Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Le finestre di fronte” di Paola Ciregia

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Tengo le tende di sala sempre aperte, da quando è cominciata questa situazione. Un’abitudine che prima non avevo, mi sarei sentita esposta in vetrina, osservata nei movimenti, defraudata della mia intimità domestica. Ma adesso no, adesso avverto il bisogno istintivo di guardare fuori, di sbirciare al di là del vetro, di cercare un contatto – per quanto soltanto visivo – con gli altri, mai come adesso così vicini eppure terribilmente lontani. Mi rincuora vedere che anche negli appartamenti del condominio di fronte gli avvolgibili siano alzati e le finestre spalancate, mi piace pensare che i miei vicini di casa abbiano la mia stessa esigenza di condivisione e vicinanza simbolica. Io rappresento per loro ciò che loro sono per me: una compagnia.

Questa condizione forzata di distanziamento sociale ci ha reso  tutti quanti un po’ spioni della vite altrui e tutti quanti un po’ orfani di quelle stesse vite, vite alle quali, prima, nemmeno facevamo caso, ognuno nascosto dietro il proprio avvolgibile abbassato. Adesso invece ci manchiamo a vicenda, pur essendo sconosciuti della porta accanto.

La luce naturale che tanto mi manca sulla pelle invade le stanze, illuminando del tiepido chiarore primaverile queste pareti degli anni Ottanta che altrimenti si impregnerebbe di mucido.

I rumori che fanno da sottofondo ai miei pensieri si ripetono ogni giorno identici, come nella pellicola di un film proiettato in un cinema di seconda mano, visto e rivisto fino ad averne la nausea. Il tapis roulant dell’inquilino al piano di sopra, il furgoncino che viene ritirare i sacchetti della raccolta differenziata, i pettirossi che cinguettano sui rami degli oleandri e sembrano provenire da un pianeta lontano, e non da questo mondo immobile e contagioso, dove la primavera è arrivata senza portare con sé le promesse di una stagione migliore.

Sdraiata sul divano, un romanzo giapponese sulle ginocchia e il cellulare in modalità silenziosa, osservo chi esce, chi rientra, chi si affaccia al terrazzo; è un viavai di gente rallentato rispetto all’ordinario, la maggior parte delle persone si attiene alle regole e ha fatto dell’isolamento la propria nuova, anomala, normalità.

Quando esco sul balcone, mi capita di scambiare due parole con qualche dirimpettaio, regolando il volume della  voce a seconda della distanza e dell’età del mio interlocutore.  Quando passerà, non se ne può più, quanto tempo ancora ci vorrà per tornare alla vita di prima. La fiera delle frasi fatte, insomma, ma in fin dei conti siamo tutti molto stanchi e, quindi, più clementi l’uno nei confronti dell’altro e delle banalità che reciprocamente diciamo senza nemmeno accorgercene.

Ieri ho visto passare il signore dell’orchidea, stava spingendo una bici malconcia verso la strada, destinata alla sorte crudele di rifiuto ingombrante. L’ho salutato con la mano, avrei voluto uscire e chiedergli se avesse cominciato a leggere il libro che gli ho regalato, ma lui ha proseguito dritto, a testa china. Ho pensato che non avesse voglia di avviare una conversazione e l’ho lasciato andare, rallentato da un incedere instabile e scortato nei suoi passi da uno stridore metallico abbastanza inquietante.

Quando ripenso al suo gesto, avverto ogni volta un moto di commozione inusuale per la mia indole diffidente; sarà che questi tempi ci inducono a una sensibilità esasperata, mi dico. Chissà se è davvero la pandemia a rendermi così o se è, piuttosto, l’età adulta che avanza, con il suo carico di nostalgia e fragilità di cristallo.

Quel signore di mezza età vestito con abiti semplici e troppo pesanti per la temperatura mite di questi giorni si è preso cura dell’orchidea sofferente che avevo sul balcone e, pochi giorni fa, me l’ha restituita in salute, ricca di boccioli e foglie di un verde brillante come quello di un tempo. L’ha fatto in maniera spontanea e disinteressata, congedandosi in fretta senza nemmeno aspettare un mio grazie, sorridendo in maniera quasi impercettibile dietro la protezione della mascherina chirurgica. L’ho capito dall’increspatura dei suoi occhi che stava sorridendo: anche questo ci è stato tolto, il sorriso della gente.

C’è un’altra signora che esce tutti i pomeriggi a prendere una boccata d’aria. È molto anziana, forse più di novant’anni. Ogni giorno indossa tuta e scarpe da ginnastica, fa qualche giro intorno al condominio e poi rientra in casa tenendo le mani conserte dietro la schiena. Il resto della giornata lo passa a curare i fiori e le piante che ha sul balcone e stendere e raccogliere panni, mentre suo marito la guarda e ogni tanto scuote la testa, non so se più esasperato dalla moglie o dalla condizione di clausura. Mi piacerebbe conoscere la trama della loro storia d’amore, quando si sono conosciuti, dove hanno fatto l’amore la prima volta, se si sono mai pentiti di aver trascorso insieme l’unica esistenza che avranno mai a disposizione.

Chissà quali aneddoti mi racconterebbero, se davvero li interrogassi con queste domande.

Diceva la mia cara nonna materna: non si può sapere nulla della  vita degli altri, se non quello che essi sono disposti a confessarci. Ognuno può conoscere bene soltanto la vita di sé medesimo.

E in certi casi neanche quella, mi verrebbe da aggiungere, a meno che non si abbia la fortuna di imboccare la direzione giusta al bivio decisivo, quello che decide del tuo destino.

Nel condominio di fronte è appeso un fiocco rosa al portone: è nata una bambina, l’hanno chiamata Bianca e in meno di due ore ha preteso di venire al mondo, con tre settimane di anticipo rispetto alle previsioni.
Ma che fretta avevi, Bianca? È un mondo strano quello di cui ora fai parte. Un mondo che ti accoglie ma ti tiene alla larga dalla sue bellezze, il sole, l’aria, il cielo, il mare, la sabbia tra le dita.

E le margherite. Che ricoprono il prato di un manto bianco e soffice, in attesa di essere colte, regalate alla mamma e messe in un bicchiere d’acqua sul tavolo della cucina.

Tra qualche mese imparerai a soffiare sui loro petali, loro voleranno via e tu crederai di aver compiuto una specie di magia. Anche noi adulti dovremmo cercare di preservare l’ingenuità di credere alle magie e alle bugie bianche, proprio come fate voi bambini. Io, nel mio piccolo, ci provo.

Credo che racconterò di queste persone a mia sorella, quando la chiamerò per il colloquio settimanale che ci è concesso. Le voglio molto bene, ma vorrei che smettesse di compatirmi, di minare l’equilibrio che, con fatica e continui aggiustamenti, sono riuscita a raggiungere su questo filo da trapezista che è la mia vita.

«Ti sentirai ancora più sola, adesso che il protocollo di emergenza vieta le visite coi familiari», so già che mi dirà con voce melodrammatica.

E io, come sempre, le risponderò che no, non mi sento sola. Non mi sentirò mai sola, fintanto che avrò l’immaginazione a farmi compagnia.

Sento avvicinarsi alla mia cella i passi di una guardia penitenziaria.

«Sicura, Nilù, che non hai nessuno da chiamare nemmeno stasera?»

Riconosco la voce di Marisa, è una tipa risoluta ma gentile, almeno nei limiti di ciò che può.

«Sicura Marisa» le rispondo. «Non ho nessuno, eccetto me medesima.»

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7 commenti »

  1. Una bella pagina. Un diario destinato a rimanere scolpito negli annali della storia umana. Un virus che ci ha costretti a ripensarci, a fermarci un attimo e riflettere.
    Siamo abituati al caos, alla velocità . Ma non adesso. Ben fatto.

  2. Va letto e ricominciato, anche più volte, per trovare la chiave e vedere il filo trasparente su cui si muove questa donna, la sua necessaria ingenuità di credere alle magie. C’è qualcosa della casa in riva al mare di Dalla, e c’è naturalmente Sally: la vita è tutto un equilibrio sopra la follia. Bellissimo e splendidamente scritto.

  3. ottima scrittura, fluente e con un lessico ricercato, ma non pesante. certamente l’attualità del tema offre molti spunti di riflessione.

  4. Grazie per le belle parole dei vostri commenti. Con questo racconto ho provato a dare voce a chi la solitudine, l’isolamento e la mancanza di prospettiva futura la vive quotidianamente, oltre che a rammentare, a me stessa e ai lettori, il potere dell’immaginazione e della fantasia, soprattutto nei momenti di crisi come quello che stiamo attualmente vivendo.

  5. Bel racconto Paola, molto attuale e molto originale il taglio che hai dato alla storia.
    Apprezzo sempre le realtà che si svelano a poco a poco, senza quasi dire nulla, e che poi si rivelano per quelle che sono, all’improvviso.
    Bella anche la scelta dei due temi, uno molto attuale, l’altro, purtroppo, tanto usuale.

  6. Cara Paola, con il tuo bel racconto hai voluto ricordarci che in ogni situazione esistono sempre diversi punti di vista e diversi sistemi di rifermento: ciò che per molti è anomalo e straordinario, per alcuni è la normalità. Ma c’è un posto in cui non esistono limiti: la nostra mente. Complimenti!

  7. Mi piace molto.Il racconto si snoda tra osservazioni di vita quotidiana attraverso un’attenta descrizione e si risolve come un jazz su delle note che stupiscono il lettore. Ben fatto.

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