Premio Racconti nella Rete 2020 “Fottute coincidenze” di Daria Camillucci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Questa è una storia di coincidenze. Se col mio SUV non avessi abbandonato l’autostrada per un bisogno impellente, adesso non sarei alle prese con un morto, malamente riverso tra l’erba ingiallita. Ed invece, eccomi qua in una stradina carsica con il cuore che batte all’impazzata e un cadavere ancora caldo.
Malgrado l’aria ingessata dall’afa, che rende difficile la concentrazione, intuisco che dovrei darmela a gambe! Ma è ormai tardi. Alle mie spalle c’è un uomo in bicicletta con due spilli per occhi. Odio gli scherzi del destino e questo tizio che va in giro sotto il calore ostile del sole, piuttosto che starsene a casa con l’aria condizionata.
”Serve aiuto?” chiede.
Ecco un piantagrane, mi dico, maledicendo la sfiga che lo ha portato sulla mia strada, perché adesso si dovrà chiamare per forza la polizia. Lo fa lui, Livio Solari, col suo cellulare. Nell’attesa, non smette di subissarmi di domande. Io naturalmente glisso e cerco di filare via.
“Basta che ci stia una persona col cadavere!” dico.
Ma l’uomo che, guarda caso è un poliziotto in pensione, mi obbliga a restare. “Scherza, non può andarsene. Lei è un testimone!”
“Testimone di che! Non ho visto niente! Quando sono arrivato, era bell’è crepato. Non aveva polso e non respirava!”
“Così lo ha toccato! Non doveva farlo! Questo è il teatro di un delitto!”
“Pensa che sia stato ucciso, allora?”
“No, si è suicidato – dice sghignazzando il mio compagno, che poi aggiunge – E’stato strangolato, non vede i segni sul collo? Ma prima è stato tramortito con un colpo in testa, vede la bozza? … l’assassino si è servito di una pietra!”
Solari non ha il tempo di continuare la sua lezione di criminologia. Da una volante scendono due truci agenti di polizia che, ignorandoci, delimitano la zona con un nastro bianco e rosso. Arriva anche la scientifica e un giovane ispettore di polizia, che il mio caustico compagno non esita a definire il pivello con le stellette.
Mentre racconto all’ispettore Marin perché mi trovassi in quella zona, giunge anche il medico legale. Ed è in quel momento che Solari attira l’attenzione di tutti puntando l’indice verso un grosso castagno, posto a pochi metri.
Dopo aver intimato di non muoverci, l’ispettore si avvicina all’albero sul cui tronco è stato appuntato, con due puntine da disegno rosse, un foglio che si muove come una bandierina al ritmo di un alito di vento bollente. Viene raggiunto anche dai tecnici che scattano fotografie a raffica. Sul foglio A4 qualcuno al computer ha scritto”Dio ti vede! Ricordati degli indizi”.
“La faccenda si fa interessante!” osserva il laconico ispettore, dopo aver staccato il messaggio e averlo infilato in una busta di plastica trasparente.
Il vecchio che non sta mai zitto, sentenzia:“Questa è opera di un mitomane che vuole finire sui giornali! Sento puzza di serial killer!”
Il susseguirsi degli avvenimenti mi ha instupidito per non parlare della guancia che mi pulsa come un metronomo. Mi tocco e sento le protuberanze, gli arzigogoli, della cicatrice che dal mento arriva alla tempia destra. La vecchia ferita mi fa male. E’ il ricordo del brutto incidente automobilistico di due anni fa dal quale psicologicamente non sono ancora uscito. Il mio umore, che generalmente oscilla tra depressione e iperattività ansiosa, in questo momento urla che ha bisogno degli amati psicofarmaci. Ma so che è meglio rinunciare al solito toccasana perché devo guidare sino a casa. E voglio arrivarci vivo.
Si chiamava Raul Dini, faceva l’avvocato e, come me, abitava a Trieste. Ma la somiglianza finisce qui. Lui, era pieno di soldi, mentre io con il mestiere di rappresentante mi faccio il culo quadrato a forza di macinare chilometri in auto. Sul piano fisico invece io ho la meglio con il mio metro e novanta e i bicipiti da urlo. Dovrei dire però che avevo la meglio prima dell’incidente. Quando cioè non avevo la faccia sfigurata dal reticolo di solchi che fanno somigliare la parte destra del mio volto a un terreno carsico grumoso.
So di essere ridicolo, e un poco mi vergogno, a fare simili confronti con un morto, ma mi è difficile ignorare l’aspetto da topo di biblioteca dell’avvocatino.
Non conoscevo la vittima, probabilmente per questo motivo la polizia non mi ha mai sospettato anche se le noie non mi son mancate. Per testimoniare in questura ho dovuto perdere giornate di lavoro, per non parlare di quello scocciatore di Solari, sempre tra i piedi, che si è messo in testa di risolvere il caso. Così spesso mi ritrovo a fargli la cronistoria di quel fatidico giorno.
E anche adesso gli sto ripetendo ancora una volta come la mia vita sia andata a puttane per delle coincidenze. Non sarei infatti finito in questa rottura di coglioni se non fossi uscito dall’autostrada. Ma ci ero stato costretto. Nel giro di chilometri non avevo trovato neanche un punto ristoro, dove liberarmi dal fastidioso peso che mi oberava. E così, dopo aver inforcato la statale, avevo percorso una stradina che saliva verso un colle con in cima una struttura moderna, forse un albergo. Guidavo lentamente per trovare il posto adatto, quando scorsi finalmente quello che faceva al caso mio.
Parcheggiai in uno spiazzo contornato da lecci, ginestre e alti cespugli. Da un lato intravvedevo la strada appena percorsa, mentre alle mie spalle il panorama si tuffava nella verde profondità delle doline. Finalmente mi accucciai con un sospiro di sollievo in mezzo all’erba, ignorando la bellezza rustica del paesaggio e i suoi colori brillanti. Semmai avevo in testa la mia donna che mi aspettava a Trieste.
Oddio, dire che mi aspettava era una inesattezza perché il mio arrivo sarebbe stato una improvvisata e già pregustavo la notte di sesso focoso che avremmo passato.
Solari beve ogni parola, con gli occhi vividi che mi fissano come se non fosse l’ennesima volta che ripercorro i fatti. Slaccio il primo bottone della mia stropicciata camicia e mi metto comodo.
Siamo a cena e il mio quasi amico pagherà il conto. Ho scelto io il posto: una tavola calda a buon mercato in cui si mangia il pesce, la mia pietanza preferita. Giorgio, il cuoco factotum, toglie dalla griglia gli sgombri e ce li serve su dozzinali piatti bianchi, segnati dai troppi passaggi in lavastoviglie. Non sottilizzo perché il pesce è fresco ed è quello che conta.
Mi guardo attorno, al tavolo accanto ci sono due vecchie imbalsamate, madre e figlia che conosco di vista. Al banco due avventori brilli parlano a voce troppo alta. Hanno già superato il limite e tra poco il titolare li inviterà ad alzare i tacchi. Se ne vanno poco dopo infatti, ma prima vanno al gabinetto. Quando a mia volta lo raggiungo, la puzza è stomachevole e attorno al water sul pavimento naviga il piscio.
Solari nel frattempo ha saldato il conto e con lo sguardo dell’ubriaco dice: “Gino, amico mio, per me questo mistero resterà insoluto … ne hanno trovato un altro!”
“Un altro che?” chiedo. Questa storia non mi appassiona come pare invece avvinca i media.
“Un nuovo messaggio dell’assassino. E’ tornato sul luogo del delitto, beffeggiandoci tutti!”
“Prendendo per il culo voi poliziotti!” lo correggo con una certa soddisfazione.
“Il nuovo messaggio e ancora più sibillino del precedente e recita così: “Se vuoi la verità devi andare alla chiesa di Repentabor. Praticamente una sfida per chi si occupa del caso, che non ha sufficiente esperienza. Ai miei tempi fare il poliziotto era una cosa seria.”
Devo aver sbuffato perché Solari mi guarda storto con il suo sguardo avvinazzato. Entrambi abbiamo bevuto troppo!
Come due amiconi ci alziamo traballanti dalle sedie, diretti alle auto. Ma prima mi dà appuntamento per la sera successiva. Un’altra cena gratis, una manna visto che mia moglie ultimamente si rifiuta di cucinare. Probabilmente non è abituata ad avermi troppo intorno, visto che a causa delle indagini ho ridotto il giro di lavoro e adesso rientro ogni sera.
Il giorno dopo Solari arriva in trattoria trafelato. “I giornali ne parleranno domani! Da non credere. La polizia ha seguito una falsa pista!”
“Falsa?”
“Non erano dell’assassino quei messaggi, ma tracce di una caccia al tesoro della domenica prima del fattaccio. Indizi di un gioco organizzato da una associazione del tempo libero. Ma come ha fatto Marin a finire in un simile tranello?”
Vorrei ribattere che era stato proprio lui a condurcelo con le sue chiacchiere da esperto segugio, ma invece mi metto a ridere per quelle assurde annotazioni che con l’omicidio c’entravano come i cavoli a merenda.
Solari continua a blaterare. La sua voce mi giunge alle orecchie indistinta mentre ripercorro mentalmente quel maledetto giorno.
Quello delle coincidenze che mi hanno fottuto la vita.
Intento a fare le mie cose, pensavo all’improvvisata che avrei fatto alla mia donna. Il fatto è che essendo rappresentante di cosmetici percorrevo il Nord Italia in lungo e in largo. Di norma dunque passavo per la mia regione, e nella mia casa di Trieste, tre giorni al mese. Ma quel giovedì avevo anticipato di una settimana l’arrivo per sostituire un collega ammalato.
Mi sto dunque pulendo il culo quando una Seicento bianca si ferma, proprio a pochi metri dal mio nascondiglio. E chi c’è alla guida? La mia bella e prosperosa moglie che si sbaciucchia con uno sconosciuto.
A quella vista mi sento uno stupido guardone prigioniero di una illusione. Quella di avere un matrimonio perfetto. Non trovo altro tempo per fare lunghe riflessioni perché il tizio scende e va verso una BMW nera che prima non avevo notato, parcheggiata a cinquanta metri in un boschetto.
Vorrei correre là, dai fedifraghi, ma ho i pantaloni abbassati e per di più sono in preda a un groviglio di emozioni. E non ho il tempo di ben realizzare l’accaduto, che mia moglie ingrana la prima e parte in tromba, lasciando il tizio a farle ciao ciao con la manina.
Subito dopo l’insignificante ometto inizia a guardarsi attorno, con l’evidente intenzione di farsi una bella pisciata. Sparisce poi tra le lingue d’ombra dei cespugli di ginestra.
Una folata di aria bollente mi accompagna, mentre silenziosamente lo seguo. Non ho un vero piano, ma quando raccolgo da terra una grossa pietra, mi dico che se non si fosse stupidamente attardato per pisciare, l’avrebbe scampata. Ma in fondo il destino di tutti noi è affidato al caso!
Dini mi sta voltando le spalle quando lo colpisco con la pietra.
Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. In genere è così anche se questa volta aveva troppe casseruole sul fuoco e qualcosa gli deve essere scappato visto che il killer l’ha fatta franca.
Un racconto scoppiettante dal gergo popolare e immediato.
Ps ma quella che definisce la sua donna era la moglie o no?
Era sua moglie. C’è scritto nel racconto! Grazie del bel commento. Sei stata molto carina.
Molto piacevole, un racconto scorrevole e divertente con l’andamento di un telefilm, potrebbe essere anche un bel corto.
Tante grazie Gianna Valente!
Il finale a sorpresa però non è una coincidenza, ogni frase è ben collegata con quella successiva.
Complimenti.