Premio Racconti nella Rete 2020 “Bem, la conquista della libertà” di Jessy Doro
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Io ragazzo di colore, mi chiamo Bem, ho solo 14 anni e vivo in Papua Nuova Guinea insieme alle mie due sorelline, Abba e Dalila, di 10 e 8 anni.
Siamo soli, i nostri genitori hanno perso la vita un anno fa a causa della guerra, noi ci siamo nascosti nello scantinato di casa nostra. Mio padre lo aveva costruito sotto terra in caso di necessità per salvarci, un grande tappeto copriva la piccola porta. C’erano spesso degli attacchi nella nostra terra e lui sapeva che prima o poi avrebbero attaccato anche noi.
Io non lo so perché quegli uomini cattivi erano arrabbiati con noi, d’altronde cosa posso saperne, sono ancora un bambino, adesso, rimasto orfano… ma… ho le mie sorelle e io mi prenderò cura di loro, l’ho promesso al mio papà, ed io mantengo una promessa!
Questa mattina, sono uscito di nascosto sotto un gran cappotto, prendendo piccole viuzze isolate per non farmi vedere, l’odore nell’aria sa di carne putrefatta, sento le urla e attorno a me tutto si colora di rosso, spari, bombe… sento il mio cuore battere forte, sudo, tremo, ma continuo ad andare avanti imperterrito, non mi fermo, non posso.
Percorro le strade riuscendo ed evitare gli spari e le bombe, come se adesso per me fosse un’abitudine, qualcosa che ormai conosco e per non farmi abbattere dal nemico la prendo come un gioco in cui scappo e mi nascondo, le bombe e i proiettili magari sono delle palline colorate che mi lanciano addosso e io devo evitarle. “Magari fosse così”! ma non lo è, non è un gioco, è la guerra che tutti i giorni porta via i nostri amici, le nostre famiglie, tutto ciò che incontra.
Eccomi in un piccolo negozio dove tutti i vetri erano stati spaccati, entro con attenzione, ma ahimè! mi ferisco ad una mano che accidentalmente ho poggiato sopra un pezzo di vetro, non fa niente, devo prendere il cibo per le mie sorelline, hanno bisogno di me, magari dopo la medicherò. Vado avanti e prendo tutto ciò che riesco a infilare nelle tasche dei miei pantaloni strappati e del cappotto di mio padre, ho preso abbastanza… Adesso, torno nel mio scantinato.
Tornato a casa vedo le mie sorelline che con ansia mi stavano aspettando, corrono da me, mi abbracciano e piangono, lo fanno tutte le volte, perché non sono mai sicure se quando esco dalla porta dello scantinato, farò più ritorno, così noi festeggiamo e mangiamo perché Dio ha donato noi un altro giorno, anche se sappiamo che il nostro futuro è incerto.
Il giorno seguente siamo insieme seduti attorno al tavolo, prendo dei biscotti, quelli che ieri ho preso al negozio e scaldo un po’ di latte, anche oggi riusciamo a mangiare, Dalila mi dice: <<Bem, io non voglio più stare qua, sono stanca e ho paura, lo so che prima o poi i cattivi ci faranno male e se non saranno loro, sarà la fame, oggi stiamo mangiando, ma quando non ci sarà più niente come faremo?>>
Io la guardo con attenzione, mentre penso a cosa poter fare o dire per dare a lei e ad Abba una speranza, allora rispondo: <<Dalila non avere paura, troverò una soluzione, proveremo ad andare via, non posso dirti che sarà facile, ma noi ci proveremo e anche se dovesse succederci qualcosa saremo insieme e non potremmo dire di non averci provato. Ma dobbiamo crederci, insieme, credere che tutto è possibile, che per noi ci possa essere un futuro>>
Abba mi guarda e mi chiede:<<Come facciamo, che soluzione può esserci Bem? Siamo solo dei bambini>>
A quella domanda mi fermo a pensare, non so ancora quale soluzione possa esserci, cosa avrebbe fatto mio padre? Cosa avrebbe detto?
Poi dico: <<Facciamo un gioco, si chiama cerca la soluzione, prendiamo degli oggetti che troviamo in stanza, magari da questi avremo risposta>>
Il pomeriggio lo passiamo svaligiando il nostro scantinato, è divertente, ci distrae, ma abbiamo un obbiettivo, trovare la soluzione e andare via.
<<Bem, guarda… Il libro preferito di papà>> dice Abba, mentre i suoi occhi azzurri si arrossano e due lacrime le scendono sul viso e si poggiano sulla sua spalla scoperta, la magliettina e grande e le scivola di un lato, era la maglietta di mamma e lei non vuole separarsene.
Afferro il libro, la mia mano trema, so che questo librò era importante per mio padre, lo conservava con molta gelosia. L’immagine di copertina raffigurava una barca, la sua preferita.
Ecco un messaggio, un segno, improvvisamente ho un idea, il libro di mio papà forse ci salverà.
Mio padre era un falegname e mi aveva insegnato tutto ciò che si poteva realizzare con la legna, così al posto di sprecare ancora tempo, mi metto all’opera per realizzare la nostra barca che ci avrebbe permesso di fuggire via da quel posto e magari chissà, andare in Italia, forse avremmo avuto una vita normale, una vita diversa… ma ciò che contava per me e le mie sorelline era vivere e fare in modo che il sacrificio dei nostri genitori non fosse stato vano.
La barca dopo solo tre giorni è pronta, non è come quella della copertina, ma va bene, abbiamo lavorato pure la notte e dormito solo tre ore, forse 4, non ricordo, ma ciò che conta e avere la nostra barca.
<<Ce l’abbiamo fatta>> mi dice Abba con un sorriso, mi si apre il cuore e vedo in lei la speranza, la gioia. Mi sento fiero di averle dato ciò che volevo, un appiglio a cui aggrapparsi. Di quello avevo bisogno, di fiducia, di positività, di non smettere mai di credere in qualcosa di bello.
In tarda notte mentre tutto è più tranquillo, o almeno così speriamo, io e le mie sorelline sistemiamo la barca su un carrellino con le ruote e ci avviamo silenziosi per una viuzza stretta e buia che porta al mare, noi siamo fortunati, il mare è solo a un km di distanza dalla nostra casa e nell’oscurità, grazie alla pallida luce della luna, che si fa sovrana nella notte, riusciamo a vederlo.
Tutto è andato bene, nessuno ci ha visti e noi siamo davanti il mare.
“Quanto è grande e sconfinato”, riesco ad assaporare l’aria e vedo il riflesso della luna che mi consola in questa notte buia. Il riflesso si espande come a formare una piramide sul mare che si allarga verso di noi come ad aprirci le sue braccia e invitarci ad andare con lei, lei ci proteggerà e ci starà vicina tutte le notti, almeno è quello che mi piace pensare.
Poggiamo la barca nell’acqua e saliamo a bordo, issiamo le vele ed ecco che la nostra barca si fa trasportare dalle piccole onde e il leggero venticello che accarezza i nostri volti, sentiamo un po’ freddo, ma siamo felici, ci sentiamo liberi, scrollati da tutto il dolore e la paura che abbiamo provato fin poco prima di arrivare al mare.
Ci addormentiamo con i nostri corpi vicini per tenerci caldo, cullati dal movimento delle acque che sembrano ondeggiare lentamente a ritmo di una ninna nanna e un pò, ci sentiamo coccolati, come se non fossimo soli, ma insieme alla luna, al mare e al nostro amore che proviamo reciprocamente.
E’ mattina. Il bagliore del sole che investe i nostri visi ci sveglia e per noi è un nuovo giorno, un nuovo inizio, l’aria è pulita, il cielo è azzurro e intravediamo alti nel cielo dei bellissimi gabbiani, non li avevamo mai visti così vicini, tranne che nei libri che ci regalava nostra madre, lei ci aveva insegnato a leggere e ci aveva raccontato che in Italia non c’era la guerra, i bambini andavano a scuola e giocavano a pallone, i grandi andavano a lavoro e portavano tanti dolci buoni ai propri figli.
“Che bello un mondo così” non vedo l’ora di vederlo, ma soprattutto dare alle miei sorelline il futuro che meritano.
Ho perso il conto di quanto tempo sia trascorso nella barca, ho un po’ paura, il mare oggi è arrabbiato, le onde brusche sbattono sul legno, non ci cullano più, ma stanno attaccando la nostra barca, noi ci teniamo stretti per paura di cadere in mare, forse è la fine, ma almeno ci siamo goduti delle belle giornate, abbiamo riso, scherzato come non facevamo da tempo, per noi è stato un dono ed essere insieme era ciò che volevamo più di qualsiasi altra cosa.
Poi tutto ad un tratto la nostra barca si rompe e si ribalta e noi cadiamo in mare, urliamo e cerchiamo di non allontanarci gli uni dagli altri, faccio in modo di fare aggrappare le mie sorelline in ciò che rimane della barca, un pezzo di trave che almeno riesce a tenerci a galla.
Le nostre forze ormai cominciano a mancare, le braccia fanno male, mi brucia il cuore a vedere le mie sorelline che stanno per lasciare la presa, loro sono più piccole e deboli, io da solo non posso farcela.
Ma all’improvviso un miracolo…
“Arriviamo! Arriviamo!”
Sentiamo gridare da lontano, sono degli uomini con un peschereccio grandissimo che ci vedono e immediatamente ci danno soccorso.
Siamo felici, ancora una volta quando tutto sembrava per finire l’abbiamo scampata e siamo vivi, forse i nostri genitori ci stanno aiutando dal cielo.
Quegli uomini molto gentili ci danno da mangiare e dei vestiti asciutti, sono italiani, forse adesso ci porteranno in una nuova casa.
Siamo in Sicilia, a Palermo e ci portano in un centro, noi ci teniamo per mano stretti per restare uniti e non farci separare, d’altronde non conosciamo nessuno e non sappiamo veramente cosa ci spetta.
Nel centro c’è tanta gente e tanti bambini come noi, la gioia nei miei occhi e in quelli delle mie sorelle è tanta, ci sono molti altri che sono scappati e adesso sono qua, sicuramente adesso tutto andrà bene.
Dopo un mese passato in centro, una famiglia decide di adottarci entrambi e le cose cambiano, andiamo a scuola, giochiamo a pallone insieme a tanti altri bambini bianchi e di colore come noi, ci trattano bene, magari qualcuno ci prende in giro, ma a noi non importa perché siamo insieme, felici e amati dalla nostra nuova famiglia che come diceva mia madre ci compra i dolcetti e tante altre cose buone.
Ma noi, non dimenticheremo mai i nostri genitori, ciò che ci hanno insegnato, i valori della vita, la sopravvivenza e la lotta, il sacrificio per ciò che conta davvero, l’amore per la famiglia e per la libertà.
Una notte mi sono affacciato alla finestra della mia cameretta, ho guardato il cielo e visto una stella più grande e lucente delle altre, ho immaginato fossero i miei genitori, stretti per mano, che ci guardano da lontano, così ho parlato con loro: << Mamma, papà, mi mancate, so che siete vicino a noi e che ci avete aiutato e protetto quando siamo scappati, voi vivete dentro di me, in ogni mio gesto, ogni mia parola. Quando apro gli occhi la mattina annuso la mia pelle e mi ricorda il vostro odore, mi guardo le mani e mi ricordano quelle di papà, guardo gli occhi di Abba e mi ricordano quelli della mamma, guardo i capelli di Dalila, morbidi ricci, mi ricordano quelli di papà, tutto attorno a me mi ricorda voi. Adesso voglio dirvi che vi amo e sono felice di aver mantenuto la mia promessa, hai visto papà! ho protetto le mie sorelle e lo farò per sempre, fino a quando un giorno ci rincontreremo e allora saremo di nuovo insieme, stelle lucenti nell’immenso cielo>>.
Poi sono tornato a letto e felice mi sono addormentato.