Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Regina” di Marta Segat

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Regina aveva 28 anni e aveva rifiutato tutte le proposte di matrimonio che le erano state fatte. Non aveva neppure voluto il figlio del macellaio, un buon partito, ma zotico e prepotente.

– Disgraziata! Rifiutare un ragazzo così! Ma quando mai ti ricapiterà! –  Le aveva urlato il padre in mezzo alla strada e poi l’aveva battuta con la verga che teneva sempre sul suo calesse. Dopo era salito dai Longo e come sempre aveva riscosso lo stipendio della figlia e se ne era andato senza voltarsi, lasciando Regina seduta a terra a massaggiarsi la guancia gonfia per la frustata. Lei non piangeva, lo odiava. Lavorava da anni ormai e non aveva mai visto un soldo del suo lavoro: ogni mese Tarcisio, suo padre, arrivava con il calesse in città e riscuoteva il suo stipendio e quello delle sue due sorelle a servizio in altre famiglie. Alle figlie non lasciava nulla, neppure pochi spicci.

– I vestiti per il lavoro ve li devono dare i vostri padroni –  diceva  – e la domenica non dovete uscire se non per andare a messa, e per quella va bene il vestito da cameriera che avete! –  E così le tre poverette non avevano mai avuto la possibilità di comprarsi un paio di scarpe nuove, una borsetta per andare a passeggio la domenica con le amiche, né un cappellino. Nulla. Regina però viveva a casa Longo e la sua padrona aveva imparato a controllare quel padre despota. Si era rifiutata di aumentare la retribuzione pattuita inizialmente con lui per i servizi di Regina, tuttavia ogni mese alla sua bambinaia dava segretamente del denaro, in più le passava i suoi abiti smessi e le comprava un paio di scarpe all’anno. – E’ un segreto tra me e te –  le aveva detto accarezzandole le trecce rosse che teneva radunate alla base della nuca – con questi soldi puoi fare ciò che vuoi -. Così Regina un giorno con quei soldi era andata dalla pettinatrice e si era fatta tagliare i capelli alla “maschietta”. E giù botte il mese successivo.

– A chi hai chiesto il permesso per conciarti così? –  Le aveva urlato Tarcisio dal calesse, mentre con la mano libera dalle briglie cercava di colpirla con il frustino rimanendo seduto in serpa.

Nesto, però, le aveva detto – Sei bellissima con questo taglio – e a lei bastava. Suo padre poteva picchiarla quanto voleva, ma lei avrebbe mantenuto i suoi capelli corti.

– Solo le donnacce pensano all’acconciatura. Dimmi, sei diventata una donnaccia? – Era sceso dal calesse e ora le teneva stretto il collo con la mano sinistra, mentre la destra era in aria in attesa di  farla cadere violentemente sul viso della figlia. Regina lo guardava negli occhi, non tremava, non supplicava, non piangeva. Sapeva che questo avrebbe fatto arrabbiare ancora di più suo padre, ma non importava.

– Lasciala! – Una voce giunse alle spalle di Tarcisio che si voltò lentamente mantenendo, però, sempre la presa.

–  Non si preoccupi signorino, la raddrizzo e gliela restituisco –

–  No, la devi lasciare ora! –  

– Signorino, io sono il padre, è mio dovere… – E fece roteare il frustino per far capire meglio le sue intenzioni.

– E io sono il padrone di tua figlia e tu stai malmenando una mia serva! – Disse d’un fiato il giovane  – Vai da mia madre a prendere lo stipendio e poi vattene! –

Alberto aveva solo diciannove anni ma era molto alto e, grazie alle cure di Regina, era diventato anche un ragazzo robusto. Un “pezzo di giovanotto” avrebbe detto suo nonno. Tarcisio lo guardò, osservò i pugni che il ragazzo teneva stretti alle cosce e mollò la presa. Regina cadde a terra, era paonazza in viso e iniziò a tossire in modo convulso. Alberto corse in suo aiuto, mentre il padre di lei a lunghi passi raggiungeva le scale per andare a riscuotere lo stipendio della figlia.

– Questa volta la mamma non gli darà nulla! – Rivelò il giovane a Regina.

– Per amor del cielo! Perché? Si arrabbierà ancora di più e se la prenderà di nuovo con me e con le mie sorelle! – Disse la ragazza preoccupata.

– No Regina, tu sei ormai maggiorenne e lui non ha più potere su di te. Non può prenderti ogni mese tutti i soldi che guadagni, – Alberto sussurrava – non può più! Sono tuoi, di diritto! – Ribadì.

            Per la prima volta nella sua vita Regina scoprì di avere dei diritti. Era una sensazione strana. Dei diritti? Lei aveva finora conosciuto soltanto dei doveri, dei diritti nessuno le aveva mai parlato!

Per nove mesi il padre non si fece più vedere, poi un giorno arrivò in calesse. Con sé aveva il figlio più piccolo, Zeno, avvolto in una coperta, febbricitante. Lo aveva strappato dalle braccia della madre per portarlo in ospedale in città.

– L’ospedale non è roba per donne. Stai a casa e prega! – Aveva detto, ignorando le lacrime della moglie. L’ospedale, però, era costoso e lui non voleva spendere soldi suoi, non per quella creatura tanto fragile. E così, certo di toccare il cuore ribelle di Regina, si era presentato da lei mostrandole il fratello moribondo.

– Portatelo subito in ospedale! Che aspettate? – Aveva urlato lei spaventata per il colorito pallido del ragazzino.

– L’ospedale costa, Regina, e io non ho soldi. Da mesi tu non aiuti più la tua famiglia e vedi come siamo ridotti ora!? – Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime per la prima volta dopo tanto tempo. Si sentiva divorata dalla vergogna e dal rancore. Corse in casa, raggiunse la sua stanza, estrasse dal materasso un rotolo di soldi, tutti quelli che aveva risparmiato per farsi il corredo, e ritornò in strada. Con rabbia li lanciò contro il pastrano del padre dicendo: – Ora li avete i soldi, portatelo subito in ospedale! – Tarcisio raccolse il rotolo di denaro e se lo mise in tasca. Faceva un bel gruzzolo insieme a quelli che aveva già intascato quel giorno dalle altre due figlie! Poi lentamente fece muovere la cavalla e si allontanò. Era stanco, era partito all’alba da Castelgrande per raggiungere la città, era ormai pomeriggio e non aveva ancora pranzato. Per un attimo pensò di fermarsi all’osteria, ma il colore terreo del figlio lo convinse a proseguire per l’ospedale.

Quella settimana Regina attese con ansia il giovedì, il suo giorno di libertà. Si mise il vestito migliore, le scarpe nuove e, accompagnata da Nesto, raggiunse un edificio cupo e triste. Le tremavano le gambe, non era mai entrata in un ospedale e non sapeva come comportarsi. – E’ un palazzo con tante camere da letto – Le aveva spiegato Alberto che voleva diventare medico e frequentava lì le sue prime lezioni di anatomia.

Non fu facile trovare chi si ricordasse di Zeno Fabbris. Poi a un’infermiera in servizio tre giorni prima venne in mente un uomo dai capelli e baffi rossi che si era presentato con un ragazzino tra le braccia. Ma non c’era più nulla da fare. Se fosse arrivato qualche ora prima forse ce l’avrebbe fatta, ma ormai il figlio era morto, così Tarcisio era tornato a Castelgrande con il suo fardello.

Regina urlò, urlò contro suo padre, la sfortuna, la miseria e l’ignoranza. Nesto la teneva per le spalle mentre lei vomitava al mondo tutta la sua rabbia e il suo dolore.

Il giorno successivo ottenne dai Longo il permesso di andare a casa per alcune ore. Nesto chiese allo zio in prestito un carro e in due ore furono al paese. La madre di Regina era seduta su una sedia davanti all’uscio di casa, filava e piangeva in silenzio.

– L’abbiamo sepolto ieri – disse senza neppure alzare lo sguardo verso la figlia – Dio ha voluto così, che ora ci benedica! –

– Non è stato Dio a volerlo morto, ma vostro marito che lo ha portato in ospedale solo dopo aver intascato con il ricatto tutti i soldi che voleva! Non è Dio, è il diavolo che c’è in lui che ha ucciso Zeno! –

– Taci figlia mia, non sai cosa stai dicendo. Sei diventata pazza? Aveva ragione tuo padre. Sei stata accecata dal denaro e dall’egoismo ed ora la tua mente è di lucifero – sussurrò la madre – che disgrazia, una figlia serva del diavolo! – La donna si alzò ed entrò in casa chiudendosi alle sue spalle la porta con il chiavistello.

– Sono pazza io? Siete pazzi voi! Tutti voi! – Urlò alla madre chiusa in casa. Poi crollò sulla sedia che aveva lasciato libera la donna e per la seconda volta pianse, pianse, pianse. Non vide suo padre, né lo avrebbe voluto vedere, ma andò al cimitero dove mise qualche margherita di campo sulla povera tomba del fratello. Si torturava: se avesse continuato a dare i suoi soldi al padre, se non fosse stata così arrogante e altezzosa, forse suo fratello sarebbe stato ancora vivo! Si sentiva in colpa, triste e sola. Il braccio di Nesto intorno alle spalle non la rincuorava, anzi.

 – Non mi sposerò mai –  pensò tra sé tornando a in città. Il giorno dopo lasciò Nesto e non ci pensò più.

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1 commento »

  1. Rabbia tristezza e disperazione questo quello che si vive nel tuo racconto. Sa di vita vissuta. Avrei voluto che la storia proseguisse ancora e vivere tutta la vita di Regina. Molto bello complimenti

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