai? – Rispose il forestiero. – Forse non sa ballare? O forse non gradisce la mia compagnia?
Gli occhi della soltera scintillarono sotto il velo. Erano anni che non ballava. Erano anni che non toccava un uomo. La speranza di incontrare nuovamente suo marito la pietrificava. Ma perché mai non avrebbe potuto ballare. Alla fine era solo un ballo, niente più.
– La sua compagnia la gradisco, non volevo essere scortese. – Spegnendo la sigaretta si alzò lentamente dal suo posto. Prese la mano del nuovo compagno e si diresse adagio al centro della pista.
Nella sala il brusio si affievolì, si sentì qualcuno dire, è proprio lei? La nebbiolina fumosa avvolgeva adesso l’unica coppia sulla pista, le persone sbalordite osservavano in silenzio intorno alla caliginosa pedana. La soltera abbracciò soavemente le spalle del ballerino, un grosso cerchio di luce gialla li illuminava.
La musica iniziò ed i due presero a muoversi gradualmente. Movimenti lenti cadenzati, si sfioravano con le guance ogni virata, la gonna di Dona Juana si sollevava leggera ogni giravolta, si fermavano e poi ripartivano. La leggerezza dei loro passi era qualcosa di meraviglioso, mai si era vista una ballerina così in quel posto, la gente era esterrefatta. La milonga iniziò ad essere più ritmata, ombre lunghe si allungavano sul pavimento della sala da ballo, i chiaro-scuro delle loro facce facevano notare una passione viva.
Quando lui le si avvicinava, così tanto da sfiorarle le labbra, Juana sentiva un piccolo fuoco divampargli nel petto. Le gambe, sontuose, formavano degli archi sinuosi e ritmati.
La musica d’un tratto svanì, un silenzio di tomba piombò nella sala. Si sentiva solo il respiro dei tangheri, stretti al centro della sala. Lui la stringeva, la soltera lo guardava, il velo nero davanti agli occhi si era spostato scoprendo due tizzoni ardenti. Le loro bocche si sfiorarono fino a toccarsi. Il mondo si era fermato, soltanto in quel cerchio di luce era la vita.
Nessuno si accorse dell’ombra che dalla vetrata del locale stava osservando la scena sotto la pioggia. Una lacrima si confuse con l’acqua del cielo. Con lentezza si perse tra le luci sfocate della città.
Bel racconto! Sei riuscito a creare l’atmosfera delle milonghe che di certo avrai frequentato. Sembra di sentire la musica in sottofondo e di vedere quella tensione di braccia e gambe che si incrociano, sfiorano, accavallano, rincorrono. Il finale coglie di sorpresa come il verso finale di una canzone argentina, malinconica e triste. Mi ha fatto piacere leggere e commentare il tuo lavoro come mi piacerebbe che tu leggessi e commentassi i miei.
Tristezza e dolore nell’Argentina dei soprusi e delle violenze. L’ho letto con speranza e curiosità, facendo il tifo per un finale diverso ma, quando ci si mette quello strano gioco del destino a completare l’opera, non c’è scampo. Mi è piaciuto molto, ci potresti tirar su un bel libro.
Mi è piaciuto molto e il finale, completamente inaspettato mi ha lasciata di stucco! Vuol dire che lo hai scritto molto bene, bravo.
Splendido e affascinante per l’ambientazione che hai scelto. Si ha l’impressione di essere lì, di partecipare alla storia e di non esserne semplici spettatori. E quella lacrima che si confonde con l’acqua del cielo dà i brividi. Spero di leggere ancora altri tuoi racconti
Grazie mille davvero. Molto gentili! Fa piacere sapere che vi ha colpito!