Premio Racconti nella Rete 2020 “Le intenzioni di Eloisa” di Virginia Benenati
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Eloisa era intelligente e donna. Due attributi tra loro connessi, ma non saldati. Un po’ come a un albero sta l’essere sempreverde e magro, come un cipresso. Può capitargli d’essere anche sempreverde e dalla chioma ampia, come un leccio. E lo stesso si potrebbe dire per gli uomini, le cui doti, intellettuali e non, sono variabili, per natura e utilizzo. Al femminile, comunque, i due termini non sempre sono di agevole coniugazione. Eloisa vibrò fin nella linfa d’un vitale e fervente slancio, di sogni, passioni, studi, letture. Consapevole dei suoi desideri ben più di quanto la sorte glielo concesse.
«Posso entrare, badessa?» si sentì domandare, in quella fredda sera autunnale.
«Certamente, sorella Amelie», si sentì rispondere, ancora per metà in altri pensieri.
«Vi porto la lettera del cardinale Cigny. Vi ringrazia per la copia della Regula ad servos Dei, che gli avete fatto avere. Impreziosirà la sua biblioteca». L’aveva trascritta lei stessa, e le era piaciuto molto, per quanto faticoso si fosse rivelato. Le ore di silenzio nello scriptorium, con le mani e la testa impegnate e assorte nella copiatura lenta e precisa le infondevano una pace interiore paragonabile solo a quella di quando aveva le prime congiunte in preghiera e la seconda al di là delle mura di cinta del monastero.
«Grazie, sorella. Appoggiate pure qui» e la bianca mano si mosse a indicare lo spoglio, rigato, piccolo tavolo nella sua cella.
«Buonanotte, badessa». «Buonanotte», augurò, essendo scivolata già tutta nelle occupazioni mentali di prima. Chissà perché, Eloisa si ritrovò con un candeliere in mano a scendere le scale buie che conducevano di sotto, e quindi alla chiesa annessa al dormitorio. La luce fioca e tremula a stento riusciva a rischiarare le navate imponenti, che lei avrebbe potuto disegnare ad occhi chiusi. Era lì da vent’anni. I primi tempi i suoi occhi avevano mal tollerato quegli ambienti. A tratti avevano cercato di scacciarli, come gli insetti d’estate. Ci s’era nascosta, all’inizio, pensando fosse per poco, quando ancora la sua relazione con Abelardo era tumultuosa, tanto quanto l’atmosfera tutt’intorno; dovevano celare tutto a tutti: il matrimonio, il bambino, i loro sguardi, sciolti con la violenza con cui si recidono le funi degli ormeggi, per poter riprendere svelti la navigazione. Si mise a sedere sull’ultima panca, appoggiandosi accanto la minuta fiammella, così che potesse illuminare le parole della lettera che teneva tra le dita. Era una missiva che il suo orgoglio, dopo anni di suppliche, le aveva impedito di inviargli. La spiegò adagio, mentre le si ricoloravano i capelli e gli occhi d’un rosso infocato; vortici un tempo e ora vestali della sua giovinezza, che fu gaia e feconda. Ma non solo questo. “Tendo a te come il fiore al sole, la terra alla primavera, il cibo al palato, i ricordi al passato; e ti fuggo anche, come tu fossi tempesta, come fa l’occhio con il bagliore, la vecchiaia con la dimenticanza”. Si fermò, e il pollice e l’indice della mano sinistra premettero così forte che si toccarono, benché separati dal foglio. Quando, molti anni prima, era venuta a sapere che Abelardo aveva formulato e divulgato la sua etica dell’intenzione, avrebbe potuto forse sentirsi di nuovo usurpata. Molto, invero, egli aveva preso, attingendo a piene mani, dalle sue idee e, quel che era peggio, dai suoi sentimenti, che lei gli aveva espresso e manifestato per iscritto. Quante volte gli aveva rivelato senza pudori che, in convento, lei non aderiva alle cose che faceva, non si mischiava ad esse; e queste e lei erano come olio e acqua insieme. Recitava, sì, con le altre i salmi, adempieva pure, a tutti i numerosi atti di preghiera quotidiani, eppure con il suo cuore lei era altrove, distante da ogni oggetto che toccava o porgeva o raccoglieva, da ogni parola che proferiva ad alta voce, da ciascun dovere a cui non si sottraeva. Allora, considerava, può essere che gli uomini siano da giudicarsi colpevoli o innocenti non solo e non tanto in realtà sulla base di ciò che fanno, bensì su quella di ciò che in animo vorrebbero o si sforzano di attuare. Eloisa, nelle lettere, gli aveva confessato di non sentirsi degna e meritevole di particolare bontà agli occhi di Dio, seppur nei gesti e nei fatti lo onorasse tanto, perché non tendeva a quello scopo. Nell’intimo stava obbedendo a lui, ad Abelardo, che l’aveva spedita là e, solo per amor suo, si comportava camuffandosi da donna estremamente devota e pia. “D’amarti non ne ho l’intenzione, eppure non posso disporre altrimenti dei miei moti segreti, e allora lo faccio, ti amo”, proseguivano i suoi ardori giovanili. Si ricordava ancora bene a cosa aveva pensato, di preciso, nel concepire tali parole. L’immagine che le si era stagliata nitida nella mente era quella di lui che le tendeva le palme. Se al mondo v’era grazia, non s’era vergognata di pensare, si celava innanzitutto nelle movenze delle sue mani, quando gliele portava al volto; e poi le girava; le sfregava; e i dorsi giocavano sulle sue guance con la stessa libertà di cani su un prato; le percorrevano; le scaldavano; le schernivano; e, al modo di vicari d’un sacro potere, gliele benedicevano. A lungo aveva percepito se stessa scissa tra la mano e l’anima, tra il suo agire esteriore e il suo sentire interiore. E, se la felicità è quanto più possibile unione e armonia fra ciò che facciamo e ciò che proviamo, si può solo figurare la profondità della malinconia di Eloisa, più di tante altre schizofrenica e trasandata. Gran parte delle teorie che il filosofo nel corso della vita aveva messo a punto derivarono dalla sofferenza acuta, perspicace e anzi dissodante della donna. Può essere l’intenzione – infinite volte la domanda le si era con prepotenza presentata –, più forte dell’azione verso cui non avvertiamo propensione né inclinazione alcuna, e che finiamo tuttavia per eseguire, per costrizione o necessità? Eloisa, adesso, non lo sapeva più. In luogo di risposte, gli anni le avevano aggiunto interrogativi e dilemmi; tanti dei quali, ne era conscia, sarebbero rimasti irrisolti. Forse s’era sbagliata, rifletteva talvolta. Forse, alla fine, le cose di cui era circondata, pur suo malgrado, le erano divenute familiari e intime, come vestiti; di più, come parti del suo stesso corpo. E la panca su cui era adagiata le sembrava l’appoggio naturale alla sua vita e al suo pensare. Forse era diventata l’aria che solleticava i visi lisci delle novizie, che aleggiava sottile nei chiostri, in primavera. Un’aria che, solo ogni tanto, commetteva l’imprudenza di volgersi indietro.
U racconto storico che richiede una lettura attenta, silenziosa e concentrata. Ci porti nel Medioevo con la Storia d’amore che ha ispirato anche quella di Romeo e Giulietta o di Paolo e Francesca. La storia proibita di Eloisa e Abelardo. Un amore tra un ‘adolescente e un maturo ecclesiastico.
Di tutta la storia complessa e articolata ti concentri nel descrivere il capitolo finale con un’ Eloisa ormai anziana che medita con disincanto sulla propria vita e su quanto quell’amore giovanile e totalizzante le abbia condizionato la vita.
Descrivi splendidamente la regola dell’intenzione in questa frase :” Le ore di silenzio nello scriptorium, con le mani e la testa impegnate e assorte nella copiatura lenta e precisa le infondevano una pace interiore paragonabile solo a quella di quando aveva le prime congiunte in preghiera e la seconda al di là delle mura di cinta del monastero.” Una frase che contiene tutta la vita di una donna intelligente, che ha commesso il solo peccato di amare. Eloisa conserva la lettera che non ha mai trovato il coraggio di spedire, ma il suo rimpianto non pare quello di non averla spedita bensì quello di averla scritta.
Un lavoro notevole. Complimenti!
Cimentarsi in un racconto storico, immedesimarsi in un personaggio del passato, richiede studio e conoscenza di ambienti, modalità espressive, percorsi dello stesso pensiero in un’altra epoca, difficoltà aggiuntive che hai superato a pieni voti. Solo un piccolo appunto; sostituirei “schizofrenico” che appartiene alla scienza contemporanea con un termine diverso. I miei complimenti.
Bella plastica narrativa, un bel modo di far vedere la storia di Eloisa. Letto davvero con molto piacere
Molto bello: conduci il lettore nell’atmosfera con naturalezza e maestria. Complimenti!
Complimenti per lo stile, scrittura molto dettagliata e curata…
Una giovane ragazza che si era proibita dell’amore, ma non per sua scelta… diversi pensieri negli anni gli raffioravano nella mente, tra cui molte domande che resteranno irrisolte, ma alla fine si rende conto che quel posto, il monastero,che all’inizio non aveva ben visto era parte di lei, anche se in cuor suo le piaceva lasciarsi andare sui ricordi del passato, a quell’amore che non ha mai dimenticato…
l’ho riletta due volte e questo é quello che ho compreso…
Bellissima! Complimenti!