Premio Racconti nella Rete 2020 “Assenze” di Davide Rubini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Quando arrivai al cimitero di San Michele una pioggerella fine mi coprì la faccia in un istante, come una polvere, depositandosi sulle lenti degli occhiali prima di bagnarmi la pelle. Mi girava la testa e avevo le ginocchia deboli. C’erano i cugini e gli zii che non vedevo da anni. C’erano gruppi di sconosciuti in abito scuro e in ogni gruppo c’erano uno o due vecchi che si reggevano a un bastone o al braccio di qualcuno, quando non erano costretti a una sedia a rotelle. Le donne avevano rossetti cupi sulle labbra e i bambini faticavano a stare fermi e zitti. Tutti si muovevano lentamente e, se qualcuno incrociava uno sguardo altrui, faceva un breve cenno del capo e un sorriso a labbra strette. Sembravano tutti uguali, volti senza faccia, e in mezzo a quella folla non trovai subito né la nonna, né mio padre. Ero arrivato dalla stazione in taxi, da solo e senza passare da casa, giusto in tempo per l’ultimo saluto prima della chiusura della bara.
Il primo a rivolgermi la parola fu un signore anziano, ma ancora in forma, un cugino del nonno. Non lo avevo mai incontrato, ma nonno Loris me ne aveva parlato come di un compagno di gioventù, una specie di amico. Mi raggiunse prima che arrivassi alla metà del viale che portava alla camera ardente. Era scuro in volto e aveva una testa a forma di triangolo. Il viso era teso e prima di presentarsi allungò la destra cercando la mia. La strinse forte e la usò per tirarmi a sé e avvolgermi con l’altro braccio. Non servì che gli dicessi chi fossi. Avrebbe potuto sollevarmi e non avrebbe incontrato alcuna resistenza. Prese la mia indolenza come una conferma del mio dolore. Mi lasciò con due buffetti sulla nuca e mi disse che dovevo rimanere forte, infine aggiunse che mio padre stava pregando vicino alla bara del nonno. Con l’indice indicò la piccola cappella al fondo del selciato e ci muovemmo insieme in quella direzione.
Ai lati del viale c’erano degli ampi platani carichi di foglie appesantite dall’umidità, intorno alle loro radici terriccio umido. Fui attraversato da un brivido di freddo e mi sollevai il bavero della giacca. Indietro di un passo rispetto al cugino del nonno osservai i suoi passi che sprofondavano nel selciato. Quell’uomo da giovane doveva essere stato un tipo sportivo. Si muoveva in modo deciso, netto. Pensai a lui e al nonno appoggiati al bancone di un bar che fanno apprezzamenti da guappi su una ragazza con una lunga gonna a fiori che passa davanti all’ingresso. Arrivati alla cappella il cugino del nonno si fece di lato, mi invitò ad entrare per primo e sfilammo tra due uomini pallidi che stavano di scorta sulla porta.
Faceva freddo anche lì dentro. La stanza era illuminata da una luce fioca che ingialliva le facce di tutti. Lungo le pareti c’erano alti ceri. C’erano una ventina di persone e tutte si voltarono al mio arrivo. Vidi mio padre, ma prima di avvicinarmi a lui andai dalla nonna. Si aggrappò a me come se per ore non avesse aspettato di fare altro e tra le braccia mi rimase un sacco di pelle pesante e calda. La baciai sulla fronte e le feci capire che stavo bene e che le volevo bene. Non salutai nessun altro e rimasi abbracciato a lei per qualche minuto. Ai funerali ci si strofina. È il tentativo inconscio di confermare col tatto la propria esistenza.
Qualche minuto più tardi arrivarono due uomini con una sorta di bombola del gas. Altri due portarono degli attrezzi, due martelli, una pialla e un gancio, una specie di piede di porco in miniatura. La nonna mi disse all’orecchio:
- Dagli un bacio – e finalmente poggiai lo sguardo sulla bara. Era sostenuta da una barella metallica – guarda, Mattia, guarda come è rilassato il nonno.
Non era rilassato, era freddo, ma non glielo feci notare. Era solo un uomo morto, con i tratti induriti fino a sembrare di pietra. Era mio nonno. Gli avevano intrecciato le dita delle mani come non gli avevo mai visto fare in vita. Le gambe erano tenute vicine dai cuscini. In quell’abito nero aveva l’aria di essere stato messo sotto vuoto. Quando mi chinai per posare le labbra sulla sua fronte gelata sentii che sotto la pelle di gelatina non scorreva più il tempo. Dentro quel corpo non c’era più nulla. Allontanandomi con un cenno feci intendere che si poteva cominciare con la saldatura e gli operai del servizio funebre fecero brillare una fiamma blu.
Prima che cominciassero l’operazione però mi venne vicino il prete. Stringeva tra le mani una sorta di kit pratico della benedizione, una piccola scatola di metallo. Dopo averne sollevato il coperchio mi chiese se per cortesia potessi reggergliela. Conteneva una brocca di acqua santa e un pendaglio per l’aspersione. Il prete recitò le sue formule e quando ebbe finito distribuì gocce d’acqua sul cadavere e sui presenti. Una finì sulla fronte del nonno e come una goccia di sudore scivolò e s’infilò tra il collo e la camicia. Quando la fiamma ossidrica tornò a brillare finalmente cercai mio padre. Senza dirgli nulla, mi misi alle sue spalle e lo abbracciai con tutto me stesso, baciandogli i capelli e premendo forte con le labbra. Tremava, esausto per un pianto che cercava di trattenere da troppe ore. Ad un certo punto sembrò domarsi, ma quando un operaio sollevò il coperchio di acciaio, mi sfuggì dalle mani e si lanciò sul corpo immobile del nonno per le ultime carezze.
Temetti un gesto isterico, ma non lo fermai. Accarezzò il volto di suo padre con le mani aperte, come per scaldarlo e restituirgli in quel modo un po’ di vita. Gli passò l’indice sugli occhi e poi gli diede un buffetto sulla guancia, come faceva con me, quando ero bambino. Voleva essere l’ultimo a toccare il nonno prima che scomparisse per sempre. Quando mi tornò accanto mi mise un braccio sulla spalla e restammo così, l’uno vicino all’altro, per tutta la durata della saldatura. Durante la messa che precedette la sepoltura tenne lui l’orazione funebre e senza piangere riuscì a parlare di amore. Ci mancava il nonno, ma quel giorno ci mancava anche la mamma.
Caro Davide, del tuo racconto mi hanno colpito molte cose. Innanzitutto è ben scritto. E questo non guasta mai e non poi così scontato. Poi il tema che tu affronti coglie e amplifica un dettaglio su cui spesso mi sono trovata a riflettere negli anni: durante un funerale o, comunque, al cospetto di una bara, molti piangono e si rattristano non tanto per il morto che si trovano davanti ma, piuttosto, perché costretti dalle circostanze a confrontarsi con le proprie esperienze dolorose e con le proprie miserie. Mattia e suo padre salutano il nonno con la morte nel cuore. Ma il loro pensiero più intimo e profondo è verso un dolore più grande: la mancanza della madre. L’immagine che più mi ha colpita è stata la descrizione del padre che sente il bisogno di essere l’ultimo a congedarsi da chi gli ha dato la vita: sei stato capace di riportarmi indietro di dieci anni quando ho compiuto lo stesso gesto. Bravo! Continua così
Rendi molto bene l’atmosfera del momento, il dolore di una perdita che non è la prima: è già esperto lui di questi dolori che inevitabilmente risvegliano e lucidano il lutto più grande. Un vissuto triste, descritto con misura e pacatezza senza perdere intensità.
Ciao Davide, ho letto prima l’altro racconto e questa volta mi trovo spiazzato, due scritture completamente diverse e quella di questo racconto è particolarmente matura. Le ultime righe sono toccanti e te lo dice uno che di solito fatica a leggere racconti drammatici. Buon lavoro
Assenze che si trasformano in presenze. Nessuno muore mai finché il suo ricordo rimane vivo. Come il ricordo di quella madre che è una presenza forte nei ricordi dei tuoi protagonisti. Un racconto lucido, ben scritto e con un messaggio universale. Complimenti!
Intenso. Emozionante. Senza alcuna sbavatura. Mi è piaciuto parecchio, anzi, di più.
Una situazione consueta, non affronta temi originali nè contemporanei, ma la forza delle parole, l’intensità dei gesti descritti con nitido realismo, il traboccare delle emozioni, colpiscono il lettore e lo rendono cosciente del dolore e partecipe dell’umanità.
Bellissimo racconto, di grande impatto emotivo. Bravo!
Un racconto molto emozionante che pone in relazione il rapporto tra padre e figlio con l’esperienza lacerante della perdita. Hai una scrittura che sembra una pennellata, tanto che sono riuscita a immaginare perfettamente tutti i personaggi. Bravo!