Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “Indulgenza di maggio” di Pietro Gregorini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Il suono della sveglia, le sette e mezza di una mattina qualunque. Ho atteso il tuo risveglio, ad occhi chiusi, fingendo di dormire. Ti seguivo con la mente: il rumore della doccia, l’anta dell’armadio, il caffè che saliva nella moka. Un giro veloce di chiave e il portone che si chiudeva tra noi. Rimasi sdraiato ancora per un po’ fissando il soffitto, poi presi la valigia piccola e raccolsi poche cose dai cassetti: un paio di jeans, tre magliette, la sciarpa rossa di seta. Lo spazzolino, il mio profumo. Non ti saresti accorto di nulla.

 

Seduto al tavolo, con la stilografica tra le dita, pensavo alle parole che avrei voluto dirti. Percorsi indietro i ricordi, senza riuscire a trarre conclusioni né risoluzioni. Ne ero certo, sarebbe uscito il mio solito fiume in piena, quella valanga di frasi che non avrebbe mai aggiunto nulla ai nostri silenzi. “Salgo per qualche giorno a Milano. Torno presto”, con la miglior calligrafia che posso. Lasciai il biglietto di fronte al vaso dei fiori, con la stessa solennità di un memoriale. Salutai quelle quattro mura come fossero state vive.

 

In macchina, diretto verso nord, vidi il cartello che portava alla spiaggia. Svoltai, senza pensarci su. Parcheggiai lungomare, proseguendo a piedi per le scogliere che costeggiavano la riva. L’odore di salsedine entrava con tale forza nei polmoni che credetti di aver dimenticato per tutti quei mesi cosa fosse respirare. Avrei voluto chiamarti, sentire la tua voce, illudermi con la speranza di potermi fidare ancora di te, ma il pugno allo stomaco che sentivo era più forte di ogni mia volontà. Così presi il cellulare e lo gettai in acqua, come se quel gesto potesse cancellare tutto in un istante. Ma tu rimanevi fisso nella mente, come pece sulle dita. Ti vidi tornare a casa, leggere il biglietto, prepararti la cena. Mi avresti mandato un messaggio, che non avrebbe avuto risposta. Mi avresti pensato, preoccupandoti. Avresti chiamato i miei amici, tormentandoti di domande. Infine, avresti imparato a odiarmi, come avrei fatto anch’io qualche ora dopo, al casello dell’autostrada, comprendendo per la prima volta cosa significa veramente amare.

 

Una lacrima scese solitaria come una benedizione e con un rapido movimento del polso ne cancellai ogni traccia. Di ritorno verso l’auto scorsi un anziano, seduto in solitudine a leggere un libro sugli scogli. Alzò lo sguardo e sorrise. Aveva gli occhi di un azzurro surreale. Risposi al suo sorriso, senza riuscire a mascherare la malinconia che traspariva dalle linee del viso.

 

Nel giro di qualche ora il tempo si era dilatato come una membrana invisibile e ogni cosa sembrava immutabile. Come la mano che impugnava la chiave, inserita nel cruscotto, che non riuscivo a girare. Volsi lo sguardo ancora una volta verso il mare. Il vecchio era sempre là, in quel luogo di pace, con il vento che gli accarezzava i capelli bianchi, sotto un sole primaverile che scaldava l’animo e lasciava evaporare ogni malumore. Leggendo una storia che parlava di amanti, in qualche luogo lontano da qui, che non sarebbe finita. Una storia che dopo l’ultimo capitolo sarebbe continuata nei suoi sogni. Alla fine, pensai, attendiamo tutti qualche sorta di lieto fine.

 

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