Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Il Cassetto” di Michela Mannoia

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Bianca sedeva con gli occhi chiusi, rivolta alla finestra. Un fascio di luce fastidioso cercava di insinuarsi sotto le palpebre, tingendo di arancio i suoi pensieri.

Bianca aspettava. Stava considerando, in quel primo pomeriggio di aprile, che aveva aspettato tutta la vita: un gesto affettuoso, un riconoscimento, una telefonata.

Aveva aspettato che l’innamorato del momento si ricordasse di lei, che indubbiamente non si era mai trovata in cima alla lista delle sue priorità.

Magari, si sarebbero sentiti una volta terminato quell’incarico di lavoro.

Magari, una volta finito di armeggiare con la macchina.

Forse, una volta inghiottito l’ultimo sorso di birra. Allora, avrebbero alzato lo sguardo ricordandosi della sua esistenza e avrebbero avuto il piacere di mettersi in contatto con lei, che di rimando sarebbe stata accogliente, comprensiva e spiritosa, perché nessuno si tiene accanto una donna che si lagna, giusto? Prestava attenzione ai suoi gesti e a misurare le sue cure; voleva prolungare la vita di quelle relazioni. Erano piantine a cui si dedicava con amore ma poi, nonostante tutto, si seccavano lasciandola sconcertata e devastata dal dolore.

Bianca si stirò la schiena sulla poltrona, senza spostare il volto dalla luce. Non era mai stata tanto importante per nessuno. La sua zoppicante famiglia constava di un padre totalmente assente per il quale non era più che una simpatica conoscenza e una madre ipercritica che pretendeva da sua figlia l’amore che non aveva mai ricevuto dai suoi genitori, manipolandone le emozioni e mascherando catene da atti di generosità. Una strategia bizzarra, ma Bianca aveva rinunciato a farglielo capire: quella sbagliata, tanto, era lei. Perciò, abituata ad essere un accessorio per chiunque, aveva scelto partner che continuavano a farla sentire in quel modo: una piacevole compagnia che era possibile chiudere in un cassetto quando ne avevano abbastanza. Lei sarebbe stata pronta a saltare fuori alla prossima esigenza.

Bianca, in quel cassetto avrebbe aspettato, torcendosi le mani per l’incertezza del futuro.

Sarò stata sgradevole? Per questo non mi chiama più? Forse non avrei dovuto insistere, l’ultima volta. L’ho disgustato, si è accorto di quanto io sia bisognosa.

Il bisogno. Questa era la parte di se stessa che più detestava: la necessità di sentirsi amata da qualcuno era quello che la costringeva ad attendere; a giustificare le assenze e l’interesse discontinuo. Attendeva perché sapeva che prima o poi il pendolo avrebbe oscillato dalla sua parte e lui sarebbe tornato, amorevole e presente, almeno per un po’. E al dopo, ci si pensa poi.

Se non avesse avuto questa necessità divorante, la parte di sé che avrebbe voluto mandare sonoramente a quel paese il coglione di turno sarebbe stata oltremodo soddisfatta e gaudente. Se non fosse stata così schifosamente emotiva, se quell’involucro di algida compostezza non avesse avuto un ripieno di molle, zuccheroso marshmallow, probabilmente adesso sarebbe stata concentrata a studiare neurochirurgia o a lavorare per l’FBI. Aveva una sensibilità spropositata che impediva qualsiasi tentativo di salutare distacco emozionale atto alla propria salvaguardia; era armata di tanto cuore ed empatia e viveva in un piano di esistenza dove queste caratteristiche erano inutili, anacronistiche e insensate. Era come ritrovarsi in una spedizione per la foresta del Borneo vestita da sherpa.

 Era troppo, troppo emotiva e terrorizzata dal perdere quel poco che aveva, perché l’alternativa era o quello o niente. Così sceglieva di aspettare, per mettere insieme un po’ di felicità. Pochi conoscevano il prezzo di quella gioia più di lei, in effetti aveva un costo esorbitante: per sentirsi amata, fondersi in un abbraccio, sentire che davvero esisteva quando la guardavano con tenerezza, dava via qualche fetta di amor proprio, alcune manciate di valore personale e un pizzico di dignità. Sì, quell’uomo distratto veniva amorevolmente redarguito, lui le chiedeva scusa e lei poteva finalmente accoglierlo tra le sue braccia comprensive e sentirsi felice. Non importava se quell’uomo avesse una moglie altrove, andava bene anche così. Non le pareva di togliere niente a nessuno, era ligia al ruolo di semplice accessorio. Oppure, poteva anche impersonare il ruolo di piacevole diversivo nei riguardi di una storia arenata da tempo, la famosa ‘pausa di riflessione’ che nasconde l’intento di voler trovare di meglio e in alternativa arrendersi e tornare insieme.

Alla fine, era proprio quello succedeva e il lui in questione spariva dall’oggi al domani. Bianca, non la sceglievano mai.

Passava dei lunghi periodi di amarezza e disillusione per poi ricominciare con qualcun altro, così, senza impegno. D’altronde mica poteva rinchiudersi in clausura. Solo che poi si innamorava e loro… loro avevano altre cose, più importanti. Il nome di Bianca si inabissava in quell’elenco, da quello che sembrava un primo posto a molto, molto più in basso: tanto lei era al sicuro in quel cassetto: lì doveva stare e attendere.

Non stava mai a lei decidere.

“Ti va se stiamo insieme stasera?” Una supplica mascherata da proposta sbarazzina. A questo, seguiva la risposta più umiliante di sempre: “Ci penso”. Ma non le bastava: Bianca andava a caccia di una sentenza, che fosse un sì o un no, temendo con tutta se stessa il rifiuto che poi, immancabilmente, riceveva.

Nessuno dei suoi amici stretti conosceva tutti i dettagli delle sue storie: si vergognava troppo; si sentiva patetica, una disgraziata che scendeva a degli infimi compromessi pur di ricevere un messaggio a fine giornata, almeno per un po’. Per un po’ era già qualcosa.

Bianca era disgustata da sé e dalla prigione-cassetto in cui si rinchiudeva, ma non riusciva a trovare la forza immane che ci voleva per liberarsi. Era atterrita dalla prospettiva di dire addio anche a quelle briciole di calore umano che per qualche ora la scaldavano; come d’inverno, quando si chiudeva nella doccia bollente e non riusciva più a chiudere il rubinetto.

La soluzione sciorinata da tanti guru contemporanei era: “Devi volerti bene. Devi bastare a te stessa. Nessun principe azzurro ti coprirà dell’amore che ti manca, se questo non scaturisce da te”. Il problema era che da sola si sentiva incapace di generare quel calore e nutrimento che le serviva. E trovarlo in altri interessi era solo un palliativo, come un caffè di cicoria.

Così Bianca aspettava, ancora qualche giorno, ancora qualche settimana. E al protrarsi dell’attesa, quell’ansietà si tramutava in vergogna e disprezzo di sé:

Che cosa fai? Ancora dietro a questi campioni umani? Sei stupida, non impari mai. Ti fai trattare come una donna a ore e apprezza l’eufemismo che sto usando.

Si sentiva così impotente, passava ore a lambiccarsi il cervello cercando di capire quale dei gesti ricevuti avesse frainteso, quali delle parole amorevoli nascondevano un’altra intenzione perché, era evidente, nessuno la amava per quello che era, essendo interessati al solo sollazzo fisico.

Quando poi tornavano, ogni dolore scompariva. Le pene, i sospiri, tutto dimenticato. Era pronta a buttarsi a capofitto nelle nuove gioie che le riservavano quegli incontri, spesso clandestini, pronta a lasciarsi sommergere da quella felicità ritrovata e a trarne il massimo nutrimento. Questo, durante la sua attesa nel cassetto, non lo ricordava mai.

Bianca stringeva le palpebre illuminate dal sole, trattenendo al loro interno lacrime fastidiose, le prove evidenti della sua debolezza. Cercava di tenere a bada il ricordo di quell’ultima notte insieme, quando lui aveva voluto stringerla a sé per tutto il tempo e una volta che i loro corpi, scomposti, si erano allontanati, le aveva preso una mano e se l’era poggiata sul cuore, addormentandosi così.

È vero, probabilmente erano inezie, cose di poca importanza. Perché continuare a pensarci?

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10 commenti »

  1. Povera Bianca, un personaggio doloroso dipinto a tinte pastello con dolcezza ed empatia.

  2. Un quadro psicologico ben delineato con scrittura vivace. Per chi è spontaneo rapportarsi agli altri è semplice, per altri è un rebus che si tenta di risolvere analizzandosi allo specchio e ripercorrendo tutti gli incontri e le battute dei dialoghi. Dove avrò sbagliato, ci si chiede. La condizione di solitudine per chi è giovane può essere una condizione angosciante e spinge qualcuno a buttarsi via pur di trovare un po’ di calore. Così si finisce in un cassetto che qualcuno dovrebbe aprire… ma se nessuno lo fa? Bianca fa l’unica azione possibile, sta alla finestra dove il sole non la tradirà.

  3. Cara Michela, ho sentito tanta solidarietà per il tuo personaggio perché tu sei la prima che ci dimostri di amarla molto. Da ogni parola che scrivi, traspare il fatto che non la critichi e non la giudichi. Ci pensa già Bianca a fare tutto da sé. Mi piace molto il tema che affronti: cosa accade quando l’accettazione di noi stessi deve necessariamente passare dal giudizio dell’altro? Brava!

  4. L’ho letto incuriosita dal titolo, che per me è molto evocativo. L’ho trovato molto efficace nel rappresentare la condizione di Bianca, il suo sentire che suscita una bella empatia. Il luogo dove si rifugia ma un po’ sembra anche volersi sentire “gettata”…psicologia molto interessante.

  5. Ben scritto, mi piace molto. Non sono daccordo sul fatto che Bianca susciti simpatia, almeno non è questo il messaggio che mi è arrivato. Questo bel racconto ha suscitato in me amarezza e indignazione. Nonostante la consapevolezza, lei continua a buttarsi via, continua ad aspettare un gesto che vorrebbe credere gratificante, ma che in realtà non ha niente a che fare con l’amore, perché è semplice desiderio di possesso per un oggetto che si prende e si lascia a proprio piacimento. Complimenti Michela.

  6. Una storia in cui ci si può riconoscere. Il bisogno d’amore spesso ci spinge a metterci da parte pur di far felice l’altra persona, sperando così che questa non ci abbandoni. Ciò accade anche quando si ama troppo qualcuno e si fa di tutto per salvare una relazione che è, comunque, destinata a finire. Complimenti!

  7. Bianca. Questo nome ci fornisce molti indizi sull’animo e la personalità della protagonista che spende la sua vita nella ricerca di un amore sincero, ma al contempo riesce a rimanere pura e candida nel suo desiderio. Potrebbe essere un personaggio verghiano, una vinta dal destino. Un racconto non troppo distante da alcune realtà…
    Storia profonda e coinvolgente.

  8. Le parole che hai usato ti portano dentro il cassetto in cui aspetta Bianca. Bianca con la sua fragilità suscita tenerezza e pena. Un bel racconto.

  9. “Tingendo di arancio i suoi pensieri”…una frase bellissima. Mai avrei immaginato di conoscere, andando avanti nella lettura, un personaggio così sofferente, così rassegnato. La tua scrittura è scorrevole e avvolge il lettore in un racconto introspettivo alla scoperta di una condizione, quella di Bianca, che lascia tristemente con l’amaro in bocca. Brava!

  10. Bellissimo racconto.
    Bianca mi ha fatto molta tenerezza, una persona molto sensibile.
    Sicuramente rispecchia la verità di molte donne.

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