Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Saftiga” di Sabina Moretti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020


So di essere nata in una valle molto calda ma non so dove si trovi. Eravamo una grande famiglia di piccole piante verdi e grassocce, decorate con belle spine pungenti e i nostri piedini reticolosi ci tenevano salde all’arso terreno: tra noi ci chiamavamo sorelle. Per nutrirci bastavano quelle poche gocce d’acqua salmastra che giravano tra i nostri piedi e il
grande calore di una cosa che chiamavamo Sole.
Nella mezza giornata in cui il Sole ci riscaldava, c’era qualche cosa con il calore che ci aiutava a crescere e a diventare verdi e nell’altra mezza giornata non c’erano né il sole né l’altra cosa.
Li chiamavamo giorno e notte.
Un giorno si alzò un vento potente che fece tremare i nostri piedini reticolosi e il sole divenne freddo. Noi non conoscevamo il mondo senza calore e, sentendoci sperdute, annodammo con maggior forza i piedini le une con le altre, ma non fu possibile resistere al furore del vento. Prima la sorella di destra e poi quella di sinistra mi lasciarono, allora mi strinsi con le sorelle che avevo davanti, ma tutto fu inutile e in un gran turbinio di vento venimmo strappate alla terra natia e trasportate nell’aria. Non riuscivo a respirare e il gelo mi gettò nel torpore. Non so quanto sia durato, ma penso di aver volato molto a lungo.
So di essermi svegliata in un luogo sconosciuto, dove c’era solo acqua, ma era come sale disciolto. Con un piedino ho provato a bere e mi sono sentita male, disgustata da quel forte sapore. Avevo fame, sete e freddo e ho atteso la mia fine, galleggiando attaccata a un granello di terra rimasto tra i piedini.
Deve essere arrivato qualcuno che mi ha portata via di là, perché mi sono destata sentendo che mi muovevo, pur stando ferma. Ma anche lì non c’era calore, faceva freddo e tastando intorno scoprii che ero in un posto morbido. Chiamai il qualcuno dove mi trovavo Pesce, mi sembrava una parola semplice. Pesce era lungo e si spostava continuamente con movimenti che non conoscevo. Mi portava in alto e in basso, mi lanciava in avanti o in dietro e, con improvvisi rapidi guizzi, a destra e a sinistra. Con fatica mi sono abituata a non stare ferma e in quel buio divenni sempre più pallida.
Un giorno ho sentito che con Pesce scivolavamo dentro una cosa più grossa che ci stringeva e i movimenti che mi portavano in giro cambiarono. Non c’erano più l’alto e il basso o quel guizzare che mi dava tanto fastidio, ora si muovevano dritti o giravano per cambiare direzione, potevano essere lenti o veloci, ma erano tutti simili tra loro. In questo nuovo posto mi raggiungeva un leggero calore. Chiamai la mia nuova casa Animale, perché quel calorino mi faceva sentire viva.
Animale amava il sole e stava fermo ore e ore a farsi riscaldare. Un giorno da un piedino germogliò una sorellina, pensai felice che non sarei più stata sola, ma la sorellina faticava a crescere. Non poteva bastare il calore che giungeva da fuori, occorreva quella cosa che aveva il Sole! Volevo salvarla e, pensando a come uscire da quel luogo, provai a agitarmi per vedere se Animale mi sentiva. Mi accorsi che, se lo pungevo con una delle mie spine, la sacca dove stavo si agitava e si contorceva. Allora punsi le morbide pareti fino a quando la sacca si contrasse per spingermi verso l’alto e felice pensai che stavo per uscire. Invece ancora una volta cambiò tutto. Immersi in un gran rumore torbido, qualche cosa di duro ci colpiva da vicino, ci stritolava e, quando Animale fu spezzettato in tanti frammenti impastati con un liquido viscido, una contrazione ci spinse dall’alto verso il basso. Poi, il silenzio.
Mi trovavo in un’altra sacca più calda e più umida, allora mossi il piedino e capii che la mia compagna era scomparsa. L’angoscia di essere di nuovo sola e al buio mi fece desiderare di morire, ma non riuscii a decidermi di farlo. Mi rifugiai in un angolo soffice, che mi protesse dalle cupe viscide presenze che sentivo passare vicino e, nel cedere a un sonno profondo, dimenticai di nominare il nuovo posto dove mi trovavo.
Dormivo da molto tempo quando venni svegliata dal rombo di una valanga che invase il mio angolino, portandomi con lei in un viaggio spaventoso dove liquidi sconosciuti volevano bruciarmi. Mi ritrovai in una melma maleodorante che contrazioni violente volevano spingere ancor più verso il basso e mi difesi spargendo tutte le spine che avevo conservato da parte. Per tenermi salda, agganciai i piedini alla morbida parete che, con mio stupore, mi risucchiò. Persi i piedi, le spine, la mia consistenza, ma non persi la mia mente, ero ancora in grado di pensare e di ricordare, la mia Coscienza era intatta. Avevo solo cambiato forma! Ora facevo parte di qualche cosa diverso da me, caldo, che si muoveva e che vedeva il mondo che c’era fuori. Fu attraverso questa nuova casa che vidi per la prima volta quella cosa che aveva il sole e la chiamai Luce e questo nuovo ospite Il Corpo, perché il mio era cambiato.
Con il tempo dovetti accettare che Il Corpo e io eravamo ormai indivisibili. Mi ritirai in un punto morbido e grigio, che doveva essere in alto, perché sentivo che spesso mi portava verso il basso, ma poi tornavo sempre in alto. Il Corpo ed io passammo insieme molto tempo, abituandoci l’uno all’altra e, comprendendo di non poter più fare a meno di lui, mi dissolsi nella sua essenza grigia.
E una notte sognai.
Non sapevo cosa fosse un sogno e fu una rivelazione meravigliosa. Nel sogno potevo vedere, udire e parlare, come faceva Il Corpo e ritornare alla mia valle di origine. Così vidi per la prima volta che la mia valle era tutta dorata dalla Luce del Sole e ritrovai le sorelle, parlai con loro, mentre i nostri piedini reticolosi si univano tra loro gustando le gocce di acqua salmastra e felici guardavamo le sorelline nascere intorno a noi.
Anche Il Corpo ebbe una sorellina -lui lo chiamò figlio- e trovai naturale trasferirmi anche in questo Corpo Figlio. Il Corpo un giorno si sdraiò e non si svegliò più, ma io rimasi con il Corpo Figlio, salutando quella parte di me che si era addormentata con Il Corpo.
Fu cosi che iniziò nuovamente un lungo viaggio. Di figlio in figlio mi trovavo rigenerata e continuavo a essere un nuovo Corpo e a sognare.

Mi chiamo Svea, sono una modella, ho una carnagione bianca come una perla, i capelli tanto chiari da sembrare bianchi e gli occhi azzurri.
Da quando ho comprato questa casa sulla costa nordafricana ho smesso di sognare una pianura dorata affollata di piantine grasse. Sulla mia casa brilla sempre il sole e la luce è così forte che fatico a tenere gli occhi aperti. Qui posso stendermi sulla riva del mare ogni giorno, a scaldarmi al calore del sole. Infilo i piedi sotto la sabbia, scavandola quel poco che occorre per trovare un poco di umido e intreccio le dita dei miei piedi tra loro.
So che amerò l’uomo che vorrà intrecciare i suoi piedi con i miei sotto la sabbia assolata. Anche il mio nome è cambiato, ora tutti mi chiamano Saftiga, che nella vostra lingua significa Succulenta.

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1 commento »

  1. Certamente un racconto particolare che forse vuole essere una metafora della vita nel sottolineare la trasformazione che la natura subisce per cause naturali a volte improvvise e sconvolgenti. Il finale a sorpresa non passa inosservato. Interessante

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