Premio Racconti per Corti 2020 “Aranjuez” di Andrea Masotti
Categoria: Premio Racconti per Corti 2020– Mi apri, Roberta? – lei sobbalzò alla voce dal virile tono d’oltreoceano.
– Pierluigi! – lo squadrò la sorella appena comparve, appoggiando sul posacenere una Marlboro. Si avvicinarono per un tiepido abbraccio, sfiorandosi e respingendosi come due elementi dello stesso polo magnetico. Lo trovò riservato, vi riscontrava un aplomb nuovo, nei movimenti, nei capelli brizzolati, negli occhiali con montatura a giorno.
– Come è successo? – Chiese l’uomo.
– Non sapevi che era ammalata? Sono riuscita a raccogliere le ultime confidenze e il cuore si è fermato.
– Lei era da sola? So che si era risposata.
– Conviveva. Poi lui se ne è andato – le sfuggì una smorfia di disprezzo – proprio quando si è aggravata. Vuoi vedere le foto degli ultimi anni?
– Mi bastano quelle esposte. E tu Roberta ? Sempre tu devi pensare agli altri.
– E’ qui in camera, entra! Non hai neanche fatto in tempo a darle un bacio. Le ho fatto indossare l’abito di seta. Sai quanto ci teneva.
– Era ancora bella – disse lui avvicinandosi al corpo inerte. Le toccò cautamente una mano, come per accertare la reciproca esistenza.
– Quando sei partito era venuta a salutarti all’aeroporto. Avrebbe voluto spiegarti. Ti ha visto mentre ti imbarcavi di fretta. Era molto dispiaciuta per la tua decisione di vivere a Boston.
– E tu Roberta non hai nessuno? Hai sempre avuto corteggiatori e non mi sembri cambiata.
– Sì, oggi è impegnato. Del resto la sua presenza qui è superflua – riprese irrequieta, con la mano si arrotolava i capelli castani che si riaffacciavano davanti al volto e alle palpebre affiancate da sottilissime linee a raggiera – Ho avuto poca fortuna con gli uomini, lo sai. Ma con lui sto bene.
– Hai pagato anche per lei – fece Pierluigi girandosi verso la fotografia di una sessantenne curata, con le palpebre lilla come i ciclamini, un rossetto acceso e una collana di perle che si allungava su una blusa scollata – ti sentivi di dover pareggiare i conti, di non avere diritto a una tua vita, perché lei ne aveva avuto due. O forse più.
– Aveva riscoperto la fede, ultimamente. Frequentava un gruppo di preghiera, ma ci sorrideva un po’ sopra.
– Fa caldo, – sbuffò Pierluigi – lei la fede? Faceva bene a sorridere, altrimenti avremmo sorriso noi. E adesso?
– Andiamo in Certosa, i tempi stringono – sospirò Roberta.
Percorsero passeggiando la cinta esterna. Sul lato opposto del marciapiede scivolava un canale sonnolento. Si alzava il sole che investiva di luce ginepri cupi e le crepe scrostate del muro. Le spire dei graniti calpestate irradiavano frescura, e oltre la volta invitante come un casolare degli antenati, dietro una lunga teoria di tasselli e fiori pendenti, si apriva la visuale dove sorge la collina, la collina boscosa che vigila sulla notte dei corpi. Si avviarono lungo il viale principale.
– Ti accompagno dove c’è papà – fece lei toccandogli il gomito – darei un’occhiata là intorno.
Lui la guardò pensieroso – Non c’è bisogno di posizionarli vicini. Se c’è uno spazio libero va bene anche qui. Fammi leggere.
– Maddalena Garrone, riunita ai tuoi cari. Maestra. – Un bel viso, i lineamenti severi e marcati, che non ha conosciuto l’ambiguità.
– Andiamo, Pierluigi, avviciniamoci ai nostri giorni.
– Come sei complicata Roberta, ti arrovelli, come sempre. Qui non va bene?
– Già, tu la fai facile con il tuo pragmatismo, metti la mamma nel primo spazio libero e ti senti a posto.
– Sì, libero, come ha voluto essere lei. Io devo solo ringraziare papà se non ci ha lasciato in mezzo a una strada come avrebbe fatto nostra madre.
– Al cuore non si comanda, Pierluigi. Non dormiranno separati come hanno sempre vissuto. Il sole di oggi e la nebbia dell’inverno abbracciano tutti. Ecco c’è uno spazio vicino a Renato, che è morto a 78 anni, e ha la foto di quando giocava a calcio. Amava la gioventù e non si sentiva ridicolo. E’ simpatico anche adesso.
– Posso essere d’accordo, a lei sarebbe piaciuto uno così. Preso da se stesso.
– Quanto sei acido, Pierluigi!
– Acido, eh? Dopo morti sono tutti santi.
– Quanto mi piace Luciana, l’abito floreale e i capelli cenerini. Una che ti prepara il the e dà l’acqua ai fiori – osservò Roberta – E perché non presso Gianni, lo stemma degli Ultras, il panorama con le montagne dietro le spalle?- Pierluigi si sedette su una panchina di cemento, asciugandosi le gocce di sudore che gli bagnavano la fronte, lei continuava a leggere le iscrizioni:
– Prof. Italo, tenente, morto a 30 anni dopo lunga e penosa malattia, contratta sul fronte di guerra, dove corse fremente di giustizia e d’amore per le terre irredente. Ecco, magari uno così piace a te.
– Ma smettila! – Pierluigi si rialzò – Era un altro mondo. Guarda anche sulla colonna: Suore minime dell’Addolorata, Gabriella, Ausilia, Filomena…
– Non è che l’avranno sprecata la loro esistenza?
– Tu leggi con il tuo metro, quello di oggi. Certo preferisco Giulia e Luisa, i volti giovani e sorridenti. E Paola, immortalata in pelliccia, i capelli biondi al vento. Forse inseguiva il successo ma non l’ha mai raggiunto.
– Filippo. Fu buon cittadino, uomo di indole soave – L’avessi trovato io uno così.
– L’avresti massacrato.
– Riziero, veduta esitante tra le rotaie una povera donna e il treno venirle sopra con impeto, si lanciò e perì con essa travolto. Chi lo farebbe oggi?
– Nostro padre l’ha fatto. Si è ammazzato di fatica e di solitudine per noi. Alla sera gli rimaneva solo la bottiglia, lo sai bene come è finito.
– Fernanda 11 anni, fiore soavissimo di bontà e grazia, qui aspetta i genitori e i fratelli memori di lei. Sai, questo incontro è il nostro ritorno. Siamo partiti da due luoghi lontani e ora il nostro cammino ci ha riportato alla nascita. E così sai tutto dei mercati, delle stock option, ma della mamma, della tua mamma, non ti sei mai interessato.
– A noi chi è stato vicino, Roberta? Cosa penseresti di un’altra donna che avesse fatto le sue scelte?
– Non la possiamo giudicare. Ha trovato chi la comprendeva. E non se l’è sentita di rinunciare.
– Ha trovato chi la manteneva. Sotto la collina allora, ma lontano da nostro padre. L’ha voluto lontano lei.
– Pierluigi, ora papà e mamma sono insieme comunque. Dormiranno, dopo tanti anni, insieme. Con Italo, Paola, la bambina di 11 anni. Ecco, questa è la lapide di nostro padre. Te la ricordavi?
– Poco, è lasciata a se stessa. Avrei dovuto portare dei fiori, questi di plastica fanno pena, meglio eliminarli. Scusami se sono troppo crudo, ma mi sento di ringraziare solo lui. Ha sacrificato la sua vita per farmi studiare e tutto quello che ho raggiunto lo devo a lui.
– Certo sei diventato importante, però una cosa non ha potuto dartela: la vita.
Pierluigi raccolse il mazzo di fili di ferro ruggini e foglioline di plastica e li lasciò cadere in un bidone. Poi entrambi si avviarono verso i cancelli dell’uscita.
– Sotto la collina, dove è sepolto papà, lo spazio libero c’è, e c’è anche una bella visuale. Ti lascio decidere, vai tu in ufficio. Finiamo in bellezza, è l’ultima volta che ci ritroviamo tutti e quattro. Senti: suonano il violino, è proprio una festa di famiglia. Credo che siano quei due zingari che abbiamo intravisto all’ingresso, vicino alle bancarelle dei fiori. Fammi ascoltare. Suonano Aranjuez. Sai quale è la storia di Aranjuez?
– La ricordo tradotta, parla del tempo che fugge.
– Anche. E’ un concerto ispirato e dedicato a un giardino. Ma secondo alcune versioni l’adagio parla della fine di un torero: “E’ scesa ormai la sera su di te… La tua antica gloria non c’è più…” L’ho sentita suonare a Boston. Ma non erano talentuosi come questi zingari. La musica è la loro vita.
Pierluigi si fermò, lei ancora giovanile ammirò gli abiti firmati, così singolari per lui. Roberta li detestava, eppure addosso al fratello ne accrescevano il fascino. Non era più il ragazzo atletico e scattante dei suoi ricordi. Lo immaginò alle riunioni di lavoro, con le segretarie in tailleur, dietro le vetrate dei grattacieli. Nelle Limousine.
– Fammi restare un po’, dal vivo è un’altra musica. Ti raggiungo.
– Sembri stanco. Non ti importa più di stare
con me.
– Siamo d’accordo ormai. Tieni i beni e i ricordi della mamma, anche la mia
parte, le volevi più bene. Stasera riparto. Ho impegni urgenti e, te ne sei
accorta, devo riposare.
L’uomo si avvicinò ai due zingari, chiese a quello con il cappello di paglia di
ripetere il brano e allungò due banconote. Lei notò le loro barbe pungenti, le
camicie madide di sudore, l’età indefinibile di chi matura nella prima
giovinezza e fino alla fine vive nel presente.
– Non ti ho mai visto essere così generoso, Pierluigi. Farai fallire l’impresa.
Qui non possiamo permettercelo. L’America è sempre più lontana.
– Non sono regalati. Il loro violino e la chitarra valgono molto di più. Sanno
instillare l’allegria e la malinconia. Quello che non possono vivere lo
conoscono meglio di noi.
– Sei cambiato.
Lui si girò e abbracciò forte la sorella che lo accolse stupita.
– Pierluigi il manager ha un cuore. Cosa ti succede?
– Il mese scorso ho passato alcuni giorni al Massachusets General Hospital. La
prossima volta sarai tu a raggiungermi in America. A Boston i prati sono
verdissimi e mia moglie e Lucy passeranno a salutarmi qualche volta. Se quel
giorno verrai ricordati di Aranjuez, mi piacerebbe che in quella
occasione si trovasse chi, per me, la sa suonare con passione come loro.
Una narrazione avvincente, tutta ricamata con dialoghi sopraffini. Complimentoni!
Oh finalmente una storia e non una descrizione. Qualche parola da rigirare qua e là però tres bien!
Caro Andrea, dopo aver letto la tua storia non posso che pensare che la morte è solo uno dei tanti momenti della vita in cui sono gli altri a decidere per noi. Bravo!
Una storia che porta ad un ribaltamento dei ruoli in cui il cinico manager si manifesta per quell’uomo che è: sensibile e amante dell’essenza delle cose, della fatica e della solitudine che sole ti possono condurre ad essa.
E il bellissimo, struggente e ormai universale Concerto d’Aranjuez di sottofondo a portarci inaspettatamente alla svolta narrativa della storia, che un po’ sorprende e un po’ rattrista.
Complimenti Andrea.
Molto bello, mi hai regalato brividi e commozione. Grazie
Prima di tutto ti ringrazio perché non conoscevo il concerto Aranjuez e, prima di leggere il tuo corto, l’ho ascoltato per la prima volta.
Il concerto, nonostante sia realizzato da un’orchestra, mantiene sempre in primo piano la chitarra acustica in una sequenza che alterna passaggi allegri a passaggi struggenti e malinconici. Proprio come accade nella lettura delle tue parole. Complimenti.
Molto diverso dal primo questo tuo secondo corto Andrea, sicuramente più articolato e meditativo. Mi è piaciuto forse anche di più, ma sono due lavori difficilmente paragonabili, un po’ come il vino bianco e il rosso (per restare in tema). Ci ho visto una continua riflessione sui valori delle cose e delle relazioni, il desiderio di trattenersi, di scegliere le cose importanti, e di ricordare ed esaminare le vite precedenti con una prospettiva nuova, che si rivela alla fine. Il richiamo agli zingari forse esprime il rimpianto del personaggio per una vita più libera. Ha un grande potenziale sia di atmosfera che di contenuti per il trasferimento su pellicola. .
Grazie per queste parole che così bene hanno descritto momenti in cui la storia viene ribaltata in poche righe. Un rovesciamento repentino che non toglie comunque ironia e tenerezza alla narrazione. Complimenti.
Grazie a tutti coloro che si sono espressi sul racconto, per me un’emozione che ripaga ampiamente l’impegno di scrivere e partecipare.
Mi piace molto questo gioco tra sarcasmo e amarezza, tra cinismo e malinconia…. come la musica zingara. Bravo!
Rivedere la vita, che, nella dimensione della morte, assume il colore del concerto del torero..il calar della vita che assume il colore di un tramonto, in cui si rivedono tutti i legami familiari con occhi nuovi. Grazie
Quanti racconti, bravo! Ho scelto questo per il titolo. Ho fatto bene. Sto scrivendo ascoltando la tua musica. Stupenda! Si avverte proprio la sensazione che dici tu: allegria e malinconia. Originale anche l’idea del cimitero come luogo di ambientazione. I cimiteri sono luogo di pace eterna, ma anche luogo per riflessioni quando si è ancora vivi, e purtroppo in questi giorni sono di grande attualità. Deve essere molto brutto non poter salutare una persona cara, arrivare troppo tardi e non riuscire a chiarirsi magari. Temo solo il finale, nel senso che da pessimista quale sono, ho pensato che Pierluigi abbia una brutta malattia, e presto finirà al cimitero di Boston, pieno di prati verdi
In ogni caso, complimenti! (Purtroppo stasera ho avuto problemi col computer, il messaggio continuava così.)