Premio Racconti nella Rete 2020 “Patrizia e il vento” di Alberto Del Mela
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Ci sono giorni in cui non sapresti dire da che angolo arriva, giorni di vento forte che scavalla la collina, ruzzola giù per adagiarsi sul torrente Pesa, e poi per tutta la valle fino ai capannoni della zona industriale dove bussa alle pareti della fabbrica, è come fosse il vento che li porta i ricordi; e non prendermi in giro che la fabbrica ormai è un’altra cosa.
Ma se solo riuscissi a raccontare come ridevano i suoi occhi, qualche volta sotto la ruggine delle scale, quando scendevo giù in magazzino – la sua voce appena sporcata di terra e di campi, quando salutava me, me soltanto; o descrivere il modo in cui attenta e responsabile portava il muletto, collo forte, orecchini a cerchio immobili nel pomeriggio, sguardo che era il magazzino stesso.
Ma poi il vento cala, e quando cala lei sparisce. Bisogna dire che ultimamente il vento ha un suono e un colore strano, continua ad annunciare qualcosa di cui non interessa più niente a nessuno.
Patrizia non si muoveva mai a caso.
Per dire, che quando non c’è vento il vero colore dei suoi occhi, la reale dolcezza del suo volto mi sfuggono. Ma se puoi, lascia perdere gli occhi.
Per dire, che mi manca tanto la pratica che facevo quando c’era Patrizia, e mi spiegava dei cartoni da spuntare, seria e precisa, occhi ancora una tazza di caffè, occhi trecentocinquanta confezioni da cinquecento grammi termoretraibile, occhi fammi vedere la lista,
– e spùntala per benino pischello. Ma sì che mi piacevi, per quale motivo credi che abbia fatto sparire due bancali omologati regolamentari – incasinando l’inventario quel tanto che basta. Non l’avevo mai fatto. Per un altro no che non l’avrei fatto.
Imperatrice di Giù in Produzione, Madonna austera di Simone Martini – ma dai capelli corti corti, dal piumino senza maniche, per me Regina delle Galassie, per me li avevi messi via, i due bancali, perché ci appoggiassi sopra un materasso, a casa. Io che sapevo da Omero quanto fosse cosa utile costruirselo il letto, da poterlo riconoscere nel momento del bisogno – e in un qualche legno, perché il legno ti conservasse i sogni.
– Tu e i tuoi sogni, sì che mi piacevi, da pischello che eri, tutto preso dai giornali e dal sindacato, pieno di idee, scarso di fisico. Diverso, dagli altri. Te l’ho già detto che mi piacevi.
Nel vento che si alza di nuovo, ora come allora la risacca del suo sorriso asciutto. Risorge, mi riporta agli odori amplificati dalla eco del magazzino, cattedrale di polvere, cartone, luce lontana quasi divina di neon altissimi. E smettila, smettila di parlare.
Patrizia non parlava mai tanto per dire qualcosa.
– E allora non chiedere, non chiedere più, che ti risponderei cento altre volte ma sì che mi piacevi, pischello che non eri altro, con lo sguardo universitario ed il tuo bel completino giacca e cravatta.
Unico con la cravatta lì dentro, bava di vento, come se camminassi ancora il pavimento del magazzino, seguendo le strisciate del muletto, girandomi indietro se non altro per ricordare i compagni con cui si andava anche nelle disco fra gli ultimi dark a barcagliare, ma in fabbrica poi contavano soltanto la familiarità, la severità di Patrizia.
Mi hanno detto: come una Madonna di Simone Martini. Ma i capelli corti come li portava lei, l’aureola impolverata del cerchietto che li teneva, madonna eran quelli il capolavoro.
– Allora forse, non più; allora certo che non potevi capire. E non fare quella faccia, pischello che eri, venivi dalla città, eri in transito. Orizzonti rapidi, altre luci. Non ti torna neanche adesso, lo vedo, ma che vita sarebbe stata io lo sapevo, perciò non ti ho mai – com’è che si dice – aperto il mio cuore: non saremo mai stati gli stessi insieme, in quel magazzino, al paese,
ma ci pensi, tu ed io al paese al circolino, ma dài. O in questo mondo di cartone e graniglia, per ciò che può valere.
Il vento sulla Pesa corre e non invecchia mai. Io che mi riperdo dietro quelle parole forse neanche parlate; non mi torna, non mi torna neanche adesso, poi il vento cade, si strappano i fili della memoria. Alzati, vai a salutare il fantasma sulla passerella vuota.
Per dire, che io forse avrei dovuto scrivere la tua di storie.
Ma volevo solo essere il tuo spezzone di sogno, il tuo qualcun altro è stato qui; il tuo spengere la luce e non pensarci più.
Ha l’andamento e il fascino di una poesia. Le immagini sono cariche di pathos e dipinte di nostalgia. Molto bello.
Uno racconto molto bello, che sa di poesia, come ha detto anche @giannavalente. La storia di un amore giovanile, impossibile, che vede la dolce nostalgia dell’uomo infrangersi contro la consapevolezza responsabile della donna. Un piccolo gioiello, bravo!
Un racconto che pesca nella memoria di un vissuto lontano dove il vento fa risuonare antiche voci. Nostalgia e sogno. Piacevole
troppo gentili, grazie, grazie davvero !