Premio Racconti nella Rete 2020 “L’isola dei morti” di Daria Camillucci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Il tempo è volato mentre mi immergevo nel mondo enigmatico del rematore e della bianca figura, che su una barca scivolano verso un’ isola mortifera. Constato di aver perso troppo tempo ad ammirare il nuovo quadro, l’ultimo acquisto della mia collezione e adesso sono in ritardo!
Quando alle tre del pomeriggio finalmente parcheggio Carolina, la mia vecchia panda, in uno spiazzo erboso declinante su terreni incolti, il sole si discioglie dietro alberi di alto fusto, che non riescono a frenare i rumori del traffico della vicina statale. Scendo sbattendo la portiera e, avvicinandomi agli indaffarati colleghi della scientifica, lancio una frettolosa occhiata all’interno del veicolo.
La cinquecento rossa ha le portiere chiuse dall’interno, salvo una che non ha il blocco. Per l’uomo al posto di guida non c’è più niente da fare. Un tubo flessibile collegato alla marmitta ha riempito l’abitacolo di monossido di carbonio. Il morto indossa Tshirt e jeans che una nota griffe ha sapientemente scolorito.
“Suicidio!” sentenzio convinto di essere alle prese con un caso da manuale.
“Si chiamava Giulio Monti!”m’informa l’agente Sinico. Ha in mano un libretto di circolazione.
Sussulto, incredulo. Quel nome l’ho sentito due ore fa. Scruto con più attenzione il morto. Qualche cosa non quadra!
L’uomo della cinquecento non è Giulio Monti, mi dico rammentando il cliente chiacchierone che avevo incrociato al Babau: stavo mangiando un fritto misto e dell’insalata, nel mio solito tavolo d’angolo, quando il tizio, che sino a quel momento aveva parlato di calcio con Giorgio, il titolare, raccontò di essere appiedato in quanto aveva prestato l’auto al fratello Piero: “A proposito, passerà per portarmi dei documenti, li prendi tu?”
“Non c’è problema!” aveva risposto Giorgio che intanto lavava coi soliti gesti automatici i bicchieri e sistemava le pietanze nell’espositore.
“Sulla busta ci sarà il mio nome, Giulio Monti! Che non finisca in cavalleria, perché e’ la dichiarazione dei redditi!” aveva detto sogghignando.
“Le tasse te le lascio!” aveva ribattuto l’altro.
Assieme al mio fedele scudiero Sinico, apro la porta dell’appartamento del defunto Piero Monti. L’intenzione è quella di dare un’occhiata, forse troverò il messaggio di addio che non c’era in macchina. Ma appena entrato ho una strana sensazione. E’ l’odore a procuramela. Odore di morte. Infatti in cucina a terra c’è del sangue rappreso che fa da aureola a un cadavere con solo le mutande addosso e un pugnale nel petto. Monti alle mie spalle ha un singulto e mormora: ”Angelo, Angelo Dardi.”
“Chi sarebbe questo Angelo?” chiedo con la brutta sensazione di essere finito in un filmaccio thriller.
“Mio fratello lo ospitava, dopo che la sua donna lo aveva messo alla porta … è terribile. Si conoscevano dai tempi di scuola.”
Sinico, che è soprattutto un amico, vedendomi in tranche mi richiama. “Lucio, cosa ne pensi?”
Non rispondo, preferendo guardarmi attorno. Sembra che nell’elegante appartamento di via Giulia sia passato un ciclone. Cassetti aperti, biancheria a terra, abiti sui letti. ”Suo fratello teneva molti liquidi in casa?”
“Credo di sì, per il suo lavoro. Ha … aveva un negozio di gioielli.”
Corrugo la fronte. Dalle informazioni raccattate in giro mi risulta che avesse una fiorente attività di strozzinaggio. Ma tengo per me illazioni e sospetti.
“Ispettore Salvagni, posso controllare cosa hanno portato via? Erano ladri, no?” chiede preoccupato.
“Non tocchi nulla, questo è il teatro di un delitto” ordino mentre con il cellulare chiamo la scientifica.
In teoria dovrei essere stanco morto, mi dico entrando nel mio appartamento, dopo dodici ore ininterrotte di servizio. Ma invece al pensiero di rivedere il mio adorato dipinto ho le ali ai piedi. Quasi di corsa raggiungo la mia camera, mettendo una sedia proprio dirimpetto al letto a due piazze che è ancora sfatto. Ma non ci bado perché ho occhi solo per lui, che è conturbante. Ha la stessa forza luciferina della copia che avevo visto in un museo di Lipsia!
L’ho appeso al muro, sopra il letto, dove in genere si mettono madonnine o santi protettori. E’ di grandezza media, con una cornice niente di speciale, ma basta il suo fascino misterioso a riempire da solo la stanza.
Sistemo meglio sulla sedia il cuscino e mi lascio andare coi pensieri che fuggono qua e là. I chiaroscuri dell’opera simbolista fanno meditare più di un trattato sulla psicanalisi, mi dico catturato come sono emotivamente dalla tela. Ripenso alla fatica che ho fatto per ottenerla e i soldi che mi è costata. Il fatto è che quando l’ho vista sul banco di Nereo, il mio rigattiere di fiducia, l’ho desiderata come mai avevo palpitato per una donna. Sono appassionato di pittura, la mia unica passione in realtà, ma è così impetuosa che somiglia a una droga. Sto sempre in giro per mercatini nella speranza di fare l’affare del secolo. E questa volta il mio istinto dice che ho fatto il colpaccio, alla faccia di Nereo che non ha capito il valore di questo quadro tetro e del proprietario che glielo aveva dato in conto vendita e che sino all’ultimo era indeciso se vendere oppure no.
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Sono di nuovo nell’abitazione di via Giulia, il corpo di Dardi è stato portato via, la scientifica ha finito i rilievi e posso muovermi senza fare danni. Ormai è appurato che si è trattato di un doppio omicidio a scopo di rapina. Sicuramente Monti conosceva l’assassino che, dopo averlo tramortito, ha inscenato il suicidio per poi recarsi nella sua abitazione con l’intenzione di mettere le mani sui suoi soldi. Si era imbattuto però in Dardi, che per questo era stato assassinato.
La rapina aveva fruttato un bel mucchio di Euro. Circa un milione in banconote che il gioielliere teneva a portata di mano per i suoi loschi traffici.
Mi avvicino alla cassaforte della camera da letto che l’assassino non era riuscito a scassinare e dall’ armadietto accanto tiro fuori una pila di documenti. Sono relativi al negozietto di gioielli. Li sfoglio ancora una volta. Ma ho un sobbalzo quando da una spiegazzata busta, finita in fondo al mobile, sfilo la foto di un quadro. La sfioro con lo sguardo e poi d’istinto lancio un’occhiata al solitario chiodo piantato sopra la testiera del letto.
Là doveva esserci stato un dipinto che l’assassino si è portato via!
Devo interrogare di nuovo Giulio Monti.
“Suo fratello possedeva una copia del famoso dipinto L’isola dei morti?” chiedo con una punta d’ansia che nascondo a malapena.
L’uomo aggrotta la fronte. “Intende quel quadro cupo che fa pensare a Caronte che traghetta i morti ?”
Ripeto la domanda:”Allora c’era quel quadro di Beocklin?”
“Adesso che me lo ricorda, c’era. Mi scusi, ma non mi sono mai interessato di arte! Deve averlo preso il ladro perché effettivamente non l’ho visto in giro … lo aveva portato da Berlino ancora mio nonno, che lavorava in una banca!”
Per un attimo vedo buio, mi riprendo e con il cuore che batte a mille replico:“Seconda guerra mondiale … Eppure si è sempre detto che quel quadro fu distrutto nel bombardamento della banca …”.
Mi guarda perplesso e poi commenta:“ Come fa a sapere del bombardamento, non parliamo mica un capolavoro! Mio nonno diceva di averlo acquistato sottobanco dal proprietario che ne incassò l’assicurazione …
“… così era un’opera importante, adesso capisco perché non la faceva vedere a nessuno! Non avrei però mai immaginato che quella crosta avesse valore.”
Alla parola crosta sobbalzo come se mi avesse schiaffeggiato. Ma subito dopo gli faccio la domanda che mi sta perforando il cervello:“Suo fratello per caso voleva venderlo?”
“Rinunciò, il tizio pagava poco con la scusa che poteva essere un falso e a dire la verità anche noi non sapevamo cosa fosse!”
Sono nella mia postazione preferita. Fisso il quadro con l’animo tormentato.
So chi è l’assassino!
Già, anche se non l’ho detto ancora a nessuno, ho risolto il caso e dovrei esserne felice, ma invece ho il fiele in bocca. So che a uccidere è stato Nereo. Lo ha fatto per rubare il denaro e già che c’era si è preso anche il quadro, visto che aveva un tizio che friggeva per comprarlo.
Il fatto devastante per me è che sono io colui che ha comprato la tela, anche se in cuor mio sapevo che era roba rubata. E’ vero che non sono mai andato troppo per il sottile pur di placare la mia passione, ma un conto è comprare merce poco pulita, altro è portarsi a casa un dipinto insanguinato!
“L’isola dei morti”, così si chiama il dipinto, ha rappresentato per me il classico colpo di fulmine, e del resto ha fascinato chiunque lo abbia visto. Di quel dipinto l’artista aveva fatto cinque copie e una di queste si credeva perduta e invece era appesa da più di settanta anni nella camera da letto di Monti!
Tutto ciò ha dell’assurdo!
Sento di essere il fottuto tiro a segno della malasorte perché pagherò a caro prezzo qualunque scelta faccia. Mettendo le manette a Nereo, dovrò rendere il dipinto al proprietario, chiunque esso sia, e lo perderò per sempre. Se invece taccio e continuo a godermelo ogni minuto, ogni ora, ogni notte, lascio in libertà un assassino.
Urlando la mia coscienza indica la strada, ma non riesco a togliere gli occhi dal fascino magnetico del quadro, dalla sua atmosfera stregata. Annego nella sua immagine onirica e mi sembra di essere su quella maledetta barca che si sta avvicinando all’isola illuminata da un bagliore sinistro.
Mi immedesimo nella sagoma bianca, avvolta da un sudario con accanto il rematore e la bara, e dimentico ogni cosa. Scordo qualunque buon proposito.
La mia meta, come quella di chi va sull’isola, non ha ritorno.
Racconto interessante. Qualche tempo fa ho scritto anche io una storia dal titolo “l’isola dei morti” proprio ispirata al dipinto di Böcklin. Quel dipinto ha ispirato anche il grande pianista Rachmaninov che rimase affascinato da una sua copia in bianco e nero. Pare che anche Hitler ne possedesse una copia nella sua camera da letto.
Quindi il fascino e il mistero di questa storia prende il la da un ottimo punto di partenza. La trama è abbastanza compressa probabilmente per cercare di rimanere in una lunghezza adatta a questo contesto e probabilmente potresti svilupparla in un testo di più largo respiro. Comunque ho trovato la lettura piacevolmente intrigante. Brava.
Ti ringrazio per il bel commento. Il racconto è sicuramente compresso, ma la costrizione è dovuta al bisogno di restare nelle 9 mila battute previste dal concorso. Nell’eventualità che non venga scelto per la pubblicazione lo amplierò e chissà, forse potrebbe diventare anche un romanzo.
Come scrivi anche tu, una delle copie sicuramente appartenne a Hitler, tant’è che esiste una foto del dittatore in posa proprio davanti all’opera d’arte. Credo che quel dipinto ora si trovi in un museo di Berlino. Pare che Hitler ne avesse fatto una malattia pur di averlo. Almeno è quanto ho letto su questo capolavoro.
Ti saluto e ti abbraccio
Daria
Il racconto è molto ben congeniato, perchè molti dipinti che si credevano perduti sono riapparsi dopo decine di anni in qualche collezione. Lettura scorrevole e interessante.
Il racconto mi è piaciuto molto, sia per i suoi collegamenti storici che per la suspence creata in modo piacevole e non forzata, che per il finale dove la scelta di “Lucio” è in equilibrio instabile tra il bene ed il male, in un limbo che bene viene rappresentato, in parallelo, visivamente dal quadro nel momento del passaggio tra il mondo terreno e l’aldilà, passaggio dove lo specchio d’acqua è la linea di demarcazione sia fisica che psicologica.
Brava
grazie a tutti per i bei commenti
Scegliere non è mai facile, e, una volta fatta, la scelta, non si torna indietro.
Le parole di questo racconto traghettano ogni lettore verso la sua isola.
Complimenti.