Premio Racconti nella Rete 2010 “La lumaca” di Daniele Ciccolini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Entrò nella sala da pranzo piccola e si fermò davanti a Cimitero di pipe, un olio su tavola acquistato dieci giorni prima a Parigi. Era sul cavalletto in attesa di una collocazione. Lo aveva comprato pensando a suo padre. In quella sala fumava la pipa e tutte le sere prima della cena, mentre leggeva riviste di arte e di aste internazionali, beveva un bicchierino di whisky Macallan invecchiato quindici anni.
Si versò lo stesso tipo di whisky. Oro antico, limpido. Lo portò al naso. Uva passa, prugne mature, legno, liquirizia ed una sensazione di caldo.
Il suono del violino di Greta giunse ovattato. Scosse la testa, guardò per un’ultima volta il bicchierino pieno e poi bevve, con un gesto secco. Charity entrò con in mano una brocca d’argento appena lucidata. Abbassò lievemente la testa e andò a posare la brocca vicino alle altre della collezione. Erano posizionate in ordine di grandezza sopra alla mensola del camino.
Mia moglie non è ancora pronta?
Non lo so, signore.
Ebbe un attimo di esitazione. In questo periodo sembra avere la testa altrove. Che ne pensi?
Non lo so, signore. Con me è gentile come al solito. Ora posso andare?
Certo Charity. Puoi andare.
Salutò nello stesso modo di prima ed uscì dalla sala.
Greta aveva cominciato a suonare delle scale quando lui entrò nella sala da pranzo principale, dove campeggiava la grande specchiera del ‘700 con ai piedi il pianoforte a coda. Sopra c’era una serie di cornici con le foto che ritraevano i membri della famiglia di Maurizio tutti alla stessa età. Al centro il tavolo inglese del diciottesimo secolo era circondato da sedie francesi primo impero. Sulle pareti si stendeva una libreria in quercia massiccia con antichi volumi di storia dell’arte. Questa sala comunicava con lo studio di Greta. Era a piedi nudi sul tappeto a forma di farfalla, dai brillanti colori rosso, blu e giallo ocra. Indossava una salopette blu notte, con delle sottili bretelle ed era girata verso la finestra con vista sul cortile, la parte più silenziosa del palazzo. Continuava a suonare delle scale, sempre con lo stesso ritmo. A Maurizio sembrò che le stesse suonando con una forza eccessiva.
Cara, non sei ancora pronta.
Non ho voglia di uscire questa sera. Scusami.
Lei aveva smesso di suonare e Maurizio andò a darle un bacio sulla guancia.
Ma questa è proprio una di quelle serate che piacciono a te.
Dai Corradi?
Non dobbiamo andare dai Corradi. In quel caso ti avrei dato ragione. C’è il ricevimento all’ambasciata. Ricordi?
Greta poggiò il violino e dalla custodia prese la pece. Cominciò a passarla sui crini, con dei movimenti lenti.
Mi piacerebbe rimanere a casa. Starmene un po’ da sola. Non ti arrabbiare.
Mi ero dimenticato di dirti che ci sarà anche il direttore del Conservatorio di Parigi.
E’ che non mi sento tanto bene.
Hai un po’ di febbre, cara? Dico a Charity di portarti un termometro.
No, lascia stare. Non è febbre.
Greta aveva ripreso a suonare e la pece imbiancava il legno sottostante le corde.
Cercheremo di non fare troppo tardi. Te lo prometto.
Lei posò il violino nella custodia, allentò i crini dell’arco e con un foulard tolse la polvere della pece dalle corde e dal legno. Andò ad aprire la finestra e si mise a guardare giù nel cortile. Le linee di scolo dell’acqua piovana si incontravano al centro, dove una rosa fungeva da chiusino. Maurizio andò al fianco di Greta e si mise anche lui a guardare fuori dalla finestra.
Cosa c’è, Greta?
Perché non vai da solo?
Tesoro, per favore.
Lei andò nella sala da pranzo, prese sopra la credenza il pacchetto delle sigarette e l’accendino e si mise seduta al pianoforte, poggiando i gomiti sul copri tastiera chiuso.
Ho fatto in modo che il direttore del conservatorio di Parigi sia al nostro tavolo.
Sei un tesoro, ma oggi non me la sento di tenere una conversazione in francese.
Maurizio stava per dire qualcosa, ma poi andò a prendere il posacenere in argento e lo poggiò sullo sgabello, nello spazio lasciato libero da Greta.
Per qualche secondo rimasero così. Lei seduta e lui dritto in piedi davanti a lei.
Poi Greta si alzò e andò a far scorrere la tenda della grande vetrata.
Cara, c’è qualcosa che dovrei sapere e che non mi hai ancora detto? Maurizio si aggiustò i polsini della camicia.
Ti chiedo scusa, caro. Sono solo un po’ stanca.
Tutto qui?
Tutto qui, davvero.
Maurizio le si avvicinò. Cominciò ad accarezzarla sulle braccia, delicatamente. La baciò tra il collo e la spalla, scostando leggermente la bretella della salopette. La prossima settimana andiamo allo chalet e ci rimaniamo per una decina di giorni. Va bene?
Greta tornò al pianoforte. Alzò il copri tastiera e suonò degli accordi.
E’ un po’ che non chiamiamo l’accordatore, disse Maurizio. Guardò l’orologio che aveva al polso. Cosa c’è che non va? Devo preoccuparmi?
Greta cambiò posizione. Si mise seduta sul lato corto dello sgabello rettangolare.
Mi sembra che queste tre settimane in Brasile ti abbiano turbata. Beh, a dire il vero già prima di partire eri particolarmente silenziosa. Non mi dire che qualcuno dei tuoi amici è tornato sull’argomento dei venticinque anni di differenza tra noi.
Greta tolse la matita nera che le teneva su i capelli che scesero morbidi sulle spalle.
Ma no, tesoro.
Greta prese in mano il pacchetto delle sigarette e con un colpetto ne fece uscire una.
E allora cosa c’è che non va?
Lei teneva la sigaretta spenta in bilico tra le labbra, come se non avesse ancora deciso se accenderla oppure no. Rimise la sigaretta spenta nel pacchetto e lo poggiò sullo sgabello. Cominciò ad accarezzarsi il dorso della mano sinistra. Si sfilò la fede di matrimonio e tenendola tra l’indice ed il pollice la faceva oscillare.
Cosa stai facendo? Maurizio le andò vicino.
Greta si alzò dallo sgabello e poggiò la fede su uno dei tasti bianchi. Rimase in piedi, guardando il segno bianco che la fede tolta aveva lasciato sul dito. Iniziò a sorridere.
Assomigliava così tanto a mia nonna.
Cosa c’entra tua nonna? Greta, per favore.
Il viso di Greta era disteso e lo sguardo rivolto verso un punto indefinito della sala. Era tornata in quel furgone Wolksvagen bianco. La strada era una striscia di fango e buche. Quando scese fece fatica a restare in piedi con le sue scarpe di tela. Il furgone la lasciò proprio davanti alla casa. Era costruita con mattoni di terracotta ed intorno la vegetazione sembrava chinarsi a protezione di quella casa dall’intonaco malandato. Entrò spostando le canne che fungevano da porta. Il pavimento era di terra battuta. Una panca, due sedie ed un tavolino erano l’arredo. La vide sorridente, seduta su alcuni cuscini poggiati sopra a delle stuoie.
Ho incontrato un’anziana donna vicino a Sao Paoulo.
Una vecchia? Allora comincio a capire. Scommetto che era una di quelle santone che riempiono il Brasile.
Non sapeva nulla di me, eppure si è accorta che da bambina avevo delle verruche proprio qui sul dorso della mano e vicino alle unghie. E sapeva che mia nonna mi ci aveva fatto passare sopra una lumaca per farle sparire.
Soltanto suggestione. Greta quel genere di persone sono maestre nel farti credere quello che tu vuoi credere.
Cosa ne puoi sapere, tu. Aveva afferrato le braccia di Maurizio, con forza.
Quelle sono persone molto pericolose. Mi sorprende che tu ci sia andata. E senza dirmi nulla.
Se tu fossi stato lì con me… Greta mollò la presa e le braccia caddero lungo i fianchi.
Maurizio fece un lungo sospiro. Adesso vai a prepararti. Ti prometto che questa sera ne parleremo. Andò al telefono e premette il tasto della linea interna. Teofilo, prepara la macchina. Diciamo trenta, quaranta minuti. Grazie. Con la mano poggiata ancora sul telefono disse mi stanno aspettando, Greta. Non è una di quelle serate dove posso arrivare in ritardo.
Hai ragione. Ti stanno aspettando. Non puoi arrivare in ritardo.
Maurizio abbassò un po’ la testa per guardare Greta dritta negli occhi. Ci vediamo alla macchina.
Nessuno si accorgerà della mia assenza.
Questo lo dici tu.
E’ inutile che mi aspetti.
Sono sicuro che lo farai per me. Maurizio la guardò un’ultima volta. Lei rimase immobile con lo sguardo rivolto alle cornici sul pianoforte, simili a lapidi di un cimitero in miniatura.
Maurizio stava uscendo dalla sala quando Greta disse ancora una volta è inutile che mi aspetti. Lui si fermò, ma poi proseguì senza girarsi.
Greta sprofondò in una delle poltrone del salotto. Poggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi.
Il viso di sua nonna e quello di Annamaria, così si chiamava quella donna, si sovrapponevano, come un’immagine non perfettamente a fuoco. Gli occhi erano di un azzurro chiaro, come il cielo all’alba e la carnagione era del colore della sabbia. Mentre era in quella casa due bambini spuntarono dal nulla, con nulla indosso. All’inizio sembrarono impauriti nel vedere un’estranea, ma quando Annamaria gli sorrise, andarono da lei a darle un bacio e poi uscirono di corsa, ridendo e gridando.
Le hai avute proprio qui, ma se poi sono sparite è perché tu hai voluto che sparissero. Non c’entrano l’amore di tua nonna e la bava della lumaca. Parlava bene l’italiano, ma di questo Greta se ne rese conto soltanto dopo. Stai per vivere un periodo che ti sembrerà simile alla notte. Ma non avere paura, perché soltanto la notte si possono vedere le stelle. Greta stava per piangere, ma si trattenne. Sentiva di essere tornata piccola di fronte a quella donna. Cosa devo fare? Il pianto frenato le aveva reso la voce incerta.
Chiediti, ho vissuto? Ho amato? Quando sarai in grado di rispondere a queste domande la notte lascerà il posto ad un nuovo giorno.
Adesso alle sue spalle sentì dei passi leggeri.
Charity?
Sì, signora?
Porta le mie valige in camera da letto.
Sì, signora.
La protagonista, trovandosi nelle condizioni di riavvicinarsi al suo passato, prende consapevolezza del suo triste presente. Ma pare anche che non vada oltre questa acquisizione. Sembra rassegnata, da l’impressione di non avere la forza di dare una scossa alla sua vita. Le valige sono in arrivo o sono in partenza? Una storia dalle venature sibilline