Premio Racconti nella Rete 2020 “Taito della Foresta Blu” di Francesco Gozzo (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020C’era una volta un piccolo folletto di nome Taito che viveva nella Foresta Blu. Era chiamata così a causa del colore delle foglie degli alberi Kinso che si stagliavano alti alti nel cielo, confondendosi con la volta celeste screziata dalle nuvole che, come pecorelle, correvano sospinte dal soffio dei venti.
Le lunghe foglie degli alberi Kinso si potevano distinguere dal cielo grazie alle venature blu scuro che le percorrevano come un reticolo pulsante di vita, all’interno del quale scorreva la linfa: il nutrimento più prelibato dell’intera foresta.
I folletti si impegnavano notte e giorno per prendersi cura degli alberi Kinso, erano i loro guardiani e protettori, inoltre andavano matti per la loro linfa che consideravano un prezioso nettare. Spesso, nelle notti di luna piena prima delle feste, ne spillavano qualche damigiana per poi brindare durante i banchetti.
Avevano un grande rispetto per la natura e consideravano sacri gli alberi Kinso, per questo motivo li tenevano puliti e splendenti; si assicuravano che avessero tutto il nutrimento di cui avevano bisogno e facevano in modo che prendessero tanto sole per crescere alti e forti!
C’era tanto da fare e ogni giorno i folletti si mettevano all’opera all’alba. Bisognava portare l’acqua alle radici e per fare questo era necessario scavare ogni giorno nuovi tunnel poiché queste crescevano e andavano sempre più in profondità, poi bisognava lucidare il tronco dell’albero e pulirlo dal muschio e dai funghi, inoltre occorreva accudire i boccioli da cui sarebbero nate le nuove foglie ma uno dei compiti più ambiti era quello di massaggiare i rami più sottili vicino alla volta azzurra e lucidare le foglie alla luce del sole.
Taito avrebbe tanto voluto recarsi in cima agli alberi per prendersene cura e passeggiare sulle foglie blu alla luce del sole, ma non poteva… a differenza degli altri folletti che possedevano due coppie di ali fatate, lui era nato senza.
Mentre gli altri erano in grado di librarsi nell’aria, lasciandosi trasportare dalle correnti ascensionali, battendo le lucide alucce che riflettevano la luce del sole in riflessi argentati, Taito era costretto a rimanere a terra, camminando tutto solo tra le radici e le foglie cadute nel sottobosco, così lontano dalle volte azzurre dove gli altri giocavano a rincorrersi nell’aria e si stendevano a riposare sulle larghe foglie degli alberi Kinso.
Taito si sentiva molto solo, non aveva amici e gli altri folletti lo prendevano in giro chiamandolo “formica” o “senz’ali”. Durante i giorni più tristi soleva camminare nella foresta senza meta, domandandosi come mai gli altri piccoli folletti fossero così cattivi con lui: non era colpa sua se era nato senza ali!
Non potendo giocare a fare capriole nell’aria aveva trovato passatempi diversi: correva con le formiche, gareggiando intorno agli alberi su circuiti fatti da rami caduti e tronchi cavi, passava le sere a cantare con le cicale al lume della luna quando il cielo era pieno di stelle e si divertiva a costruire tutto quello che gli veniva in mente usando rametti, foglie e sassi.
Ogni tanto saliva su uno degli arbusti che crescevano nel sottobosco, prendeva una foglia e, tenendone ben strette le estremità tra le mani, saltava nel vuoto usandola come paracadute. Il volo era breve, arrivava a terra dopo pochi secondi, ma aveva trovato una foglia dalla forma perfetta per raccogliere le flebili correnti d’aria che di tanto in tanto soffiavano nel sottobosco e, planando, poteva arrivare lontano. In questo modo riusciva a farsi un’idea di come fosse volare, certo, non era proprio la stessa cosa ma era ciò che vi si avvicinava di più.
Fu mentre si arrampicava su uno di questi cespugli, con la sua foglia da paracadutismo, che gli venne l’idea: poteva costruire un sistema di scale che gli permettesse di arrampicarsi sugli alberi!
Saltò dall’arbusto planando grazie alla foglia che stringeva tra le mani e mentre l’aria fresca gli passava sul viso come una carezza si complimentò con sé stesso per l’idea appena avuta.
Era primavera, la stagione perfetta per iniziare a costruire e quando giunse a terra si mise immediatamente al lavoro: non sarebbe stato facile e ci avrebbe messo tanto tempo ma poteva farcela!
Raccolse legnetti e bastoncini in gran quantità e ammonticchiò le foglie cadute a una a una fino a farne il mucchio più grande che avesse mai visto.
Sfilacciò le fibre delle foglie per poi intrecciarle e ricavarne delle corde robuste, usò quindi le corde così ottenute per legare i rametti e costruire una scala che adagiò sul tronco di un albero, la fissò con dei paletti per evitare che si muovesse e continuò a renderla sempre più alta.
Gli altri giovani folletti, incuriositi dalla sua opera, lo osservavano e lo canzonavano, “la formichina vuole salire sull’albero” dicevano e aggiungevano altre cose cattive dichiarando che avrebbe dovuto lasciar perdere, che non avrebbe mai potuto farcela e che non era nato per volare come loro e per questo motivo doveva rimanere per terra.
Ma Taito non prestò loro ascolto e non si arrese.
I mesi passarono e le costruzioni diventavano sempre più alte ed elaborate. Mentre la primavera giungeva al termine lasciando gradualmente il posto al calore estivo, Taito riuscì a raggiungere i primi rami, quelli più spessi e forti. Quì costruì un fortino dove giocare e lanciarsi con la sua foglia-paracadute da molto, molto più in alto di quanto potesse fare dalla cima del più alto degli arbusti e di conseguenza era anche molto più divertente!
Ma questo non gli bastava e durante l’estate continuò a costruire finché, prima ancora che la foresta si tingesse dei colori autunnali, ebbe raggiunto le fronde più alte e collegato ogni ramo.
Gli altri folletti, vedendo la sua opera completata, smisero di dirgli che non sarebbe mai riuscito a costruire quella complessa rete di scale, ponti, passaggi e fortini, ma ancora non gli permettevano di giocare con loro e continuavano a comportarsi male chiamandolo “Terricolo”, il folletto di terra. Gli dicevano che tutto il suo lavoro era stato inutile perché c’erano già loro a occuparsi dei rami alti e delle fronde degli alberi Kinso, loro che potevano volare e raggiungere facilmente anche la foglia più alta dell’albero più slanciato. Gli dicevano che avrebbe fatto bene a tornare a terra prima di cadere e farsi male, non era adatto ad accudire gli alberi, sarebbe stato meglio se fosse tornato a coccolare i germogli delle piante neonate.
Taito aveva sperato di riuscire a farsi degli amici tra i folletti e rimase molto deluso nel sentire tutte queste cattiverie. Tuttavia, decise di concentrarsi sugli aspetti positivi della vicenda: ora poteva salire su un albero!
Grazie alla sua foglia-paracadute poteva sfrecciare nell’aria attraverso i rami degli altri alberi a una velocità che non pensava sarebbe mai riuscito a raggiungere. Sentiva il vento sul viso e apriva la bocca lasciando la lingua a penzoloni, godendosi la planata.
La cosa che lo rese più felice era di poter finalmente prendersi cura delle lunghe foglie a tesa larga dell’albero Kinso. Certo, coccolare i germogli degli alberi neonati era bello, ma quando era salito su una delle foglie per la prima volta nella sua vita era rimasto a bocca aperta: gli sembrava di star camminando su un lago tanto era intenso il colore della foglia e sotto la superficie era possibile vedere il reticolato blu scuro all’interno del quale scorreva la dolce linfa.
L’estate finì e le foglie degli alberi della foresta cambiarono colore passando da verde a varie sfumature di rosso, giallo e arancione. Solo le foglie degli alberi Kinso rimasero dello stesso colore. D’autunno molte foglie cadevano dagli alberi e Taito venne sommerso da nuovo materiale di costruzione colorato che usò per decorare i suoi fortini.
Poi, in un pomeriggio d’autunno, venne la tempesta.
Il cielo si coprì di nubi nere cariche di pioggia e tutto divenne buio come se fosse notte. I venti s’innalzarono e ululavano tanto forti da sembrare lupi e la pioggia iniziò a cadere, dapprima piano, poi sempre più forte percuotendo gli alberi e le foglie facendo un frastuono assordante.
I folletti non potevano volare nella bufera, il vento li avrebbe fatti ruzzolare via chissà dove, per cui fecero quello che facevano di solito nei giorni di pioggia, quando venivano colti dal forte vento mentre si prendevano cura di un albero Kinso: si rifugiarono sotto le sue larghe foglie aspettando che la tormenta finisse.
Taito era tra loro, si era arrampicato fino in cima quel giorno grazie al suo sistema di scale ed era la prima volta in vita sua che doveva ripararsi da una tempesta, era infreddolito e spaventato, ma come dicevano gli altri folletti: bastava aspettare che tutto finisse.
Tuttavia, questa volta non sarebbe stato sufficiente.
Un fulmine colpì l’albero Kinso dando origine a un incendio.
I folletti urlarono di paura, le fiamme si alzarono, rosse e roventi.
Non potendo volare via, i folletti erano in trappola.
Taito sentiva il suo cuoricino battere talmente forte che sembrava scoppiare, ma ebbe un’idea: potevano scendere grazie al suo sistema di scale! Erano protette dal vento e lontane dall’incendio!
Così uno dopo l’altro i folletti scesero dall’albero e raggiunsero sani e salvi le loro case.
Quando la tempesta si diradò, l’albero Kinso era bruciato, ma dalle sue ceneri erano spuntati molti germogli, giovani e forti.
Taito venne festeggiato per tutto il giorno seguente dagli altri folletti che non lo presero in giro mai più e non gli affibbiarono più nessun brutto nome.
Quel giorno Taito scoprì che non importava essere nati diversi dagli altri, grazie all’impegno e al duro lavoro si poteva fare la differenza, tanto da diventare degli eroi.
Grazie per questa bella storia di Taito: dolce creatura coraggiosa! Sono certa che a qualcuno tu l’abbia già raccontata e ne abbia goduto. Mi ha fatto tornare in mente il Cosimo del Barone rampante, un libro che ho molto amato e forse anche tu.