Premio Racconti nella Rete 2020 “Buon compleanno, Melania!” di Matilde Sciarrino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020“Melania, svegliati! Buon compleanno!”
“Agnese, che ci fai qui? Come sei entrata? E Bruno, dov’è?”
“Mi ha fatto entrare lui. Ci siamo incrociati all’ingresso. Lui stava andando al lavoro. Sono passata solo per dirti che stasera veniamo a festeggiare. Facci trovare la torta con panna e fragoline, mi raccomando, quella che piace a tutti noi! A dopo!”. Un ciao sbrigativo e scompare in dissolvenza.
Mi sono dimenticata del mio compleanno. Strano. Di solito organizzo la festa almeno una settimana prima. E Bruno, poi, esce senza farmi gli auguri. Poverino, non mi avrà voluto svegliare! Per fortuna oggi non devo andare al lavoro e l’appartamento è pulito e in ordine.
Mi alzo e , come sempre, scosto la tenda per guardare fuori. E’ coperto. Un passante si stringe nel cappotto antracite e apre l’ombrello. No…piove! Una doccia veloce e un caffè e sono sveglia. Giacca, cappello in testa e tanti giri di sciarpa attorno al collo e sono pronta per uscire.
Scendo le scale a due a due. Una sferzata di vento gelido mi accoglie in un mondo altrimenti silenzioso. Tutto è grigio tranne l’ammasso di nuvole che copre il cielo come una bianca tovaglia di Damasco. Viene giù una pioggerellina leggera. Alzo il cappuccio della giacca a vento. Credo che la pasticceria più vicina sia in via Trieste. Mi fermo un attimo per orientarmi: devo girare a destra.
Cammino lentamente. C’è un’atmosfera ovattata. Per strada nessuna auto. Sui marciapiedi poche figure imbacuccate. Sembrano vagare senza meta. L’insegna ‘Dolce Tentazione’ è spenta. In vetrina leggo il messaggio scritto a stampatello con un pennarello viola: CHIUSO PER LUTTO.
Mi tocca andare in via Genova. Anche le torte della ‘Pasticceria Elisir’ sono buone. Entro. La commessa, camice bianco e braccia conserte, sembra una statua di marmo fra tavolini e sedie d’acciaio: non dice nulla, non si muove. Guardo il bancone. E’ vuoto. Completamente. E’ vuoto anche il frigo delle torte gelato. Mi sarei accontentata di una di quelle.
Esco. Per poco non scivolo. Non c’è più vento, ma sta nevicando. Mi dirigo verso via Palermo. La pasticceria ‘Serafini’ fa angolo con via Roma. I fiocchi sono fitti fitti, bianchi bianchi. Sembrano volersi fermare a mezz’aria, ma è solo una breve sosta, poi si lasciano andare per terra. Da lontano mi accorgo che la porta della pasticceria è chiusa. Sarà per via della neve. Mi avvicino lo stesso. Anche qui trovo un cartello: ‘Chiuso per ferie. Ci vediamo il 23!’ C’è pure una faccina che sorride e strizza un occhio. Fa niente.
Mi dirigo verso il centro. A Porta Venezia c’è un laboratorio di pasticceria. Non ricordo il nome, ma è vicino alla gioielleria ‘Silver Key’. Lo vedo. E’ lì, sulla destra. Scendo due scalini. Davanti a me il portone di legno bianco decapato con un grande avviso: ‘Cedesi attività’. Il timbro dell’ufficio affissioni del comune è sbiadito e la marca da bollo sta per staccarsi.
Riprendo a camminare. Direzione Piazza Milano. Lì c’è la migliore pasticceria della città. Pazienza se è la più cara. La neve adesso forma un manto bianco sulla strada e sui marciapiedi. Procedo ancor più lentamente. Di passanti nemmeno l’ombra. Credo di essere l’unica persona in giro stamani. Se non fosse per la torta me ne starei al calduccio sul divano con un bel libro in mano. Oppure sarei ancora sotto le coperte a dormire. Mannaggia ad Agnese. E al mio compleanno. Ah! Un’idea!
Devio a destra e imbocco vicolo della Cancelleria dove c’è il bar del Signor Candido. Qui io e Bruno veniamo spesso a fare colazione la domenica mattina. La serranda di alluminio è abbassata. C’è un cartello appeso. E’ protetto da un foglio di plastica. Le gocce d’acqua che lo ricoprono mi permettono di leggere ben poco. In alto si vede l’emblema della Repubblica Italiana e la scritta Ministero della Giustizia. Poi non riesco a leggere più nulla. Solo quello che c’è scritto in basso, in neretto: ‘Locale sottoposto a sequestro preventivo’. Cosa significa? Cosa sarà successo al Signor Candido? Boh!
Ritorno sui miei passi. Metto i piedi nelle mie stesse impronte. Solo in direzione contraria. Se solo mi fossi portata l’ombrello adesso non avrei la giacca a vento inzuppata. Anche sciarpa e cappello sono bagnati. Cerco i guanti. Non ce li ho. Cerco di accelerare il passo, ma, invece, rallento ancora. Ma quella è una pasticceria? Sì, Antica Pasticceria Fratelli Bianchin. Anche qui c’è una avviso: ‘ Ci siamo trasferiti in via….’ Non leggo oltre, non mi interessa dove se ne sono andati.
Raggiungo a fatica la piazza. Deserta anche quella. Ma la pasticceria sembra aperta. Le luci sono accese. Apro la porta ed entro accompagnata dal suono stridulo di un campanello. Dietro al bancone compare una commessa, una signora alta e magra dai capelli brizzolati. Da dietro la montatura rotonda in metallo grandi occhi di ghiaccio mi guardano interrogativi. Nella vetrina c’è solo una grande torta rotonda, con una montagna di fragoline al centro e tante fragole tutte intorno che ricoprono quasi per intero l’abbondante strato di panna. La indico con l’indice della mano destra. Lei alza la mano sinistra e muove le sue cinque dita come su una tastiera. Vorrà dire che pesa cinque chili? O che costa cinque euro? Oppure cinquanta? O cinquecento? Peso o prezzo fa lo stesso. Pago con la carta di credito. Non so neanch’io quanto. Ho la mia torta. Finalmente. La reggo con entrambe le braccia. Pesa. E anche tanto. E’ fredda, freddissima. Mi si stanno gelando le mani.
Devo tornare a casa il prima possibile. La neve è tanta. Per andare avanti devo alzare le gambe. Ad ogni passo rischio di scivolare. Se solo avessi controllato il meteo, come faccio sempre, adesso avrei i doposci ai piedi. Faccio così tanta fatica che non sento più freddo. Sole le dita sono fredde. Delle mani e dei piedi. Avrei anche voglia di togliermi la giacca, ma non posso. Cammino e cammino. Anche sui tetti c’è una spessa coltre di neve. E io cammino. Perdo la cognizione del tempo. Mi sembra di camminare per ore. Sono così stanca che non sento più le gambe.
Arrivo a casa. La porta è aperta. Agnese mi viene incontro. “Ma siete già arrivati?” Poso la torta sul tavolo del salotto. Ci sono tutti. Fra baci e abbracci non capisco più nulla. “Bruno, dov’è?” Non faccio in tempo a chiederlo che esce dalla cucina con una enorme torta panna e fragoline con le candeline accese. Scatta il rituale: canzoncina, soffio, applausi, coro di auguri. Ancora qualche bacio dimenticato. Bruno taglia le torte, prima l’una, poi l‘altra. “Ma perché hai comprato anche tu la torta?”. “Tu ritardavi, non sapevo che fine avessi fatto. Così sono andato dai fratelli Bianchin. Sai che si sono trasferiti in un locale qui vicino, proprio dietro l’angolo, a sinistra? Ho preso la torta più grande che avevano! Fragola e panna, come piace a te.” “E a tutti noi!” fanno coro gli amici. E ridono, ridono al punto che le loro facce si deformano, prima si allungano e poi si allargano e viceversa. “Mangia la torta, mangia!” Agnese continua a portarmi una fetta di torta dopo l’altra. Non ce la faccio più. Sono piena fino al collo di pandispagna, panna e fragoline. Seduta sul divano, vedo solo ciuffi di panna volteggiare davanti ai miei occhi. “Ancora un’altra fetta e poi ti diamo il regalo!” Il regalo, sì, voglio aprire il regalo. Agnese ride e ride. “Dopo questa fetta, dopo, dopo!” Ridono tutti. Ed io mangio, mangio, mi strafogo. Non riesco più ad inghiottire. Ho la bocca piena e le guance gonfie. Respiro a mala pena. La panna riempie il mio corpo come la gommapiuma le mie bambole di pezza.
Odore di caffè nelle mie narici. Improvvisamente.
“Melania, amore, svegliati!”
“Il regalo, devo aprire il regalo”
“Ma quale regalo?”
“Il mio regalo di compleanno”
“Amore, svegliati! Oggi è il 14 agosto e il tuo compleanno è il 16 dicembre”
Le mie palpebre sono un sipario che non riesco ad alzare. Sorseggio il caffè con gli occhi ancora chiusi.
“Ma è dolce! Lo hai zuccherato? Lo sai che lo prendo amaro.”
“Sì, lo so. Ma ci ho messo solo un po’ di panna fresca che ti piace”
“No, la panna no, la panna no!” grido senza contegno.
Apro gli occhi e vedo lo sguardo esterrefatto di Bruno.
Un vero incubo, lo riconosco è tremendamente realistico e familiare. Una storia divertente Matilde, scritta bene.
Grazie, Gianna! E’ il primo racconto che pubblico su Racconti nella Rete e il tuo commento è molto incoraggiante!