Premio Racconti nella Rete 2020 “I bei tempi andati” di Maria Cristina Morini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020L’ultima campanella. Coraggio. Sta per finire anche questa mattinata e, per ora, tutto bene. Dopo le scarpe da ginnastica e la borsetta buttate dalla finestra, dopo il libro di latino riempito di gel, dopo il maglione riempito di bigliettini stupidi sulla schiena durante la lezione ( sentivo le loro mani, ma non potevo girarmi), dopo che hanno detto a tutto il liceo di chiamarmi fogna, dopo che hanno cercato di coinvolgere il più bel ragazzo del liceo ( perché ho detto che piaceva anche a me?) per farmi un orribile scherzo…
Sono stata brava a diventare invisibile, oggi, nessuno si è accorto di me. Non se ne accorge mai nessuno, del resto. Non sono così brava a scuola da destare l’ammirazione dei professori, non sono assolutamente portata per gli sport, per cui l’ora di ginnastica non mi aiuta certo ad acquistare popolarità, non sono bella come la Barbie, sono anche piuttosto timida, so solo tradurre molto bene greco e latino…forse è per questo, o per tutto insieme, che i miei compagni non mi danno chances. Nessuna. E’ meglio che non mi si veda, che io non dica niente, che non cerchi di ribellarmi, perché potrebbe essere peggio… Quindi meglio così. Nessuna nuova ferita, nessuna nuova cicatrice.
E’ stata una giornata positiva, dopotutto. Ma non sono contenta. Da tanto tempo non so più bene cosa significhi essere contenta, l’unica contentezza per me adesso è l’assenza di dolore; posso dire che, se mi lasciano in pace, sono contenta. Eppure detesto essere ignorata, odio la mia solitudine forzata alla quale sono costretta solo per non stare male, detesto la prigione invisibile dentro la quale devo difendermi e dalla quale vorrei uscire, ma non so come. Vi giuro che ho tentato.
Anche oggi, dopo trentanove anni, suona ancora la campanella, per me. Entro a scuola, tra la folla degli studenti che fa ala alla mia aura professorale e alla mia età ( se i ragazzi si scansano è perché si vede che sei un po’ vecchia), con una gioia nuova. I ragazzi di oggi sono una sfida più grande ancora dei miei vecchi compagni, ma sono sempre qualcosa di nuovo, di fresco e a loro devo molto, perché tra loro io ho recuperato una cena di quinta mai fatta, il viaggio d’istruzione di quinta saltato per il timore di quello che avrebbero potuto farmi, ho assaporato un bel clima classe, ho parlato per chi non riusciva, non voleva, non sapeva come fare…credo anche di aver salvato qualcuno dal rischio di chiudersi nella mia stessa vecchia prigione. Io sono una donna felice e libera, oggi. Io non sono mai riuscita a dirmi, come hanno cercato di farmi credere i miei compagni, che non valgo niente, che non ho chances, che non sono niente, che in me non va bene niente…se glielo domandaste negherebbero certamente ogni cosa, anzi credo che neppure si ricorderebbero di me…
Non vi ho già detto di come sono stata brava a diventare invisibile? E così, dopo tutto, ho saputo conoscere anch’io la felicità, nella mia presunzione, forse, che non poteva essere vero quello che il mondo dell’adolescenza mi aveva restituito, che io ero meglio di come mi consideravano, che io avevo i loro stessi diritti, tra cui quello di essere contenta… La prigione è aperta, adesso, è lontana. Io sono una donna libera e felice. Le sensazioni di quella vita prigioniera, però, le sento ancora tutte nel fondo dell’anima. Tutte. E posso contare tutte le cicatrici, quasi invisibili ora, ma ancora al loro posto, dove la lama della cattiveria ha fatto più male. Ho però voltato le spalle, per sempre, a quella scala di pochi gradini che portava all’ingresso della scuola e non sento più la fatica che dovevo fare per salirli… Sono assolutamente d’accordo con quelli che rimpiangono la gioventù, che ripensano ai bei tempi andati! Sono belli, bellissimi direi, e soprattutto perché se ne sono andati, davvero.
La chiusura, soprattutto, è da applauso. Molto “vero” quello che hai descritto, in molti casi.
Due punti di osservazione per lo stesso terribile dramma, sentirsi invisibili. Due visioni, quella dell’adolescente che ha subito l’indifferenza del mondo, e quella della donna che vive la consapevolezza della sofferenza che tutto ciò provoca e non vuole che succeda ancora. Due piani su cui procede la narrazione per toccare un tema forte e quanto mai attuale. Brava!