Premio Racconti nella Rete 2020 “I marziani, finalmente!” di Leonardo Schiavone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020L’umanità languiva in balia degli imbecilli che avevano colonizzato ogni angolo della crosta terrestre e si moltiplicavano per bieca imitazione, a ritmi talmente frenetici… che neppure i ratti. Tutto sembrava perso.
I pochi individui ancora immuni dal devastante virus apparivano rassegnati al peggio, delusi da ogni tentativo esperito, ma rivelatosi infruttuoso, e dagli inutili appelli a divinità di ogni genere, che pure erano state scomodate per l’occasione.
Quando l’uomo, sempre meno sapiens, si accorse che gli imbecilli avevano oltrepassato la soglia della decenza, s’impose con urgenza la necessità di un cospicuo sfoltimento. Era stato superato di brutto qualunque limite consentito, in nome della “diversità”, lodata come “grande ricchezza per la specie” dagli illustri luminari e dai professoroni che pontificavano dalle cattedre accademiche.
Ma come sforbiciarne una buona porzione?
“Becchiamoli tutti e sterilizziamoli”, urlavano in tanti. “Staniamoli con le ruspe”, benché essi si aggirassero tranquillamente alla luce del sole. “Acciuffiamoli tra i fenomeni che parcheggiano in doppia fila”, azzardava qualcuno. “Sì, ma pure tra i furbetti del cartellino”, facevano eco altri. “Pizzichiamo chi trascura la raccolta differenziata e abbandona in strada il vecchio televisore”, suggerivano indignati i più ecologisti.
“Facendo man bassa negli stadi, potremmo alleggerirci di una sostanziosa fetta di costoro, tutti elementi di prima scelta”, si udiva in giro con una certa frequenza. Sembrava una proposta assai ben accreditata. A tenerle testa, c’era chi se la prendeva con gli odiatori che affollavano i social o con gli zombi che circolavano sempre a testa bassa sul proprio gingillo tecnologico e si accorgevano degli altri solo quando arrivavano a mezzo metro, facendo perdere pazienza e speranza nella specie umana. “Peschiamone un po’ nei salotti televisivi o nelle assemblee di condominio, lì facciamo veramente il botto”, insistevano con petulanza altri esagitati.
Non mancava neppure chi voleva accalappiare i motociclisti rumorosi che infestavano le strade o chi rischiava la vita in sport estremi. E come scordare chi si esaltava nel fare più cose contemporaneamente per sentirsi allineato ai precetti della modernità, ma poi non ne combinava una giusta?
Insomma, un ricco campionario e floride oasi a cui attingere imbesuiti di squisita fattura.
Le boutade si susseguivano senza sosta e c’era chi riteneva dei perfetti imbecilli pure quelli che la facevano sulla tavoletta del water, chi portava la cravatta, i tatuati, oppure le donne siliconate, quelle che ciaccolavano in continuazione muovendo le mani, o chi si tingeva i capelli di azzurro e le unghie di giallo, eccetera, eccetera, eccetera.
C’erano luoghi a più alta densità, dove il fior fiore degli imbecilli usava darsi convegno ma, nella pratica, avevano permeato ogni ambito sociale, così i loro consessi si arricchivano continuamente di nuove, sorprendenti, fragranze.
La guerra agli imbecilli riscuoteva l’entusiasmo collettivo, ma ognuno pensava che quel titolo onorifico spettasse ad altri. Ora, chi poteva conferire davvero una “Patente da Imbecillone” a prova di contestazione?
Forse, era arrivato il momento di istituire un bel Comitato Scientifico Planetario che studiasse un preciso protocollo, con parametri in grado di catalogare inequivocabilmente chi potesse fregiarsi sul serio dell’attributo di “imbecille conclamato e irreversibile”, escludendo “cretini correnti”, “idioti affetti da stupidità semplice”, “finti babbei per non andare al fronte”, “rincitrulliti da concorsi a premi”, “deficienti per esibizione” e “scemi da barzelletta”. In questo modo, si poteva confinare i prescelti su uno dei cinque continenti, tanto ne sarebbero rimasti altri quattro. E se non fosse bastato uno soltanto a contenerli tutti, se ne sarebbe potuto metterne a disposizione anche un altro, e poi un altro ancora e così via, purché ne fosse rimasto almeno uno franco.
Certo, ma poi, come contenere le spinte di chi, messo fuori gioco, e per scrollarsi di dosso quell’ingombrante etichetta, avrebbe inevitabilmente cercato di rientrare nel continente “sano”? Quel continente non avrebbe mai potuto vantare una “totale purezza”!
Fatto sta che il Coordinamento Imbecilli Integrali si oppose a qualunque epurazione di massa. Pertanto, restavano, imperversavano alla grande e si producevano in virtuosismi di eccelsa bravura. Era l’imbecillità elevata ad arte.
Qua e là, si poteva sorprendere qualcuno intento a fissare qualcun altro in viso, come a voler capire se vi fossero particolari tratti distintivi ad accomunare gli adepti di Imbecillandia. Ma nemmeno la fisiognomica si rivelò di grande aiuto per la buona causa.
“In linea di principio io non sarei contrario al cannibalismo, così ce li pappiamo tutti e diamo un senso alla loro esistenza su questo pianeta”, dichiarava con spregiudicatezza il plenipotenziario Sottosegretario alle Eventuali e Varie, senza badare che anch’egli si candidava a passare tra le fauci altrui, dopo una sortita del genere. “Sì, sì, maciniamoli tutti e apriamo delle Polpetterie, tanto a chi dispiace se ne spariscono un po’, altrimenti è tutta carne che va sprecata. Così si libera pure un sacco di spazio nei parcheggi”, proseguiva imperterrito quel grassone beota.
Qualunque proposta per sbrogliare la matassa faceva inviperire il Super Ministro all’Aspetto Sostanziale delle Cose, che non si stancava mai di ricordare come anche le epurazioni razziali erano cominciate in tal modo, perciò bisognava “sorvegliare bene le parole” per non ripetere gli errori del passato. “No, l’eugenetica mai”, tuonava.
“Rassegniamoci, il pianeta sarà loro, è la teoria dell’Evoluzione che ce lo insegna; non sopravvivono i migliori, bensì chi meglio si adatta… e questi fetenti hanno imparato a farlo benissimo”, conclusero i filosofi convocati al capezzale del globo infermo.
Gli imbecilli scacciavano regolarmente chi non era uguale a loro, se capitava vicino.
Nella propria congenita superficialità, non si facevano certo venire il fegato nero per i guasti del mondo e tanto sarebbe bastato per salvarli dall’estinzione, in ossequio alle scoperte darwiniane.
Sì, l’avrebbero avuta vinta loro!
Intanto, tutto procedeva velocemente nell’Era della Grande Imbecillità. Le città erano invase da auto a guida autonoma che all’occorrenza si levavano in volo per superare le code, facendo lievitare a dismisura gli incidenti di cielo e di terra.
La proliferazione delle antenne per rendere più smart le città aveva glorificato l’inquinamento elettromagnetico, al punto tale da spodestare anche quello atmosferico. I nostri ne erano usciti ulteriormente rafforzati nel proprio rimbambimento e i nuovi Savonarola urlavano al vento: “Morirete tutti di 5G”.
Soltanto grazie alle innumerevoli telecamere di sorveglianza, piazzate ovunque, si teneva a freno quel menefreghismo generalizzato, divenuto abituale costume comportamentale. Si scongiuravano, in tal modo, un po’ di furti, di abusi maneschi negli asili e negli ospizi, e qualche semaforo rosso conservava ancora il suo perché.
I grandi agglomerati urbani rappresentavano il terreno più fertile dove i rimbecilliti allignavano impuniti. Coperti dall’indifferenza collettiva e dall’anonimato, potevano esibirsi in tutte le infinite sfumature di cui erano capaci, sbizzarrirsi in una imbecillaggine sempre bella rigogliosa e multi sfaccettata. Nel connubio fra più imbecilli, quello meno peggio si allineava senza sforzo al peggiore, favorendo in tal modo il magnifico progresso dell’imbecillità ancora imperfetta.
L’illusione sui computer capaci di governare ogni cosa assai meglio degli umani era tracollata miseramente, quando costatarono che l’uomo, essendo fallibile, trasmetteva la propria imperfezione pure ai bit che ammansiva. Un semplice punto omesso o collocato nel posto sbagliato di un programma era in grado di cambiare le sorti del pianeta, facendo partire un ordigno nucleare o bloccando l’accesso automatizzato al bagno di casa nel momento del bisogno, se esso era così atroce da spiazzare il riconoscimento facciale.
Il cane da guardia, addetto a mordere chiunque tentasse di mettere mano al Supremo Sistema Centrale del Controllo Terrestre, era schiattato pure lui, a causa di un virus sfuggito di mano ai biologi che sperimentavano a cacchio, persi nella più cupa disperazione.
Neppure l’Editing Genomico, con tutte le sue mirabolanti promesse, aveva dato i frutti sperati. Un taglia-e-cuci vacuo che aveva partorito solo nuovi mostri.
Fallimenti su tutta la linea anche quando si provò a sconfinare nel post-umano, con protesi atte a sopperire l’intorpidimento generale dei tradizionali sensi percettivi, che affliggeva quelli messi peggio.
A nulla valsero le meditazioni zen, imposte come materia obbligatoria nelle scuole di ogni ordine e grado.
Si arraffavano alla cieca tutte le congetture che razzolavano nelle menti di quelli considerati ancora “normali” ma non si veniva a capo di nulla, non si trovava mai la quadra. Non si riusciva né a selezionare né a recuperare gli imbecilli, mentre si assottigliava la schiera dei “geniacci” che non si adattavano a convivere coi deviati.
E se poi i deviati della specie non fossero stati coloro a cui difettava l’acume, bensì quelli che l’avevano sviluppato a dismisura? Chi poteva dirlo?
“Alexa, risolvi i problemi del mondo e avvisami quando avrai finito!”, ordinò furbescamente, un giorno, la Suprema dea della Salvezza, eletta per acclamazione. Poi, riprese a schiacciarsi i puntini neri sul naso, mentre la fine del mondo stava accelerando.
Prima di affondare completamente e definitivamente nell’Ignorantocrazia, quando ormai nessuno avrebbe comprato un auto usata da un homo sapiens, proprio mentre la speranza si riduceva a un flebile lumicino traballante che stava lì lì per spegnersi, l’umanità trovò una scappatoia per risorgere. Anzi, fu quest’ultima che trovò l’umanità. E la scappatoia si chiamava “marziani”. Impietositi dai nostri musi lunghi, finalmente vennero.
Ci soccorsero e ci condussero alla spicciolata sul loro pianeta, a respirare un po’ di aria nuova.
Dopo un’analisi tempestiva e accurata, decisero di salvarci dall’apocalisse imminente. Può darsi che lo fecero soltanto perché ciò li faceva sentire migliori di noi.
Nessun vaccino miracoloso. Nessuna pozione magica. Nessun ricondizionamento molecolare. Una ramanzina, generosi scappellotti, bei discorsetti, e volò pure qualche calcio in culo ai soggetti più bisognosi.
Prima di riportarci indietro, ci sottoposero a numerose sedute di counseling filosofici, un processo di riflessione critica per riprogrammare i nostri circuiti del buonsenso all’insegna del “volemose bene”. Insufflarono idee e pensieri virtuosi nelle teste di tutti. Indistintamente. Per un po’ si sarebbero radicati nelle zucche trattate, facendo rinsavire i legittimi titolari. Almeno fino a un nuovo scivolone che, forse, avrebbe riguardato i terrestri del domani, e non più noi.
In tal modo, ai futuri visitatori alieni, con tutte le loro ariette di superiorità, i prossimi bipedi umani del nostro pianeta una banalità da ascensore sarebbero ben riusciti a strappargliela di bocca. “Gli imbecilli non sono più quelli di una volta”, avrebbero dovuto riconoscere. Tiè!
Mi è piaciuto tanto. Sono giorni che leggo racconti di ogni genere, ho riso tantissimo. Mi chiedo se non sarebbe stato meglio dare una vera trama a questa che sembra più una critica all’esistente, che apprezzo, ma che di fatto non trascina, solo allieta un momento (come un bell’articolo di caustico giornalista).
Comunque bello!
Mi è sfuggito dalle dita un annetto fa e ha riscosso giudizi controversi fra i pochi che l’avevano letto. Mi ci vuole un bel “trentino”, ma ci tengo a sottoporlo ai pretenziosi palati che affollano questa piazza. Non lesinate critiche e scatenate i vostri polpastrelli paludati, per favore.
Il tema, naturalmente, mette un po’ a disagio, tutti siamo stati chissà quante volte, idioti e cacciatori di idioti, automobilisti ingiuriati e ingiuriatori di automobilisti. Tutti abbiamo considerato convintamente che la pazienza è la virtù dei forti, salvo considerarla talvolta il lusso di chi ha tempo da perdere. Il racconto è scritto molto bene, talmente bene da sfiorare talvolta una surreale apologia dello “sfoltimento”. La conclusione buonista mi sembra un po’ dissonante con il corpo del racconto, del resto probabilmente non c’era modo di uscirne altrimenti. Per i miei gusti è’ buono ma non buonissimo.
Attuale in questo periodo di paura e di fastidio verso gli idioti. Forse si sgonfia un po’ sul finale?
A suo tempo, alcuni lettori di questa specie di racconto accusarono una fastidiosa ripetizione terminologica che lo rendeva un po’ antipatico alla lettura. Ma è un po’ come se uno va a uno spettacolo teatrale che ha per tema centrale l’attesa, la sente declinare in tutte le salse e poi se ne lamenta. In quel periodo, è proprio dell’ignoranza tout-court che intendevo scrivere, con leggerezza ma con serietà. La pedante ripetizione fu una deliberata scelta provocatoria. Mi interessava richiamare l’attenzione sulle delicate questioni sociali sollevate quando, per un comprensibile sfogo, ci riempiamo la bocca con certi termini. Chi sale in cattedra a dare patenti e con quali criteri? Si comincia col denigrare qualcuno e si può arrivare ai campi di sterminio… E quando non si sa più che fare per sbrogliare la matassa si finisce col chiedere disperatamente aiuto ad Alexa, deus ex machina della modernità che tutto dovrebbe poter risolvere al nostro posto. Piccoli stimoli alla riflessione lanciati con la lievità di una narrazione modesta e surreale. Surreale come la battuta da ascensore a cui mi attacco miseramente per venirne fuori con gentilezza.
Grazie a chi ha speso il proprio tempo per leggermi, soprattutto a Gianna per la critica quanto mai pertinente.
Ciao,ti ho letto con curiosità. Ottimi temi da esplodere anche singolarmente. Molte ingenuità di scrittura.
In fondo siamo tutti, o siamo stati, un po’ imbecilli, e l’ironica e surreale lotta contro l’imbecillità è l’eterno conflitto interiore che alberga in ognuno di noi, tra la saggezza e il qualunquismo, tra l’altruismo e l’egoismo, tra le buone intenzioni e le cattive azioni. Forse anche i marziani, che ci aiuteranno a sopravvivere in questo mondo di feroce cannibalismo sociale, si nascondono proprio tra quegli imbecilli… dunque dentro di noi. Basta non vergognarsi troppo dei propri limiti. Racconto ben scritto, provocatorio e allo stesso tempo scanzonato.