Premio Racconti nella Rete 2020 “C’erano una volta i Kinvert” di Davide Deidda (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020
Questa è la storia di Jack, che portava nel nome il fascino per terre lontane, non solo conosciute, ma anche per quelle misteriose.
Viveva con la nonna ed era un appassionato di alieni. I suoi genitori erano dei ricercatori e, come gli aveva raccontato, fin da piccolissimo, nonna Katrin, erano andati in attacco a una razza aliena chiamata Kinvert, e lì avevano perso la vita.
I Kinvert erano verdi, con cinque occhi, di statura enorme e con sette braccia; nessun umano sarebbe scampato ad uno scontro con una razza così fisicamente superiore, ma questo, prima di avventurarsi sul loro pianeta, i genitori di Jack, non avrebbero potuto saperlo.
Quello che i suoi sapevano per certo, era di dover partire e seguire la propria missione sul pianeta di questa razza aliena, pericolosa per gli umani e da fermare a tutti i costi. Questo era ciò che avevano scritto in una lettera di saluto alla nonna, i genitori di Jack, pima di partire. Si seppe, poi, che tutti gli umani partiti per quella missione erano letteralmente spariti nel cosmo, dopo un’ esplosione che sul pianeta Terra arrivò come un lampo appena più potente di quelli dei grandi temporali, e la NASA fece sapere che tutto era andato distrutto.
Quindici anni dopo.
Jack era ormai adolescente e nella sua stanza aveva un’intera libreria dedicata alle razze di alieni che in questi anni aveva studiato, alla ricerca di ipotesi su forma e dimensioni dei Kinvert.
Ne prese uno tra le mani e scoprì qualcosa che non aveva mai notato prima:
si accorse che le coordinate della sua abitazione corrispondevano ad un rifugio alieno di tanti anni fa. Un rifugio dove venivano studiati gli umani, un luogo chiave per i Kinvert!
Doveva esserci per forza un legame tra la sua casa e la scomparsa dei genitori. Perché la sua famiglia si era accanita contro questi Kinvert? Perché avevano così tanta rabbia contro di loro, da lasciare addirittura il figlio e andare a combatterli?
Aveva ancora tanti dubbi su cosa fosse realmente accaduto quella notte e in quel periodo della sua infanzia, di cui la nonna non parlava volentieri, ma che aveva sempre spiegato con un biglietto di due righe ritrovato il giorno della partenza della figlia Samanta.
Non riusciva a smettere di pensarci: un rifugio? Perché un rifugio?
Allora i Kinvert erano stati sulla Terra ?!
I suoi non erano andati in avanscoperta per conoscere la razza? Mmmmh, tutto troppo confuso.
Jack corse dalla nonna a farle mille domande, ma quello che lei riuscì a dirgli furono solo ricordi poco precisi di una figlia dolorosamente sparita nel nulla, dopo un triste e freddo biglietto troppo breve per consolare una mancanza che sarebbe durata per sempre.
Jack tornò in camera, disperato. Sembrava letteralmente impazzito. Non riusciva a pensare ad altro, non a quello che credete, ma a una banda di gattini che suonava jazz in un pub. Poi torno’ lucido e smise di pensare a questa scemenza.
Per giorni Jack cercò le coordinate precise del punto in cui si nascondevano gli alieni in casa sua, ma senza risultato. Poi, per caso, la sua gattina grigia e paffuta, di nome Dory, si strofinò contro la parete della camera dei suoi e ad un tratto notò un mattone un po’ troppo sporgente; allora Jack lo spinse e si aprì una botola con un’ incisione: “TWASMNKPOT NU CARAMANTILUK”.
“Oh, grazie Dory!”, disse Jack, con molta calma, rivolgendosi alla gattina. Andò, poi, a stendersi sul letto, a pancia in giù e con la faccia sul cuscino e dopo pochi secondi urlò: “COSAAAAAAAAAAAAAAAA?!”. Era terrorizzato ma, pieno di curiosità, tornò alla scritta. Una botola in casa sua? Chi l’ aveva fatta? Cosa realmente significava? E poi, era davvero il caso di andare avanti e proseguire ricerche più grandi di lui? Ma sì, non poteva mollare adesso. Doveva continuare e, soprattutto, voleva sapere di più sulla sua famiglia e il legame tra i suoi e i Kinvert, che diventò così sottile da sembrargli un filo di zucchero filato. Studiò la lingua e capì che era un’indicazione sul punto debole della razza kinvert: un alieno che aveva alloggiato in quella casa lo aveva scritto, certo che nessuno avrebbe mai studiato la razza e la lingua e non l’avrebbe mai scoperto. Jack, invece, aveva studiato per anni la lingua Kinvert e aveva capito che un mix di acido solforico e una goccia di limone fosse la formula per annientare i kinvert. E so che sembra strano, ma il verde li attraeva a sé fino ad ipnotizzarli.
Un pensiero si era impossessato della sua mente: perché i genitori non avevano tradotto quella scritta? Perché quel libro si trovava lì allora? Perché?
Tutto gli pareva tornasse. Si era convinto che i suoi potevano essere stati rapiti come cavie umane, per studiare capacità e debolezze e per annientare una razza, la nostra, che stava facendo ricerche sui Kinvert e avrebbe potuto scoprire il loro punto debole e restare, la specie umana, superiore alla loro. Credeva anche che i suoi avessero scritto quella lettera sotto costrizione dei Kinvert, per confondere la nonna. Tutto poteva significare qualcosa di straordinario e troppo grande per lui allo stesso tempo: i suoi genitori potevano essere ancora vivi.
Mai, fino a quel momento, aveva messo in dubbio le parole della adorata nonna, l’unica a prendersi cura di lui. Ora però si sentiva grande, pensava con la sua testa e racconti confusi e incerti non potevano essere la storia della sua vita.
Di colpo era furioso con la nonna: come poteva fidarsi di lei che non si era fatta domande sulla sparizione della figlia?!
Jack doveva fare qualcosa per sapere tutta la verità. Ma cosa?
Aveva soltanto 17 anni.
Su chi poteva contare?
Margot, Elisa, Kevin, Victor e Paul. Ecco chi! I suoi migliori amici.
Margot era esperta di elettronica e meccanica, Elisa una studiosa di chimica, Kevin era figlio di un ingegnere della Nasa, Victo un appassionato di fumetti d’ azione e fantascienza, e Paul… un signore di sessant’anni che non si ricollegherà più alla storia.
Ora toccava parlare con loro e spiegare tutto.
Il giorno dopo, Jack, aveva provato a raccontare della sensazionale scoperta ai suoi amici e compagni di classe, ma nessuno gli aveva creduto: era sempre stato il più fantasioso tra loro e tutti pensarono che fosse frutto della sua mente. L’unica soluzione era dimostrare il tutto: li invitò nel pomeriggio nella sua stanza e fece vedere loro i libri, la scritta e il significato.
A quel punto non era più una fantasia di un ragazzo pieno di idee, ma una certezza per tutti.
Kevin propose di mettere a disposizione le risorse della sua famiglia per cambiare la storia dell’universo.
Il papà di Kevin non aveva mai fatto un lancio su un altro pianeta, ma per tutta la vita aveva lavorato alla NASA per preparare gli altri a queste operazioni e, soprattutto, aveva un missile in una campagna sperduta a 100 km da casa, in un campo segretissimo.
I ragazzi si misero in testa di preparare la formula letale e lanciarla nello spazio, per annientare finalmente i Kinvert, come forse stavano per fare i genitori di Jack, prima di sparire.
Era vero, un’ assurda, incredibile storia più grande di tutti loro era la realtà, niente fantascienza stavolta: i Kinvert avevano lanciato messaggi di attacco al mondo, decodificati da un sistema segretissimo del papà di Kevin, il quale si convinse ad aiutarli dopo aver letto tutto.
I Kinvert avevano preparato per decenni un cannone al plutonio che avrebbe fuso città intere. E ora, erano finalmente pronti all’ attacco universale. Era proprio come aveva sospettato Jack, i Kinvert studiavano da tanto tempo la terra e i terrestri, e il loro obiettivo era distruggerci e superarci in capacità, intelligenza ed evoluzione. I ragazzi organizzarono per mesi il lancio del missile, dopo un grande lavoro di comunicazione alla Casa Bianca, che, con traduzioni, prove e segnali decodificati da esperti, dovette ascoltare e credere alla parola di un gruppo di adolescenti. Lavorarono senza sosta all’ operazione e, al momento del lancio, segretissimo, i ragazzi, Jack, erano tesi come pile elettriche. Un’ assurda idea gli venne in mente: in quei momenti interminabili pensò alla sua mamma e al suo papà e provo’ paura poiché, attaccando il pianeta Kinvert, avrebbe, forse, potuto fare del male anche a loro, se davvero erano ancora lì, rapiti e tenuti in qualche gabbia da esperimento.
10, 9,8,7,6,5,4,3,2,1 Go!
“Prof la so, posso rispondere se vuole”. Jack era sempre troppo preparato in scienze e in quella che molti consideravano ancora fantascienza, perciò in classe aveva tutte le risposte e adesso i suoi amici sapevano il perché.
Un anno dopo, tutto era tornato apparentemente alla normalità. Jack aveva la sua vita, i suoi amici di sempre, le sue passioni, .ma essere premiato dal Presidente degli Stati Uniti non era proprio una cosa da tutti. Il lancio fu un successo, anche se nascosto ai giornali e le televisioni mondiali. Il Governo promise a Jack assoluta fiducia e qualsiasi laboratorio a sua disposizione, se avesse voluto diventare uno scienziato, dopo la scuola.
Jack non aveva mai cercato di diventare un eroe o famoso e neppure ricco: sognava che, annientando quei mostri verdi che gli avevano distrutto la famiglia, i suoi genitori potessero finalmente tornare a casa. Ma non era accaduto. E nulla gli importava davvero se non rivedere la mamma e il papà. Aveva solo 2 anni quando sparirono, non riusciva più a ricordare i loro volti, ma ricordava l’ odore della sua mamma e la mano, grande e forte, del suo papà sulla sua testa piccola e l’ altalena che faceva dondolando appeso al suo braccio. Aveva paura di perdere anche questi pochi ricordi.
Qualche tempo dopo, qualcuno bussò alla porta di casa della nonna e Jack, sentì un brivido lungo la schiena. Per un istante pensò che potessero essere Samanta e Artur, i suoi genitori.
Andò lento come una lumaca alla porta, terrorizzato dal non trovarli.
Era il corriere di Branvazon, che consegnava la nuova dentiera della nonna: “che delusione”, disse Jack!
“Devo smetterla di pensarci, fa troppo male, ogni volta, scoprire che non ci sono e, forse, davvero non torneranno più. Devo crescere una dannata volta. Una volta per tutte. E guardare avanti”.
Dopo qualche minuto suonarono ancora alla porta e Jack chiese alla nonna di andare ad aprire.
Con voce tremolante e piena di gioia, lei disse, cercando di camuffare l’ emozione, “ragazzo mio, stavolta dovresti proprio aprire tu!”.
Jack aprì gli occhi e si ritrovò davanti i suoi genitori in visibilio. E sapete che accadde, dopo tanto dolore, tanta attesa e tanti anni a sognare quel momento? Svenne, e la sua gattina iniziò a parlare e disse con voce da uomo : “Oh, mamma!”. A quel punto svenne anche la nonna e i suoi genitori, che di cose strane ne avevano viste tante, iniziarono a ridere. Fu dopo almeno due ore che, tutti in piedi, vivi e vegeti, riuscirono a riabbracciarsi, contornati da una forte puzza di aceto e sali!
Originale, un bel racconto, senza eccessi di miele, adatto ai bambini e ai ragazzini che ancora dedicano tutto il loro affetto ai genitori e ai nonni. Bravo
L’ autore di questo testo ha 8 anni ed è al primo racconto della sua vita. Si augura che vi piaccia e vi strappi qualche sorriso.
l’ho trovato piacevole, un bella fantasia, non vedevo l’ora di scoprire come si concludeva la storia… complimenti!
Grazie infinite. Davide
Proprio una gran bella fantasia e anche una bella scrittura. Continua così, hai ancora tanto tempo a disposizione per diventare un giorno uno scrittore. BRAVO.
Grazie mille, Sign. Moro
Caro Davide, leggo dai commenti precedenti che hai otto anni. Sei bravissimo. Sei riuscito a dare un corpo organico, logico e conseguenziale alla tua fantasia galoppante. L’hai fatta correre, nel contempo le hai messo le briglie e l’hai condotta tu, come avrebbe fatto un bravo fantino con un purosangue. Nel racconto tutto torna, e ti assicuro che questo non è mai scontato neppure nei racconti che scrivono gli adulti. Aggiungo che vi sono passaggi poetici e profondi che denotano una maturità fuori dal comune, in particolare dove scrivi ” dopo un triste e freddo biglietto troppo breve per consolare una mancanza che sarebbe durata per sempre”. Sei anche dotato di ironia e senso dell’humor. I gattini che suonano il jazz in un pub e il corriere Branvazon che consegna la dentiera della nonna, sono due trovate notevoli. Bravo. Faccio il tifo per te.
Ricordo che anch’io da bambina scrissi un racconto fantastico che la maestra decise di leggere a tutta la classe: fu una grandissima emozione (allora Racconti nella Rete non esisteva ancora…). Bravissimo Davide, hai una fantasia potentissima e una bella scrittura. Continua a raccontarci storie, perché è il dono più bello che tu possa farci e…in bocca al lupo, faccio anch’io il tifo per te.
Grazie mille. Siete davvero tutti molto gentili
Complimenti Davide, continua così!
Grazie davvero. Sono molto felice che il racconto sia piaciuto e ancora non mi sembra vero essere tra i premiati. Un sogno! Grazie ancora a tutti