Premio Racconti nella Rete 2020 “Sorpresa!” di Gianna Valente
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Il periodo delle iscrizioni a scuola è sempre molto delicato, l’utenza è volubile, influenzata dalle mode, dalle leggende metropolitane e dalle dicerie. Basta poco a creare affluenze anomale o migrazioni di massa. L’anno prima era stato un caso di scabbia inopportunamente pubblicizzato dai quotidiani locali a fare perdere iscrizioni, quello ancora precedente era stata la caduta di una bolla di intonaco sull’ingresso che aveva reso necessaria una vistosa impalcatura di protezione = la scuola sta per crollare.
La sua più stretta collaboratrice quella mattina la aspettava con un’aria desolata e le aveva fatto capire a gesti che appena avesse finito con gli appuntamenti doveva parlarle.
- Abbiamo visto un topo
- Haia! è proprio il momento meno adatto per avere ospiti del genere. Ma come? Dove? E poi di giorno? Ma grosso?
- No, era un topolino piuttosto piccolo. Ieri sera stavamo in teatro a spiegare ai genitori come funziona il tempo pieno e mentre tutti guardavano verso di me e la collega, alle loro spalle un topolino ha attraversato tutto il teatro da un muro all’altro.
Si era sentita morire le parole in gola, ma aveva avuto la prontezza di riflessi di dissimulare gli attimi di panico in uno starnuto plateale, che aveva confuso le acque.
L’avevano già intravisto venerdì scorso e avevano chiesto al custode di mettere una striscia di quelle dove rimangono attaccati, ma la trappola era rimasta vuota. E già venerdì avevano chiamato l’Agenzia comunale per avere un pronto intervento di derattizzazione, ma fino ad ora non si erano visti.
In compenso si era rivisto lui più vivo e vispo che mai.
Non era possibile, ci mancavano solo i topi per rovinare l’immagine dell’istituto in questo momento, e poi se erano stati visti da più persone, in posti e momenti diversi, per giunta di giorno e non di notte, mentre tutti sono in piena attività, chissà quanti ce ne sono. Forse sono quelli più piccoli ed inesperti che si fanno vedere, mentre quelli grandi con gli occhi rossi sono nascosti nel buio chissà dove intorno a noi. Un brivido di ribrezzo le corre lungo la schiena e si guarda intorno con circospezione. I biscotti nel cassetto? La mela nell’armadio? Deve fare sparire subito qualsiasi esca che possa attirarli nel suo ufficio.
Si attacca subito al telefono facendo capire all’Agenzia ambientale del Comune che devono mandare qualcuno IM-ME-DIA-TA-MEN-TE. Dopo mezzora, infatti, si presenta uno strano operaio. Si aspettava un tipo trucido e ignorante (come vuoi che siano quelli che di mestiere ammazzano i topi) invece aveva davanti un giovanotto longilineo con un impeccabile abbigliamento casual che sdrammatizza il loro allarme con umorismo e garbata ironia. Forse sì, ma forse no, non erano necessariamente infestati dai ratti. Poteva anche essere uno solo il topolino, magari arrivato con le cassette della frutta per la mensa. Che sarà mai? Tutti i locali a piano terra prima o poi ricevono queste visite di tanto in tanto.
Insieme fanno il giro dei locali e si fanno indicare dai testimoni i posti dove sono stati visti e mentre si raccontano le circostanze e le modalità degli avvistamenti già lei si sente intenerire dalle descrizioni di topolini terrorizzati che ruzzolavano come palline inciampando nelle loro stesse zampine.
E già non era più così sicura di volerli sterminare tutti.
Ma certo non si possono permettere di averli in giro, a rischio che si moltiplichino. E non sia mai che possano essere visti dagli utenti. Proprio ora sarebbe un disastro. E’ necessario liberarsene con la massima discrezione. Quella versione moderna di pifferaio magico spiga però che, comunque, lui deve esporre i cartelli dove mette il veleno, è la legge, è un suo obbligo preciso: dove mette il veleno deve mettere il cartello.
E ora come la mettiamo? Se: topi = veleno = cartello è vero anche che chi vede il cartello capisce subito: cartello = veleno = topi. E questa sarebbe veramente una catastrofe senza rimedio.
Così si risveglia di colpo la sua anima ecologista, la sua sensibilità animalista.
- Certo che cosa atroce per queste povere bestiole! ma non c’è un sistema meno cruento, dobbiamo per forza ammazzarli?
- La capisco signora, anche io non lo faccio volentieri, sa io voglio bene ai topi, dopo tutto sono loro che mi danno lavoro. Quelli piccoli poi sono così carini.
- Va bene ma io non posso tenerli qui, non possiamo sbarazzarcene in un altro modo, non so, attirandoli nelle trappole senza veleno e poi li liberiamo in campagna?
E’ possibile, dice, si possono attirare con del cibo nelle trappole in cui entrano e non possono più uscire. Le trappole non li feriscono e si possono riaprire per liberare i prigionieri in un luogo dove non fanno danno.
Così si accordano di lasciare qualche trappola vicino ai posti dove sono avvenute le apparizioni.
Le ha portate lui. Le scatolette di latta hanno le dimensioni di un piccolo libro, alto circa tre dita, sono tutte chiuse, ma con dei piccoli fori per l’aria. Hanno due piccole porticine quadrate sui lati corti e quando, seguendo il profumo del cibo, il topolino entra in uno dei piccoli corridoi, il piano inclinato si abbassa per il suo peso. Ma appena è arrivato all’interno e il suo peso non lo tiene più giù, il lamierino scatta alle sue spalle e non può più uscire.
Con cura il pifferaio ci ha disposto dentro del cioccolato (“di prima qualità”) e le spiega che bisogna aprire la scatola come la copertina di un libro, forzando un po’ per sganciare il fermo interno.
Per precauzione ne ha messa una anche sotto il suo computer e le strizza l’occhio: “sa il topo va d’accordo con il mouse”. Quando lei alza gli occhi al cielo continua: “davvero, non stavo scherzando, sarà il calore delle macchine o l’intrico dei fili, ma veramente i topi sono amici dei computer.” Ah, ora sì che si sente tranquilla!
E’ sera, è ora di chiusura degli uffici. Sotto i suoi piedi, naturalmente, la trappola è rimasta vuota, ma prima di andar via lei decide di fare il giro delle trappole insieme all’ultimo impiegato che ha trattenuto per l’occasione. Mestieri da uomini, insiste nei suoi cliché. Tutto in ordine, tutto tranquillo. Ma già avvicinandosi all’ultima stanza, dall’armadio a muro chiuso, sentono un gran tramestio provenire dalla scatoletta. O Signore c’è davvero un topolino lì dentro. “Ed ora che si fa?” bisbiglia con un fil di voce girandosi verso di lui. E con raccapriccio crescente vede il suo uomo pericolosamente pallido, con il fiato corto e un evidente accenno di sudore freddo sulla fronte. Ed ora che si fa? Urla silenziosamente nel pensiero … è chiaro che non può contare su di lui. Velocemente considera che se non lo manda via subito da questa stanza probabilmente crolla sul posto e tutto diventa ancora più complicato da risolvere e difficile da spiegare. Se lo mette a braccetto e con un rapido dietrofront se lo trascina verso l’uscita: “Non si preoccupi, ora chiamo mio marito e faccio venire qualcuno a risolvere questa faccenda, non c’è più bisogno di lei”
Ed ora che si fa? Si ripete ancora guardandosi intorno? Suo marito è in viaggio, non ci pensa affatto a chiedere favori ad altri custodi. E poi che potrebbero fare che non possa fare lei stessa?
Prima di tutto deve portarlo via di qui. Ma come? Non può mica uscire con una trappola per topi in mano … e poi non ha neanche la macchina… dovrà prendere un autobus. La deve mimetizzare in modo che non dia nell’occhio. Poi prima di arrivare a casa libererà il topo nei giardini della stazione.
Dalle ultime feste di Natale è rimasta in ufficio la bella scatola dell’orologio che ha regalato a suo marito, chissà se è della misura giusta. La misura sarebbe anche giusta, ma capisce subito che non sarà mai capace di traslocare il topolino da una scatola all’altra, così recupera solo la carta griffata e con circospezione impacchetta direttamente la trappola, per evitare che si apra accidentalmente. La bestiolina dentro non si muove più. Forse fa finta di essere morta, oppure è morta davvero di spavento o di indigestione di cioccolato (di prima qualità). Inserisce il pacchetto direttamente nella busta della gioielleria, che lo contiene perfettamente e si accinge a raggiungere la fermata dell’autobus destreggiandosi fra la borsetta, la borsa del computer e il suo prezioso pacchettino al quale cerca di non far prendere troppi urti.
Per fortuna l’autobus non è così pieno come prima di Natale. Erano strizzati tutti come sardine, le avevano anche sfilato con destrezza il portafogli dalla borsa senza che nella calca potesse accorgersene.
Armeggia a lungo per timbrare il biglietto, in equilibrio precario non avendo una terza mano per reggersi e non volendo posare a terra i pacchi. “Aspetta” brontola qualcuno alle sue spalle e una terza mano ossuta prende il suo biglietto e lo timbra. Sorride a quella faccia un po’ asimmetrica, al naso leggermente schiacciato, e a quell’assurda pettinatura a cresta. Dove l’ha già visto? forse un ex alunno? aveva l’impressione di conoscerlo, ma questo le capitava di continuo perciò non si arrovella troppo e gli volta le spalle per evitare una di quelle imbarazzanti conversazioni con persone che si ricordano perfettamente di lei, mentre lei non si ricorda affatto di loro. E’ rimasto molto vicino, una mano a reggersi sulla spalliera del sedile, l’altra nella tasca del giubbotto in finta pelle. Le gambe larghe ben piantate per terra con quei ridicoli pantaloni con il cavallo basso. … Non è possibile … l’ha già visto la settimana di Natale … quando l’hanno borseggiata. Non sarà quel tizio maledetto? il suo sguardo corre di sottecchi alla borsetta. Chiusa, per fortuna, cerniera completamente tirata. Cosa fare? informare il controllore? E di che? non ha mica fatto niente di male, ancora, e poi non può nemmeno essere sicura che sia lui. Mentre i pensieri galoppano tumultuosi si libera il posto a sedere al quale era rimasta appoggiata, sale il gradino e si inserisce nel posto unico di fianco al finestrino, stringendo la borsetta dalla parte opposta a lui.
Lentamente un pensiero piccolo piccolo si sta facendo sempre più largo nella sua testa. Lui è alle sue spalle, molto vicino, fra lei e le porte di discesa centrali dall’autobus. Si mette comoda. La borsetta al sicuro, dalla parte del finestrino. La borsa del computer appoggiata sul gradino, dalla parte del corridoio centrale dell’autobus, ma con la chiusura appoggiata sulla gamba e la tracolla attorcigliata intorno al braccio. Il pacchetto dell’orefice invece è schiacciato, fra la spalliera del sedile e la borsa del computer.
L’autobus sta per fermarsi. Si concentra a guardare fuori dal finestrino i passeggeri che aspettano alla fermata. Volti anonimi, un uomo dall’aria sciupata aspira l’ultimo tiro della sigaretta prima di buttarla via. Le porte interne si aprono con il solito risucchio e avverte il movimento delle persone alle sue spalle che raggiungono l’uscita.
Le porte si richiudono e lei si decide a spostare lentamente lo sguardo verso la borsetta, verso le sue ginocchia, verso la borsa del computer … e… OPLA’: il pacchetto non c’è più.
La guardano allibiti gli altri passeggeri mentre con la testa reclinata all’indietro scoppia in una irrefrenabile risata. E non riesce proprio a calmarsi. Cerca di nascondersi il viso fra le mani ma le spalle sono violentemente scosse dai singhiozzi e i suoni gutturali sono ancora più imbarazzanti. Si deve fare forza per ricomporsi, visto che sta arrivando alla sua fermata. Si solleva dal suo posto asciugandosi gli occhi, ma senza riuscire ancora a smettere di ridere. E mentre scende si accorge che ridono tutti, ma proprio tutti. Ridono tutti di cuore. Senza sapere perché.
Via via mi ha catturato, e alla fine mi è piaciuto. Brava!
” Il derubato che piange ruba qualcosa a se stesso, il derubato che ride ruba qualcosa al ladro”
Grande brano e grande testo.
Ciao.
Mi ha fatto molto piacere il tuo commento. Personalmente apprezzo i complimenti, ma ritengo ancora più utili indizi meno positivi, anche impliciti.. “Via via” forse vuol dire che l’incipit è un po’ fiacco. Molte grazie e e buona fortuna.
L’ho riletto e ribadisco tutto il mio gradimento per il gustoso racconto. Tuttavia…
Eliminerei diversi “ma” e qualche virgola inopportuna.
Aggiungere una dozzina di virgole, non tutte alla fine come nella lettera di Totò (^_^)
La prima virgola presente la cambierei con un “:”
Trasformerei tutti gli “ed ora” in “e ora” (così prescriverebbero i moderni precetti linguistici sulla “d” eufonica).
Scriverei (per non ammalloppare troppi “di” consecutivi):
Aveva avuto prontezza nel dissimulare panico e imbarazzo con uno starnuto plateale che aveva confuso le acque.
Al posto di:
ma aveva avuto la prontezza di riflessi di dissimulare gli attimi di panico in un starnuto plateale, che aveva confuso le acque.
Scriverei:
Quel pifferaio magico in versione moderna spiega che là dove mette il veleno dovrà mettere anche un cartello: è un obbligo di legge da cui non si scappa!
In luogo dell’attuale:
Quella versione moderna di pifferaio magico SPIGA però che, comunque, lui deve esporre i cartelli dove mette il veleno, è la legge, è un suo obbligo preciso: dove mette il veleno deve mettere il cartello.
Verificherei meglio la coesistenza di imperfetto e presente nel corso della narrazione.
Chiedo scusa per essere salito in cattedra senza averne titoli, ma spero di aver colto lo spirito collaborativo che , mi pare, dovrebbe animare questo forum.
In bocca al lupo!
Ah, dimenticavo… il finale lo trovo più che perfetto. Brava, brava, brava!
Santo cielo Leonardo sono davvero onorata della scrupolosa attenzione che hai dedicato al mio racconto. Ti ringrazio molto dei tuoi suggerimenti pienamente condivisibili e sto cercando di capire se è possibile fare delle correzioni e come si fa. Sono appena entrata in questo ambiente e devo ancora capire come funziona. Per il momento ne sono entusiasta. Ti ringrazio ancora per il tuo prezioso spirito collaborativo e sono certa che ci sarà ancora occasione di risentirci. A presto
A Piero Orlando, Grazie del tuo apprezzamento, mi fa particolarmente piacere perché anche io ho ammirato il tuo racconto. Fa piacere piacersi a vicenda. Ciao
Mi è piaciuto davvero tanto questo racconto dal ritmo incalzante come un Bolero di Ravel. La storia è ben costruita, originale e divertente. Complimenti!
Grazie Monica, sono molto lusingata che ti piaccia, ho visto che sei fra i vincitori della scorsa edizione, perciò il tuo parere per me è davvero gradito. Buon lavoro
Gianna!
Il tuo racconto mi è piaciuto tantissimo, un vero cioccolatino “di prima qualità” da inghiottire in un sol boccone.
Due, in particolare, sono gli aspetti che mi hanno colpito veramente, ma veramente molto:
-) il registro narrativo: fluido, sciolto, essenziale ma brillante, perfetto per esaltare al meglio la nota ironica che caratterizza il lavoro;
-) il nesso di causalità: hai tratteggiato la trama per mezzo di una serie di eventi consequenziali tra di loro, che dotano la storia di un gran dinamismo e tengono il lettore incollato alla pagina, nutrendo la sua curiosità con circostanze sempre inattese e golose. Partendo dalla scoperta dell’”ospite scomodo”, mai avrei pensato ad un finale così originale e scoppiettante, che esplode in nuovi contesti e tra nuovi personaggi.
Complimenti davvero.
Wow, non puoi vedere come sono arrossita di piacere per il tuo commento. Grazie davvero. Stamperò il tuo apprezzamento per usarlo come antidoto ad eventuali malinconie. Vorrei essere capace di una prosa elegante, raffinata e lirica come la tua.
Brava Gianna! Davvero un bel racconto dal ritmo incalzante e un finale… inaspettato! Ho riso anche io, proprio come la protagonista e gli altri passeggeri! Brava
Mi sono molto divertita, complimenti, la lettura è scorrevole ed il finale è davvero azzeccato
Cara Gianna. Hai scritto un racconto originale e “geniale” da diversi punti di vista. Quello che più apprezzo è la “matriosca” narrativa a cui hai dato origine: tutto si basa su una serie di inganni e sotterfugi. Il “sistema scuola” ha necessità di nascondere agli utenti la presenza di un topo imbrogliandoli. Ma il topo, a sua volta, può essere catturato solo con l’inganno, trasformando la sua trappola in una piacevole coccola al sapore di cioccolato. Per eliminare l’ intruso, si ricorre ad un altra messinscena: lo si nasconde in una pacchetto regalo per passare inosservati. Ma questo genera l’ennesima frode e, a farne le spese, è il ladro da due soldi (che a sua volta si spaccia per un semplice passeggero) il quale, al posto dell’orologio, si ritroverà con un sorcio al fondente di ottima qualità. Mi piace il tuo linguaggio ironico e acuto. Sì, puoi aggiustare qualcosa qua e là a livello di scrittura e tempi verbali, ma il più c’è tutto: c’è una storia. BRAVA!
Ti ringrazio Sandra, anche a me sono piaciuti i tuoi racconti, molto quello della matricola. Sarò presuntuosa, ma io so di scrivere bene. il vero impegno è quello di inventare le storie. E’ vero che un racconto può essere anche solo l’istantanea di una emozione, ma a me piacciono le storie, e soprattutto quelle leggere, senza morti e feriti. Grazie della tua attenzione.