Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconto nella Rete 2020 “Appuntamento con il destino” di Michela Albanese

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Corre il tempo. Scorre veloce. Come i pensieri. “Sono in ritardo”. L’impermeabile color crema con i bottoni grandi. Glielo aveva comprato sua madre che non aveva 15 anni. Quel corpo così esile e fragile. Non era cambiato, no. Caduta in un paio di pantaloni marroni e ai piedi gli stivaletti col tacco largo e basso. Sempre gli stessi. Una camicetta bianca e il grande orologio da polso. Quello di nonno. Con il cinturino rovinato e le ore segnate in numeri romani. Sbuffa e si tocca i lunghi capelli crespi. Come quelli della Zia Dotty, solo che i suoi erano color oro, mentre a lei erano toccati questo indefinito color corteccia. Che poi gli alberi non è che li amasse tanto. E nemmeno gli appuntamenti. Ma oggi sarebbe andata così. Il rumore dei freni del treno si avverte già dalla strada. Tentenna. I ricordi si affollano e poi quell’ odore che le ricorda suo padre, di ferro misto a grasso. Chissà cosa avrebbe detto di quella scelta. Lui che non lasciava mai nulla al caso. Lui che calcolava tutto. I soldi. Ma anche il tempo.

Se ne era andato in un battito di ciglia. Perché la vita va così: una sera ti siedi a tavola, metti in bocca un cucchiaio di minestra, stai ancora pensando ai discorsi della tua giornata e a quello che farai domani. E poi domani non arriva ecco e tu resti lì, con le mani a stringere il petto, e gli occhi a osservare l’infinito. Che chissà se hai avuto paura o ti sei accorto del tuo passaggio nel mondo. Tutte le cose a cui pensavi, tutti i tuoi problemi. Svaniti. Ma restano le persone che ti hanno amato. Come tua moglie. Stanca e sola.

O tua figlia per esempio.

Ed eccola lì, davanti alla stazione con il suo impermeabile color crema con i bottoni grandi. Il cappello non ce l’ha e il vento sta pensando bene di scuotere la sua chioma. Non è freddo. Nelle città di mare l’autunno è mite e il sole scherza con la pelle solleticandola. La brezza porta i rumori e le voci. “Quanta gente”. Non è facile, no. L’attesa rende tutto dilatato e complesso. Ha una borsa in mano, grande, di cuoio. La tiene stretta incrociando le mani sui manici. Le sue mani. Così piccole e chiare, così dinoccolate e stanche. Cuce. Lei cuce soprattutto la sera. Quando la notte incalza e il cuore batte forte nel petto. Sembra che la stanza diventi piccola piccola. E lei accende le luci. Respira. Va davanti allo specchio. Indossa le ciabatte con il coniglio. Bianche. Tocca alcuni oggetti, si bagna il viso. Torna alla realtà. E cuce. Guardandosi allo specchio e provando a ricordarsi che cosa ha lasciato di incompiuto. A volte la notte si riaddormentava così. Con in mano un pezzo di stoffa e la sua gatta Molly stiracchiata sulle gonne a sbuffo.

Ed eccola li, quella strana piccola donna. Con l’aria malinconica e le mani dinoccolate. Un buon odore e una sciarpa marrone. Con una minuscola casa a piano terra a cui aveva dato un nome. Con i quadri appoggiati alle pareti frantumate da tutti i suoi sogni. A dirimere la solitudine di un’eta adulta precoce.

Mentre mette piede nella stazione pensa a quanto la vita sia una concatenazione di eventi non prevedibile. E tutte quelle voci e quelle strade che si incontrano. I binari, quelli reali e quelli della vita, che ognuno ha il proprio che corre lungo un filo sottile e si scambia e si interseca senza mai appartenere a nessun altro.

Si mette seduta. La panchina è in cemento. Fredda. Le gambe diventano due mattoni. Fischiano i treni. Le ricordano suo fratello. Che fischiava quando andava in bicicletta insieme a lei, a scuola. Così lontano ora. Ad appartenere ad un altro paese. A combattere per la pace. Cercare la pace facendo la guerra, ma senza farla. Ecco.

“Sta salendo la nebbia”. I pensieri si offuscano mentre un rumore simile a un cigolare risuona nell’aria densa. Un piccolo carrello con sopra delle bevande e degli snack che sembra muoversi da solo. Un piccolo uomo lo spinge, alto poco più di un bambino.

“Come l’uomo delle pizzette al mare!” Ci andava sempre al mare. Con Teresa. Teresa era una sirena con gli occhi azzurri e i capelli neri come la notte. Era l’azione prima di ogni suo pensiero, colei che sapeva senza dire. Inforcavano le biciclette e arrivavano al lido all’ ombrellone, dalle loro mamme, che erano già li dal mattino. O da tempo immemore. Come cristallizzate sotto a quel sole cocente. Lei e Teresa ridevano sempre. In mezzo alle onde, sopra al lettino, dietro agli scogli. Dietro agli scogli. Lei e Teresa facevano lunghe bracciate e si nascondevano proprio li. Dicevano di aver lasciato un pezzettino del loro cuore e che lo dovevano andare a ripescare dentro ad una conchiglia. Dietro agli scogli. Lei e Teresa si baciavano e scoprivano l’amore. Poi tornavano a riva da quelle mamme bruciate dal sole.

Non che poi non avesse avuto degli uomini. Ce n’erano stati due.

Con il primo aveva creduto che l’amore fosse la risposta ad un grande interrogativo. La risposta.Al senso del suo divenire. Su un foglietto in mezzo alle briciole di un panino. Aveva scritto un giorno “Si, ti amo.”Senza che questo comportasse alcuna modifica al suo universo emotivo.

Con il secondo aveva compreso quanto desiderare di possedere l’amore sia l’antitesi stessa del sentimento. Conosciuto su una banchina , in mezzo al pesce . Avevano vissuto un amore dal sapore del sale. Con il retrogusto di qualcosa in decomposizione.

E ora lei e’ proprio lì. In quella stazione ad attendere che si fermi il suo Destino.

Stringe così forte le mani attorno ai manici della sua borsa di cuoio, che le dita le diventano scure e le iniziano a formicolare. Inizia a sudare e le gocce le si fermano sul petto, vicino al cuore. Ed ecco in lontananza una locomotiva. Scura. Si avvicina lentamente nascondendo dietro a sé una serie di vagoni. Sono 4. I vagoni. Chissà il suo destino dove si trova. Cosa sta pensando. Cosa sta sperando.

Lei sente i suoi desideri vorticare. Il coraggio di attendere che ora pulsa forte nelle vene. Sono passati diversi anni. Il tempo si dilata. Ci si sente bambine e un attimo dopo donne. Così.

Si alza in piedi. Stringe la borsa. I capelli le si attaccano alla fronte. Respira sempre più veloce. La gola si chiude e non riesce a deglutire. Tutta quella felicità. E poi qualcuno si affaccia al finestrino del primo vagone. Si volta e la guarda. Ride.

Lei inizia a correre verso il treno, lungo il binario mentre la locomotiva arriva a regalarle il suo Destino.

Poi quell’uomo piccolo, alto poco più di un bambino e il suo carrello con le bevande e gli snack. Lei inciampa. La borsa le vola dalle mani e si apre spargendo a terra centinaia di conchiglie che si mescolano al cibo e alle bevande gasate. 

La locomotiva è arrivata. Proprio mentre lei inciampava su quel binario. Che non sembrava essere il suo, ma invece è così che stupisce la vita. Un urlo, un impermeabile color crema con i bottoni grandi. Teresa che apre la bocca e sembra uscirle il cuore. E invece le si pianta uno scoglio dentro.

Molly miagola dietro ad una nuova speranza, nessuno arriverà a sfamarla stasera.

C’è odore di sale nella piccola città di mare. La nebbia non dirada. Una donna è andata incontro al suo destino.

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2 commenti »

  1. Un bel racconto che si legge con piacere per le diverse immagini che si accavallano le une vicine alle altre a formare il tutto di un’esistenza, quella di Teresa dominata dal destino, misterioso fino alla fine.

  2. Il tempo scorre velocemente, ma poi si ferma d’improvviso dove e quando il destino ti ha dato l’appuntamento senza comunicartelo perchè, se lo sapessi, non ci andresti. Belle le descrizioni, pennellate di colori e dettagli appena accennati. Bello il ritmo, incalzante fino al precipitare della situazione. Però, quell’omino del carrello……….che rabbia! Complimenti, Michela!

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