Premio Racconti nella Rete 2020 “Il quadro” di Chiara Rocco
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Sei come un quadro storto che non riesco a raddrizzare.
Eppure il gancetto per attaccarti alla parete è centrato alla cornice. Mi sono raccomandata tanto con l’artigiano. Ho scelto personalmente il legno, l’intaglio e i chiodi per fissare gli angoli. Ho deciso il colore del passe-partout, lo spessore del vetro. Gli ho detto di lavorarci sù ma senza fretta, proprio per dargli il tempo di fare le cose fatte bene, con pazienza, perché è solo con questa prerogativa che si ottengono i risultati migliori. Insomma ho fatto tutto quello che, a mio avviso, dovevo fare per avere un lavoro ben fatto.
Ma niente.
Ti appendo e appena mi distraggo un attimo incominci a pendere.
Di solito verso destra, ma alcune volte anche a sinistra, come se quel muro avesse vita propria.
All’inizio mi avevi illusa che andasse tutto bene. Stavi lì, splendente e lucido sulla parete verde del salotto buono e passarti di fianco era un piacere, una soddisfazione. Con gli ospiti mi vantavo di quanto illuminassi la stanza, e di come fossi en pendant con tutto il resto della mobilia. “Guardate, guardate com’è bello, l’ho fatto tutto io!” Ma, lo confesso, io guardavo la cornice e non il suo contenuto. Perché a me interessava solo il tuo involucro e non quelle tue pennellate di colore che ti rendevano unico, particolare e che lanciavano un messaggio. Anzi, che mi lanciavano un messaggio. All’inizio parlava d’amore, di bisogno di tenerezza, di abbracci: “guardami, guardami sono qui”. E io ti sorridevo nei primi tempi, anche se con un’espressione appena abbozzata.
Ma poi , con il passare del tempo, quando le tue richieste erano diventate sempre più pressanti e il tuo messaggio urlava di rabbia e frustrazione, io non l’ho più voluto ascoltare. Perché tutto quello che non era perfetto a me non interessava. Perché non avevo tempo anche di spolverarti o di occuparmi di quelle piccole fenditure che si formavano col tempo sul legno. Perché non avevo voglia di passare il panno per lucidarti. Insomma, io ti avevo concepito perfetto ma nessuno mi aveva detto che senza un minimo di manutenzione, o un po’ di amore, nulla e nessuno rimane immutato. Pensavo ti bastasse questo, l’essere bello, ammirato.
E così tu quadro, hai incominciato ad attirare polvere e ragnatele, a perdere colore. Io non ti guardavo più, mi infastidivi. Mi infastidivi che non fossi più come prima. Le tue urla mi straziavano i timpani e per non ascoltarle, per non ascoltarti più, ti ho staccato e messo in cantina.” Così impari, impari a non essere come io ti immaginavo, bello, solo bello. Ti immaginavo senza le mille necessità, senza la voglia di un abbraccio, di una carezza, senza lo stare al tuo fianco nelle tue avventure, senza il volere un bacio sul ginocchio sbucciato o a ridere insieme a te”. Io ti volevo solo bello, e che fossero poi gli altri a occuparti di te.
Poi ho capito. Ci ho messo tanto, forse troppo, ma ho capito. E da quel momento le lacrime non hanno più smesso di scendere. Tu oramai avevi terminato di strillare, non avevi più niente da dire, da chiedermi, da pregarmi, da rimproverarmi. I tuoi colori si sono tutti mischiati. Avrebbero potuto prendere mille tonalità solari, al massimo color pastello e invece sono diventati grigi.
E io ho continuato a piangere. A piangere, cercando le chiavi di quella maledetta cantina, prendendo a spallate la porta dalla disperazione, fino a sfondarla. A piangere, lucidandoti e stando attenda a non rovinare ogni tua venatura. A piangere, spolverandoti con un pennellino sperando di non farti male, almeno fuori. Ma i colori sono rimasti grigi. Non c’è più traccia del giallo ocra, dei tuoi capelli. Del rosa pallido, delle tue guance. Del cielo indaco, dei tuoi occhi. Non c’è più traccia. E io non avevo capito. Non avevo capito cosa fosse l’amore fino a ora.
Oggi ti ho riappeso. Pendi, ma di questo non avevo dubbi. Sei rimasto grigio. Forse un giorno riprenderai i tuoi vecchi colori, forse, non so. Mi basterebbero anche appena accennati. Mi basterebbero per non piangere più.
Ma non importa. Ora continuo a guardarti, guardarti e ancora guardarti.
Guardarti, come non ho fatto mai, figlio mio.
Una bellissima metafora che racchiude il senso della nostra esistenza. Complimenti Chiara, mi piace molto.
Uno dei racconti più interessanti letti fino ad ora. Brava!
Molto bello. La frase finale, inaspettata e spiazzante, ci interroga e ci costringe a guardarci dentro. Complimenti
grazie Pasqualina, è stato molto doloroso scriverlo. Sono felice che abbia toccato i tasti giusti .
Grazie Valentina, molto gentile.
Ciao Ottaviano, pare che tu non sia stato il primo a essere stato spiazzato. 😉
Un racconto che ci porta dritti al naturale conflitto umano del possedere quello che non si vuole e volere quello che non si ha.
Bravissima…
Se tu volessi vedere e commentare il mio te ne sarei veramente grato, si intitola “la soltera”. Si impara sempre dai più bravi
Il rimpianto è forse una delle emozioni più dolorose che ci siano. Si percepisce nitidamente dal tuo racconto, ti travolge come un treno. Ottimo lavoro.
grazie Michela, comunque vada è stato un bel lavoro di psicoterapia! 🙂
Una narrazione bella e intensa, giocata tutto sul filo della metafora del quadro, originale e insolita! Mentre leggevo mi sono domandata se si trattasse dell’amore per un uomo o per il proprio figlio, mi si è insinuato il dubbio ed è stato bello continuare a leggere e non sapere bene di chi si trattasse. Hai generato un’ambiguità sul tema amoroso che tiene in pugno il lettore fino alla fine. Brava Chiara, un racconto inusuale e molto interessante!
grazie Margherita sei stata molto gentile. E’ un racconto che mi è uscito di botto e la penna non voleva più fermarsi. È stato un lavoro più di cuore che di testa. Comunque vada a me ha fatto bene scriverlo.
Bellissimo. Come madre ho trovato parte di me stessa in questo racconto profondo e intenso. Bravissima
Molto incisiva l’idea del quadro per rappresentare il rapporto con il proprio figlio, e la pendenza del quadro per rappresentarne l’unicità che tutti abbiamo ma che spesso non viene coltivata/apprezzata facendo sentire quel quadro strano e inadatto… complimenti Chiara!