Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Bertina si sveglia tranquilla ogni mattina” di Francesca Turchet (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Bertina sollevò appena le palpebre e subito le strizzò per difendere le pupille dai raggi del sole che erano entrati prepotenti a svegliarla. Badando a tenere gli occhi ben chiusi, allungò alla cieca un braccio e indovinò una sagoma nel letto accanto a sé. Per capire bene a che distanza fosse calciò un piede sotto le coperte e, senza volere, colpì con forza la schiena che era vicina al suo fianco. Le arrivò in risposta un sussulto, ma subito tutto tornò in pace e lei ne approfittò per accoccolarsi lungo quella parete tiepida, nascondendo come meglio poteva la testa sotto il cuscino. Non sapeva come fare, ma voleva riacchiappare qualcosa… un qualcosa che quella luce villana, entrata senza chiederle permesso dal riquadro alto della finestra, le aveva sottratto.

A occhi chiusi le sembrò di volare e all’improvviso vide davanti a sé un bellissimo pesce dalla pelle iridescente. Ecco! Ecco cos’era che aveva perduto e poteva ora riacciuffare. Guardò meglio e vide che in certi punti quel pesce sembrava sottile da vederci attraverso, ma in altri le sue scaglie risaltavano perfette e riflettenti sotto la luce del sole. Ma certo – ricordò – è sicuro il branzino che io e papà abbiamo preso per la mamma all’ultima pescata.
Serrò le palpebre ancora più forte e, girando la nuca di lato, vide finalmente tutto chiaro intorno a sé: il cestino con la merenda smangiucchiata per noia che faceva capolino dal tovagliolo di carta a quadretti, la scatoletta degli ami e dei galleggianti tra il colore rosso e l’arancio, le forbici abbandonate aperte e sporche tra l’erba e, vicino, la scatola rotonda con il coperchio verde dei coreani pericolosamente dischiuso. 
«Papà!» si sentì urlare «Chiudi per bene la scatoletta, sennò i coreani ci scappano!» 
Il padre si chinò a eseguire veloce mentre continuava a parlarle: «Bertina guarda il galleggiante! Attenta, lo vedi? Sta andando su e giù… dagli filo e aspetta di vedere la mangiata prima di dargli la ferrata! Bertina, mi raccomando, prima di tirare, la canna la devi sentire tremolare!»
«Papà, papà! L’ho preso, l’ho preso! Vieni qui, ti prego.»
«Calma Bertina! Sta’ calma! Non prenderai niente se non sei paziente. Silenzio ci vuole. Silenzio… E poi piano… Cerca di non farti tu prendere all’amo!»
Il galleggiante era tornato a galla, fermo, e Bertina anche a conficcarlo con lo sguardo non riusciva a smuoverlo nemmeno di un pelo.
«Uhh! Che ho fatto!?! È stata colpa mia papà? Ho tirato su la canna troppo presto? Dov’è che ho sbagliato?»
«Niente! Che hai fatto? Il pesce avrà detto: Io me la batto…»
Il padre si avvicinò e riavvolse il filo sul mulinello, trasse a sé l’amo e videro che dei due piccoli vermi non era rimasta attaccata che della polpa a brandelli. 
«Vedi», disse alla figlia, «sei stata sfortunata: abbiamo incontrato un pesce birbante che si è fatto una bella mangiata ed è riuscito a non farsi acchiappare! Lui è stato furbo, ma noi riusciremo a rimediare.»
«E come?» Bertina lo guardava interrogativa. 
«Dai, che non ci arrendiamo! Siamo pazienti e ricominciamo. Bertina, noi non cambieremo i nostri piani: su, corri a prendere i coreani e prova a infilarli tu all’ago, così imparerai a dare ai pesci più spago.»
«Ma certo!» si sentì urlare felice.

«Certo che?»
Il padre la stava guardando dall’orlo del sogno e della coperta che le manteneva gli occhi nella riparata penombra. «Ero dentro un bellissimo sogno papà!» 
«L’ho capito, sai! Ti ho sentita parlare…» 
«Anch’io ho sentito te parlare e non sapevo più che pesci pigliare!»
Era di buon umore Bertina, ma rimase incerta se continuare perché da quel lembo difeso dalla luce del sole riusciva a vedere bene i lucidi occhi del padre. Si era accorta che gli succedeva spesso negli ultimi tempi e ancora di più quando lo sorprendeva solo. 
Il padre le aveva detto che tutto quello sparluccichio degli occhi era dovuto a un’infiammazione da cui non riusciva a guarire. 
Era una cosa che le metteva tristezza anche se ne ignorava il perché e per contrastarla, ogni volta che lo vedeva così, gli si avvicinava e lo abbracciava. Lui la ricambiava, ma a volte la tratteneva un poco di più di quello che lei si aspettava oppure la stringeva tanto, ma tanto forte da lasciarla con il fiato a metà. Lei rimaneva lì come sospesa e un po’ confusa e le sembrava che quei nuovi abbracci fossero tutti diversi da quelli con cui il papà la circondava una volta… prima che cominciasse quella storia. 

La storia era quella del microbo con la coroncina fiorita di cui parlavano tutti in televisione e che non le permetteva di vedere neanche la nonna, nonostante abitasse nella casa vicina. Di lui si sapeva che era veloce come Beep Beep e mentre correva baciava tutte le creature che incontrava senza che loro neanche lo vedessero, ma facendole ammalare spesso e quindi era chiaro che bisognava essere attentissimi a non stare a tiro di baci con qualcuno, nemmeno con la nonna Adelina. Era stata proprio la mamma a spiegarglielo una delle ultime volte che l’avevano vista. E la mamma su questo ne sapeva più di tutti, persino più di papà che lei aveva creduto che sapesse tutto, ma veramente tutto!
E invece no! No, per davvero. 
La mamma su virusCorona gli dava dieci a zero, perché lei era infermiera e lavorava all’ospedale per aiutare tutti quelli che stavano male. Ed era via da tanti di quei giorni che aveva smesso di contarli perché, se all’inizio veniva a casa per cenare con loro, a un certo punto non era tornata più. 

Una sera, dopo aver mangiato tutti insieme e aver raccontato quello che lei aveva fatto all’ospedale, aveva detto che stava diventando tutto troppo pericoloso perché quel virusCorona avrebbe potuto baciarla senza che neanche lo potesse sapere. Aveva detto che era meglio se lei si fermava a dormire laggiù. Aveva detto di non preoccuparsi fin tanto che lei sarebbe rimasta via: «Là siamo in tanti» aveva detto «ci diamo una mano e ci facciamo compagnia. Tu e papà scommetto farete lo stesso. Promesso?» Papà si era alzato per andare a dormire e si era capito che a lui non faceva piacere. La mamma aveva sorriso e le aveva detto che dispiaceva anche a lei, ma che già in molti avevano deciso così.
La mattina dopo, come sempre, era andata a salutarla prima di andare al lavoro. Anche il papà si era alzato e lei li aveva sentiti parlottare per un po’ in corridoio, poi la mamma era uscita e il papà le aveva detto di alzarsi perché la giornata cominciava in modo uguale per tutti.

Da quel momento però le giornate erano cominciate in tutto e per tutti in maniera diversa: il papà, per dire, la mattina aveva rinunciato a cambiarsi. Così ora faceva come lei, che subito ne aveva approfittato per non togliersi il pigiama se non quando lo doveva proprio lavare. E se all’inizio quel cambiamento le aveva fatto tanto piacere, dopo un po’ non era più sicura che fosse così… Per lei, poi, era diventato tutto molto, ma molto più noioso: prima c’era sempre qualcosa di buono da pensare e poi da preparare, una torta o una pasta speciale per quando la mamma tornava da loro. Ma da quando non era tornata più, lei e papà cucinavano sempre, però era chiaro che non era più divertente.

Quella mattina però, appena sveglia, a Bertina era venuta un’idea grandiosa. Così quando, con i suoi occhi umidi sopra le occhiaie scure, il padre le aveva chiesto: «Cosa facciamo oggi?» lei non aveva avuto dubbi: «Ogni mattina la luce entra e mi colpisce. Io mi sveglio papà! Mi sveglio e non riesco più a dormire…»
Il padre aveva alzato lo sguardo a est verso il riquadro della finestra sopra la tapparella rotta dal quale la luce entrava a inondare la stanza fin dalla prima mattina: «Amore, lo sai che da quando è scoppiata l’epidemia non c’è nessuno che ce la venga a cambiare!» 
A lui quei raggi di sole che lo scuotevano dal torpore a cui si abbandonava la notte gli mettevano un po’ di allegria, ma sua figlia era troppo sensibile alla luce e avrebbe dovuto trovare una soluzione. 
Abbassò lo sguardo sullo scricciolo riccioluto e impertinente che, da quando la moglie si era trattenuta in ospedale, si era trasferita con il suo peluche nel loro lettone.
«È per farti sentire meno solo papà» gli aveva detto «del resto» aveva aggiunto «se mi venisse la febbre di notte perché il virusCorona mi vuol baciare a tutti i costi non vorresti essere tu il primo a saperlo? Prima ancora che lo sappia io?» E come darti torto? aveva pensato allora.

«Cosa ti frulla in testa?» l’aveva interrogata.
«Mmh! Dopo colazione» continuò Bertina «disegnerò qualcosa di bello per coprire quel pezzetto di finestra che ci dà tanta noia la mattina!»
Come aveva annunciato si era messa d’impegno con le matite, le forbici e i pennarelli e aveva disegnato, mischiandoli sul tavolo, una moltitudine di pesci iridati e cangianti, un paniere colmo di pesci e un paio di scatolette di vermi: una di tremolini e un’altra di coreani, con gli esemplari dipinti sopra il coperchio, guai-mai a confonderli.
A un certo punto Bertina si era persino alzata in piedi sulla sedia per controllare dall’alto l’effetto di quella grande confusione di forme e colori, ma si rendeva conto che mancava qualcosa che desse a quel guazzabuglio un senso, una vita. Il padre, che lavorava alla scrivania nella stanza accanto, ogni tanto si allungava per vedere e chiederle come stesse procedendo il disegno. 
Dopo un po’, insospettito che nulla si muovesse nella stanza vicina, si era alzato per vedere dove fosse finita Bertina. La prima cosa che vide fu una semina di fotografie sul pavimento per lungo e per largo e per poco non gli prese un colpo pensando al tempo che ci avevano messo per riordinarle tutte qualche giorno prima. Ma quando poi fece capolino dietro al divano rimase senza parole nel vedere il magnifico mosaico che lei era riuscita a mettere insieme.

Allora si era subito offerto di aiutarla ad attaccare con la colla tutta quella girandola di colori su dei bianchi fogli grandi e li aveva sistemati come lei voleva sopra il vetro della finestra affacciato contro il cielo. 
Poi era sceso dalla scala e anche da lì si poteva veder bene quella baraonda di pesci e ami e panieri dalle forme più strane che rincorrevano le foto di Bertina e della madre sorridenti, e di lui anche, con le sue buffe facce strambe, in un bizzarro girotondo di ricordi che scaldava i loro cuori e i loro corpi. E fu così che, da quel giorno, quando la luce lenta s’intrufolava tra un foglio e l’altro, Bertina rimaneva tranquilla nella penombra a sbirciare i verdi pesci cangianti baciare i biondi capelli della mamma che spuntavano qua e là dalle foto sparse e le sembrava che anche il papà fosse guarito da quella strana malattia che gli aveva fatto fin lì sparluccicare gli occhi ogni mattina.

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10 commenti »

  1. Racconto molto simpatico, mi sono pure emozionata leggendolo.

  2. La resilienza spiegata ai bambini, e anche ai genitori. Inutile andare su wikipedia, qui trovate tutto sul tema, in una forma tenera e con una scrittura attenta e brillante.

  3. Bello e molto tenero, impariamo dai bambini e staremo sicuramente meglio.

  4. Grazie Marco, Jessy e Pasqualina per i vostri bei commenti che mi hanno fatto tanto piacere e mi confermano sulla necessità, per me, di questa mia prova. Scrivere per un bambino può essere un regalo che ciascuno può farsi perché può misurarsi con la prima parte di sé.

  5. Anche i pericoli e le calamità negli occhi dei bambini possono assumere toni delicati se chi sta loro accanto parla con amore e con il linguaggio proprio dell’infanzia. Tutto a questa età può essere contenuto nella propria stanza, animali, oggetti, ricordi e anche le persone care, presenti accanto al letto o sulla finestra a filtrare la luce che apre la giornata e a proteggere dalle paure della notte.

  6. Che racconto scorrevole! Scivola come l’acqua, guizza come un pesce, e poi splash! La secchiata! E la paura e i brividi che sia tragico e non solo drammatico. Ma poi tiri un sospiro di sollievo, e il finale ti chiede un sorriso di speranza – nuda e pura – come quella dei bambini.
    Il linguaggio mi è piaciuto moltissimo. Le scelte lessicali piacevolmente insolite.
    Il ritmo… già detto; parlato e narrato si alternano in un giocoso scambio.
    Ma sei brava, sai?!

  7. Un racconto per bambini solo nell’apparenza. Tra le sue righe, ottimamente scritte, ho trovato un grosso insegnamento. Cosa succede quando il mondo degli adulti deve forzatamente trovare un punto di contatto con quello dei bambini? Che i bambini fanno un passo indietro e ci vengono a prendere per mano. Bravissima. Davvero!

  8. È un bel raccontino
    adatto a grandi e piccini
    che a pieno titolo
    rientra nel capitolo
    del filone letterario
    che un nuovo frasario
    associa al lirismo
    del neo-coverismo

  9. Uno di quei racconti alla “piccolo principe” in cui la profondità del significato è direttamente proporzionale all’età in cui lo si legge. Brava Francesca davvero per grandi e piccini!

  10. Grazie Andrea per la bella annotazione, tra le altre, sulla lingua, grazie Marcella per le tue parole che sono migliori delle mie, grazie Sandra per aver messo in luce quello a cui miravo, grazie anche a Leonardo per il suo commento che probabilmente voleva essere arguto ed è stato puntuto e grazie a te Michela, mia compagna di piede, per la generosità del tuo.

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