Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Fuori” di Simona Barba

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Guardo fuori dalla finestra. Le montagne sono ferme di fronte a me, la luce del sole mattutino è tagliente. Bisogna andare via.

Tu mi abbracci, mi stringi forte. Mi piace sentirmi stretta a te. Nell’abbraccio adatto il mio corpo contro il tuo per avere tutta la mia superficie più a contatto con la tua. Ora il mio corpo, sotto i vestiti, sta cercando il tuo. Ascoltiamo a occhi chiusi i nostri respiri profondi. Ci accarezziamo come se fosse la prima volta, le mani sono dolci e incerte. Sentiamo crescere l’uno il desiderio dell’altra.

-Vai via –  mi dici. 

Eppure io non posso andare via, perché dovrei? Sto cosi bene, qui, con te. È una richiesta impossibile da esaudire.

-Mandami via.

È la mia sfida.

Non ci riesci. Mi accarezzi, le mani hanno ritrovato la loro sicurezza e cominci a spogliarmi.

-Non abbiamo tempo.

Tempo, con te ho sempre fame di tempo.

 Ma io utilizzo quel poco  tempo rimasto per togliere tutti i nostri vestiti, togliere qualsiasi barriera, per sentire combaciare il tuo corpo esattamente al mio.

Ogni centimetro quadrato della mia pelle cerca il suo corrispondente sulla  tua, lo chiama e lo raggiunge. Voglio sentirmi schiacciata.

Scivoliamo l’uno dentro l’altra, assaporandoci. Ti avvolgo.

 In questo momento vorrei fermare tutto, perché ora tutto combacia. Tutto è perfetto.

Ma il desiderio è tiranno e si consuma nel  piacere,  che ha bisogno di far muovere i corpi, prima lentamente, poi sempre più velocemente.

Siamo di nuovo immobili.

Ti stringo forte perché non voglio che ti muovi, voglio ritardare il risveglio dal tuo torpore, il momento nel quale ti distacchi da me.

Riapro gli occhi. La finestra è sempre di fronte a me.

Mi gira un po’ la testa. Le vertigini a volte ricompaiono e fanno ondeggiare le montagne di fronte a me. Un forte ronzio attraversa i vetri, è l’elicottero che controlla dall’alto le abitazioni. Automaticamente mi scosto, anche se so che è impossibile essere vista, ma il mio movimento è diventato istintivo.

Richiudo gli occhi.

Cerco nei ricordi. Quanto tempo è passato? Non riesco più a ricordare distintamente.

Provo a stringerti ancora, ma non ci sei più. Mi giro a cercarti, ti stai vestendo, mi volti la schiena mentre cerchi le tue cose da sistemare nello zaino. Mi piace osservarti quando non lo sai. Sei concentrato a cercare i vestiti sparsi.

– Ora andiamo veramente via.

Fermo il mio ricordo: mi soffermo su quell’avverbio. Non pensavo certo nascondesse questa realtà. Sei andato via. E non possiamo più incontrarci.

Le note ormai familiari della musica che precede gli annunci mi distraggono, fuori  l’altoparlante delle nove ripete il consueto messaggio: tutti in casa per il bene di tutti! Per il bene di tutti, tutti in casa.

Alla radio ho sentito che dei bambini hanno composto una canzoncina su questo motivetto. Mi fa sorridere pensare a quelle tenere vocine cantare. Chissà dove hanno messo tutti i bambini?

Il sole fuori dalla finestra sembra ridere, ma la luce tagliente sta diventando un sorriso sarcastico. Non posso uscire. Nessuno può uscire da tanto tempo. Strano che la chiamino quarantena. Sono tre anni che nessuno esce più, pena la vita o la prigione.

Tocco con la mano il vetro, mi devo concentrare per ritrovare il mio esercizio quotidiano di memoria. Ho paura di dimenticare.

Gli abbracci sono vietati. È vietato toccarsi. Il corpo è diventato una entità pericolosa.  Alla radio ho sentito che qualcuno ha provato a tagliarsi gli arti per ridurre i problemi. Ieri nel cortile, quando sono andata a prendere la razione di provviste settimanale portate dall’esercito, ho visto un militare senza una mano, la manica dell’uniforme era bloccata da un guanto nero vuoto.  Forse è vero quello che qualcuno bisbiglia attraverso le pareti,  ma non ho modo di confrontarmi.

Una abitazione per un abitante. Tutti separati. Per il nostro bene. Per il bene degli altri. Anche se non so più quanti altri ci siano. 

Da quando la rete è crollata solo il governo dà notizia di quanti siamo. Dicono che siamo ancora tanti.

È cosi strano cercare di ricordare. Ci siamo abituati lentamente, tutti docilmente, alla nuova vita; pezzo dopo pezzo abbiamo rinunciato a qualcosa, percorrendo una scala verso il basso, verso le sole azioni fondamentali nele quali siamo ancora liberi: mangiare, bere, evacuare, dormire.

Guardo il tavolo, c’è la pillola rosa, la pillola della serenità , così la chiamano quelli della protezione civile. La ripongo in un vasetto di vetro in modo che sia ben visibile, non voglio scordarmi di prenderla. Una volta presa lascio nel vasetto un biglietto con la data e l’ora, così contemporaneamente diventa un buon esercizio per ricordarmi che giorno sia oggi. Probabilmente è a causa di questo lucido confetto rosa che non riesco a ricordare bene le cose, ma non posso farne a meno. Mi fa dormire tranquilla.

Provo a cercare nuovamente il ricordo del tuo abbraccio, cercando il riflesso della mia mano sul vetro.

I tuoi muscoli si tendono per stringere, la forza sale gradualmente, finchè non mi sento stretta, chiusa, così bloccata sono tranquilla. Sono di nuovo sulla tua spalla, ti annuso il collo come un cane.  Meticolosamente salgo dalla base del collo fino all’orecchio, per ritornare indietro felice del sentiero ritrovato. Voglio conservare nelle mie narici il tuo odore. Lo faccio sempre. Non so ancora che questa volta è la più importante.

Scrollo la testa, basta ricordare.

Controllo la finestra, è sigillata, così il virus  che è fuori non entrerà.

Starò bene.

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16 commenti »

  1. Si legge con piacere anche se inquietante come i tempi che viviamo, mi ha ricordato le atmosfere di 1984.

  2. Inquietante, rende bene l’incubo apocalittico. Brava

  3. Ti ringrazio Giuseppe! 1984 è uno dei miei libri preferiti. grazie ancora per il commento

  4. Grazie Gianna, visto che in effetti stiamo vivendo in un incubo, ho cercato di estremizzarlo… grazie ancora per il commento

  5. Brava, rende molto bene il risvolto psicologico che sta dietro a tutto quello che stiamo vivendo e che credo ci cambierà per sempre. Seppur estremizzato, il senso di mancanza, di lontananza é esattamente quello. Complimenti!

  6. Grazie Elisa! Si, la lontananza e il distacco sono il tema, insieme a quella sensazione apparente di abituarsi a tutto… grazie ancora!

  7. Brava testo molto scorrevole e ansiogeno.

  8. Vedete che possiamo spendere il tempo di quarantena in modo produttivo? Ad esempio scrivendo in bel racconto. Brava! Agli inizi sembrava la solita storia fi amore e invece proprio per niente 🙂

  9. grazie Marcello e grazie Silvia! in effetti non voleva proprio essere una storia d’amore. – ; ma una estrema conseguenza di quello che stiamo ora vivendo, forse sto cercando di esorcizzarlo in qualche modo. grazie per i commenti!

  10. Hai una bella scrittura. Complimenti. La storia è incalzante e avvolgente come le spire di un boa, come le sabbie mobili in un oasi nel deserto. Verde e lussureggiante ne sei irresistibilmente attratto. Poi, senza accorgerti, ti trascinano giù e ti tolgono il respiro. Brava!

  11. Ma che immagini suggestive che mi regali, Monica! grazie mille per il tuo commento!

  12. Concordo nel dire che calza a pennello con il periodo storico che stiamo vivendo e dal quale, voglio credere, usciremo in maniera un po’ più brillante…Ma, in realtà, dentro questo racconto ho trovato molto più di un “semplice” scenario apocalittico postpandemico: ci ho trovato le tante, piccole prigioni che ognuno di noi costruisce attorno a se stesso dove può vivere al sicuro da ciò di cui ha paura e con il quale teme di confrontarsi. Siamo tanti piccoli consumatori di pillole rosa. Brava!

  13. Grazie Sandra del tuo commento, bellissimo il pensiero che mi hai trasmesso. grazie ancora

  14. Inquietante, non solo per i richiami alla situazione che stiamo vivendo, ma soprattutto perché è scritto in modo perfetto. Un racconto sospeso e ansiogeno. Bravissima!

  15. Mirabilmente raccontato, questo digiuno da calore umano. Il distanziamento sociale obbligatorio, in questa narrazione distopica, è la sofferenza che proviamo tutti, perché non siamo fatti per stare in isolamento. Un vero scenario da incubo, attenuato da tinte melanconiche. Bravissima.

  16. Grazie mille Michela e grazie mille Maria, sono contentissima che vi sia piaciuto e evocato scenari sospesi. grazie ancora!

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