Premio Racconti per Corti 2020 “Capelli neri” di Maddalena Frangioni
Categoria: Premio Racconti per Corti 2020“Buongiorno, è questa la Scuola Leopardi’”, disse l’uomo stretto al braccio della moglie, la mano al bambino piccolo e dietro di lui la ragazzina di 12 anni. “Si”, rispose il bidello della Scuola mentre stava per chiudere il portone. ”Sono qui per iscrivere mia figlia alla prima media”. “Fate silenzio, per favore”, aggiunse con tono quasi severo il bidello nel dare una rapida occhiata ai nuovi arrivati, “le lezioni sono cominciate da una buona mezz’ora, gli insegnanti sono impegnati e la segreteria ha molto da fare e il direttore è nel suo ufficio impegnato tra le carte. Entrate e andate là in quell’angolo del corridoio vicino al termosifone”. Chiuso il portone cominciò a pulire per terra, dopo il passaggio degli alunni il pavimento era pieno di macchie lasciate dagli anfibi, le scarpe da tennis tanto di moda. La famigliola intimidita dallo sguardo secco del bidello andò a schiacciarsi contro il termosifone come indicato.
“Credi che riusciremo a iscrivere nostra figlia? Nessuno ci ascolta. Sarà meglio tornare un’altra volta?”, disse la moglie sottovoce al marito. “No, cara, io non me ne vado, Aralya ha diritto a andare a scuola”, rispose il marito forte della sua decisione stringendo il braccio della moglie per confortarla. Il bambino, ignaro di tutto, sembrava contento per la macchinina ricevuta al mattino che ora lanciava nel corridoio della Scuola con la soddisfazione di vederla sfrecciare e andare lontano e finire tra le gambe del bidello intento a pulire.
“Stai bene?”, disse il padre rivolto alla ragazzina vedendola ferma e in silenzio pensando che stesse male. Aralya guardò il padre e sorrise. “Sto bene papà, sto bene”, poi non disse altro e si strinse nel giaccone per scaldarsi. La giornata autunnale era grigia, una leggera pioggia cadeva da qualche ora e metteva addosso dei brividi di freddo. Non era abituata al freddo, nella casa lontana sull’oceano dall’altra parte del mondo, lasciata un anno fa di notte con la famiglia, dopo un forte terremoto, c’era sempre il sole e per il caldo bastava un abito leggero. Le piaceva andare a Scuola, ma al suo paese dopo le elementari non c’era più scuola e le ragazze stavano a casa a aiutare le mamme con i fratellini. Aralya aveva dei sogni, ma sapeva quanto fossero incerti.
“Ciao, Salvatore”, disse l’insegnante al bidello camminando di fretta nel corridoio per raggiungere la sala grande dei professori. “Che ci fa quella gente? Cosa vuole?”. “Bene, grazie professoressa Bianchi. Sono arrivati stamani e il padre ha detto che vuole iscrivere la figlia a scuola”, rispose Salvatore appoggiato al muro per riprendere fiato. Tenere la Scuola pulita era un duro lavoro che non lasciava un minuto di riposo. “Bè non vorrei essere nei panni del direttore, di questi tempi sono tanti i ragazzi stranieri che arrivano nelle nostre scuole e non se ne può più. Spero che il direttore ci pensi bene prima di…Ma ora devo tornare in classe, a dopo Salvatore”. “Si, professoressa, a dopo, ma, staremo a vedere” e ripreso lo spazzolone tornò a pulire il pavimento. Più volte era passato davanti alla famigliola perché si spostasse per poter lavare bene negli angoli e, anche se rapidamente, aveva osservato i poveri cristi in piedi ormai da più di un’ora. Avrebbe voluto sapere qualcosa di quegli sprovveduti venuti quel giorno a iscrivere la figlia e avrebbe detto loro che in Italia da un po’ soffiava una brutta aria. C’erano troppi stranieri venuti a cercare un lavoro e non avendolo trovato vivevano nelle periferie più degradate delle città. Che se ne andassero prima che fosse troppo tardi. “Ha freddo signora?”, disse rivolto alla donna attaccata al marito per ripararsi dal rigore del freddo e dalle occhiate indiscrete. “Posso fare qualcosa?”, aggiunse, preso da pietà. Era un brav ’uomo lui, cresciuto nel rispetto degli altri, certo però nel lavoro, se c’era da lottare, allora non guardava in faccia a nessuno. “No, grazie”, rispose il marito, scusando la moglie che non capiva la lingua. Era una donna e al suo paese era l’uomo che si occupava della vita fuori casa della famiglia. “Ma quando ancora dobbiamo aspettare per essere ricevuti dal direttore?”, chiese l’uomo al bidello non avendo altri cui chiedere. “Ma, non lo so, vediamo, posso chiedere in segreteria, aspetti qui”, poi lasciato lo spazzolone si diresse in segreteria. Batté al vetro fino a quando una testa arruffata di capelli biondi spuntò dalla porta. “Che c’è Salvatore, che vuoi, lo sai quanto lavoro ho da sbrigare in questi primi giorni di scuola. Ma dimmi, allora?”. “Signorina Milena, guardi che in corridoio c’è una famiglia venuta per parlare con il direttore, sono lì da un bel po’ e mi creda mi fano pena. Se lei può, veda di fare qualcosa”. “Salvatore, ho capito, vedo, vedo, ma non ti prometto nulla. Ma dove sono?” chiese curiosa di vedere la famigliola. Si allungò fino al corridoio e nascosta dietro la colonna sbirciò. Rimase colpita nel notare da lontano la compostezza del piccolo gruppo a parte il bambino che continuava a giocare con la sua macchinina. Pensava, come era capitato altre volte, di trovare delle persone dall’aspetto poco raccomandabile, magari con abiti sporchi e i volti abbattuti, invece gli abiti perfetti e i volti curati la fecero ricredere. Aralya fece appena in tempo a sorridere alla donna mentre tornava in ufficio, era stato un atto spontaneo, in fondo se quella fosse stata la sua Scuola sarebbe stato meglio cominciare a fare conoscenza. In un momento tutto tornò al suo posto, il bidello a pulire, la segretaria in ufficio, gli alunni nelle classi, la famiglia in piedi in corridoio. Il bambino stanco di giocare si attaccò alla sottana della madre, aveva fame. “Dai, caro”, disse la moglie al marito, “il bambino ha fame, andiamo a casa torneremo un’altra volta”. “Impossibile”, disse il marito, “non avrò più un altro permesso di lavoro. O oggi, o mai più. Vedrai tra poco il direttore ci riceverà, sa che siamo qui”. Proprio in quel momento il bidello, lo straccio nel secchio, si diresse presso di loro. “Avanti, avanti signori, il direttore vi aspetta. Di qua prego”, a passo svelto li procedeva, non voleva far aspettare il suo superiore. Non sopportava sentirlo strillare quando era di cattivo umore.
Entrarono nell’ufficio, il direttore in piedi li attendeva. “Prego, prego, sedete. Scusatemi per l’attesa, ma il lavoro è tanto. Bene cominciamo”. “Ecco, direttore, i documenti””, disse il padre con voce un po’emozionata. “Vediamo”, disse il direttore, che presi i fogli cominciò a sfogliarli. A dire il vero non capiva molto tra timbri e firme e parole scritte in una lingua a lui sconosciuta. “Guardi l’ultima pagina, prego”, disse il padre, “lì c’è la traduzione”. “Grazie”. Il bambino annoiato si arrampicò sulla scrivania e cominciò a giocare con i timbri. La moglie. immobile sulla sedia, aspettava un segno dal marito. Aralya, come se fosse in un suo mondo, fissava il direttore. Da una sua parola sarebbe dipeso il suo futuro. “Veramente signore, qui mancano dei dati, non so, mi lasci consultare il registro e le ultime ordinanze, poi le farò sapere”, disse il direttore con aria saccente. Il padre sentì franare la terra sotto i piedi, ma, deciso a combattere fino in fondo la battaglia, rimase seduto e non accennava a andare, la famiglia stretta a lui. Seguì un lungo silenzio che sembrò un’eternità. All’improvviso quando nessuno se l’aspettava, il direttore suonò il campanello e subito il bidello comparve sulla porta. “Buongiorno direttore, ha bisogno?”. “Si, Salvatore per favore accompagni la ragazzina nella classe I B dalla professoressa Bianchi”. Sorpresa, felicità, commozione invasero il cuore della famigliola. Il padre, lasciata la sedia, si alzò e con deferenza: “Grazie direttore, grazie. Oggi per me inizia il futuro”, disse guardando negli occhi la figlia. “Non ringrazi me”, disse il direttore, “ma piuttosto sua figlia, sono state la sua grazia e la sua compostezza a conquistarmi. Al diavolo i documenti, sono sicuro che sua figlia sarà una brava alunna”. Non c’era più niente da dire, ogni parola superflua e inopportuna. Aralya seguì il bidello e nell’uscire mandò un sorriso al direttore. Il suo volto incorniciato dai suoi morbidi capelli neri splendenti come la notte fu la cosa più bella da vedere in quella uggiosa mattina d’autunno.
Conosco molto bene la situazione e sono un po’ preoccupata che Aralya sia capitata proprio con la professoressa Bianchi che si augurava che il direttore ci pensasse bene prima di … hai disegnato bene un quadro molto realistico, e la tua sensibilità traspare nella pena di Salvatore. Grazie per la delicatezza e la dignità con cui hai dipinto la famiglia, nella mia esperienza sono quasi tutti così quando si presentano a scuola, al contrario dei nostri conterranei che spesso creano problemi e avanzano pretese. Mi piace la tua scrittura, sembra semplice e immediata, ma sono sicura che ci hai lavorato molto per ottenere questo effetto. Brava.
Brava Maddalena,
un racconto molto pulito, scorrevole e pieno di speranza!